Roma

Mafia Capitale, Minniti in udienza: "Nessun rapporto tra servizi segreti e Carminati"

Massimo Carminati scortato dai carabinieri 
Il sottosegretario all'intelligence era stato convocato dall'avvocato del principale imputato del processo, l'ex Nar che, dopo aver ribadito di "non rinnegare nulla della sua vita", ha invitato il pm a non fargli "lezioni di morale"
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ROMA - Nell’aula del processo Mafia Capitale, Massimo Carminati lavora alla consapevole e studiata demolizione dell’epica criminale - "leggenda metropolitana", dice lui - che lo ha reso ciò che è stato fino a oggi. Posa ad agnello tra lupi e sciacalli. Torna ad attaccare – stavolta senza citarlo esplicitamente – il lavoro giornalistico del Gruppo Espresso. E per questo, la sua difesa chiama sul banco dei testimoni il senatore Marco Minniti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Sicurezza nazionale.

Per lui, l’avvocato Giosuè Naso ha una sola domanda. "Lei mi deve scusare, senatore, se oggi, sollecitando la sua deposizione in quest’aula, l’ho strappata ai suoi impegni istituzionali. Ma con lei vorrei provare a sciogliere un luogo comune e sgomberare il campo da suggestioni alimentate da alcuni articoli di giornale deliranti. Le voglio chiedere: lei è nelle condizioni di affermare o smentire che Massimo Carminati abbia avuto o abbia rapporti con i nostri Servizi segreti?". La risposta di Minniti è definitiva. "Dall’istruttoria condotta con la nostra Intelligence, escludo che Massimo Carminati abbia avuto nel tempo, o abbia oggi, rapporti con i Servizi segreti italiani".

Naso sorride e con gesto teatrale si congeda. "Grazie senatore. Presidente, non ho altre domande". Potrebbe finire qui l’udienza. Con una testimonianza utile a Carminati nel fulminare l’argomento che lo vuole tutt’oggi custode di segreti inconfessabili della storia repubblicana e dunque forte di una formidabile capacità di ricatto. Ma qui non finisce. Perché le domande dell’avvocato Giulio Vasaturo, parte civile per conto di 'Libera', e del pm Luca Tescaroli accenderanno rapidamente la furia e gli epiteti dell’avvocato Naso e solleciteranno lo stesso Carminati a chiedere il tempo per nuove dichiarazioni spontanee.
Vasaturo sollecita Minniti. "Cosa intende senatore quando esclude rapporti tra Carminati e i Servizi?".

I PRESUNTI RAPPORTI TRA CARMINATI E GLI 007

"Che non risultano rapporti con le nostre tre agenzie operative". L’avvocato insiste: "Esclude anche che Carminati possa essere stato fonte dei nostri Servizi?". "Nel momento in cui dico che non ha avuto e non ha rapporti escludo anche che possa esserne stato una fonte informativa". Vasaturo prova allora a prenderla da un’altra parte: "Esclude anche che possa aver avuto rapporti con settori deviati dei Servizi?". L’avvocato Naso salta su come una molla. "È inammissibile – grida – questa domanda è inammissibile". Il Tribunale accoglie l’obiezione. Vasaturo prova a riformulare: "Le risulta che Carminati abbia avuto rapporti con il Sismi di Pazienza, Musumeci, Santovito? E che…". Non ha il tempo di concludere. Naso torna ad investirlo con furia. "Ma che cosa sta dicendo? – urla – Quello che sta affermando è smentito da sentenze passate in giudicato".

Il tribunale torna a ritenere la domanda inammissibile. Minniti viene congedato e Vasaturo torna a prendere posto nel banco delle parti civili. Ma il nervo scoperto è stato toccato. Come dimostra lo scontro che si accende sulla deposizione dell’uomo che prende il posto di Minniti sul banco dei testimoni, Lorenzo Alibrandi, fratello di quell’Alessandro già militante dei Nar indicato come l’assassino di Walter Rossi, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel 1981, e amico fraterno di Carminati nella stagione dell’eversione armata nera. Da Lorenzo Alibrandi, a sua volta indagato nel processo Mafia Capitale (anche se per lui la Procura ha chiesto recentemente l’archiviazione), il pm Tescaroli vuole sapere dei rapporti tra il fratello Alessandro e Carminati. Chiarire la sostanza e la continuità di un sistema di relazioni 'nero' che, trent’anni dopo, si è fatto associazione criminale e strumento di corruzione con la ditta Carminati-Buzzi.

