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Caporalato, il marito della vittima: "Abbiamo rotto l'omertà, ora i miei figli non trovano lavoro"

Dopo l'inchiesta che ha portato a 6 arresti, intervista a Stefano Arcuri: "La nostra è stata battaglia di dignità in memoria di Paola"

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Stefano Arcuri, è soddisfatto?
"Tutto quello che abbiamo fatto è stato soltanto per la memoria di Paola e perché nessuna possa più lavorare nelle sue stesse condizioni. Siamo gente semplice, la nostra è una battaglia di dignità. Oggi è una giornata importante".

Stefano è il marito di Paola Clemente. Se non avesse avuto il coraggio di denunciare le condizioni nelle quali sua moglie era costretta a lavorare mai nessuno avrebbe riesumato il cadavere di Paola. Mai nessuno avrebbe potuto mettere spalle al muro il sistema del nuovo caporalato con l'inchiesta che ieri ha portato a sei arresti in Puglia. Parla con il suo avvocato, Vito Miccolis, che fin dal principio lo ha accompagnato in questa storia.

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"I miei figli, oggi, hanno difficoltà a trovare lavoro e temo che sia anche per quello che abbiamo fatto, per il coraggio della nostra denuncia. Ma non mi pare che abbiamo fatto niente di speciale. Ma soltanto quello che era giusto per Paola. Quello che è accaduto oggi mi sembra la migliore risposta: se si ha fiducia nelle istituzioni, se ci si affida alla giustizia, prima a poi la giustizia quella vera, arriva. Certo c'è ancora altro da fare".

Cosa?
"Il processo. Aspettiamo con ansia che si tenga in modo tale che possano essere individuate tutte le responsabilità. Noi chiaramente ci costituiremo parte civile, spero che possa essere un segnale importante per tutti".

Si è sentito solo?
"No. Al contrario devo ringraziare gli investigatori, i magistrati, ma anche tutte le istituzioni per quello che hanno fatto per noi in questi mesi. Il presidente della Camera, Laura Boldrini, il ministro Martina, la sottosegretaria Bellanova. A loro chiedo soltanto una cosa: abbiamo sofferto troppo, per favore, non fatelo accadere mai più. Nessuno più deve lavorare e morire come Paola".

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