Lorenzo Alibrandi, che dell’amicizia di Buzzi e Carminati aveva goduto i vantaggi con la sua onlus 'Piccoli passi', minimizza: "Che le devo dire dell’amicizia tra mio fratello Alessandro e Massimo Carminati? Terroristi? Io direi che erano ragazzi. Avevano vent’anni. Facevano le vacanze insieme con le fidanzate. Certo, mi ricordo delle scenate di mio padre, che faceva le 5 di mattina e diceva a mio fratello: 'Hai 17 anni e già 14 procedimenti penali… Che fine vuoi fare?'. Io, nelle storie dei processi di mio fratello non ho mai voluto sapere".

Dove voglia arrivare la pubblica accusa è chiaro. E, ad esplicitarlo, ci pensa il controesame della parte civile. L’avvocato Giulio Vasaturo torna a illuminare l’opacità delle relazioni di Carminati con uomini delle istituzioni ed evoca, senza citarle, due audizioni di fronte al Csm del marzo e del giugno 1980, quando l’allora pm di Roma Mario Amato denunciò le forti pressioni subìte dall’allora giudice Antonio Alibrandi, padre di Lorenzo e Alessandro, per condizionare l'inchiesta che Amato stava conducendo sui Nar e che gli sarebbe costata la vita (Amato fu ucciso dai Nar il 23 giugno 1980).

Chiede a Lorenzo Alibrandi: "La sua amicizia con Massimo Carminati era condivisa anche da altri componenti della sua famiglia?". "Sì". "Parliamo di sua sorella, sua madre e suo padre?". "Soprattutto di mio padre e mia madre. Massimo era spesso a casa nostra". "Che mestiere faceva suo padre?". "È andato in pensione come giudice di Cassazione". "Tra il ’79 e l’81, che lei sappia, suo padre è mai intervenuto presso qualche suo collega…".

L’avvocato Giosué Naso esplode. "C’è opposizione a questa domanda!". Vasaturo insiste: "La domanda è rilevante. È utile capire se i rapporti tra Lorenzo Alibrandi e la sua 'Piccoli passi onlus' abbiano altre motivazioni…". Naso, che per altro è anche legale di Lorenzo Alibrandi, perde la testa. Investe di epiteti Vasaturo nel silenzio di un’aula dove non è nuovo a questo genere di aggressioni e dove tuttavia nessuno sembra avere la forza di mettere un punto a questo tipo di spettacolo. "Tu ti devi solo vergognare a dire queste stronzate! – grida Naso a Vasaturo - Ti devi solo vergognare! Perché sei un cialtrone! E mi assumo la responsabilità di quello che dico. L’avvocato Vasaturo è un cialtrone!". Il presidente, Rossana Ianniello, avvisa che quanto sta ascoltando verrà messo a verbale. Quindi, accoglie l’opposizione di Naso. Domanda inammissibile. Vasaturo si siede. E si alza Carminati.

Dal carcere di Parma, dove è collegato in video-conferenza, vuole chiudere l’udienza con parole che rendano esplicito con quale spartito si prepari a giocare l’ultimo miglio di un processo che sta per entrare nella sua fase conclusiva. Dove tra un reato di associazione mafiosa e uno di semplice associazione a delinquere balla una differenza di almeno una decina di anni di carcere. E, dunque, la prospettiva, per un uomo che ha superato i 60, di avere o meno ancora un tratto di vita da uomo libero.

"Non rinnego nulla della mia vita – esordisce Carminati - E soprattutto non rinnego l'amicizia con Alessandro Alibrandi. La mia vita è stata quel che è stata ma io ho sempre pensato che è meglio avere un'idea sbagliata che nessuna idea, come capita a tanti oggi". Quindi, senza prendere fiato: "Il pm Tescaroli può chiedere l'ergastolo per me. Io ammiro la sua cattiveria professionale però non me deve fa' la morale. Io non ho mai fatto la morale a nessuno. Non mi sono lamentato quando agenti di polizia mi hanno sparato in faccia, abbattuto in mezzo alla strada, mentre ero disarmato (il riferimento è allo scontro a fuoco del 20 aprile del 1981 quando, al valico del Gaggiolo, mentre cercava di fuggire all'estero con altri esponenti dei Nar, perse un occhio, ndr). Non mi sono costituito neanche parte civile nei confronti degli agenti che mi hanno sparato, perché ho riconosciuto il loro diritto a spararmi, in quel contesto storico-politico. Chi non sa quel che è accaduto in quegli anni, prima di parlare dovrebbe informarsi".

È un modo per rivendicare orgogliosamente un passato di cui Carminati non accetta riletture a posteriori, al punto da irriderle con sarcasmo. "Forse per chiedere conto dei miei contatti con i servizi segreti, dovevate rivolgersi al sottosegretario ai servizi segreti deviati e non al senatore Minniti. Ma questa è una battuta. Lo dico per i giornali. È solo una battuta. Perché sono da anni vittima di leggende metropolitane, alimentate dalla stampa. Per troppo tempo sono stato zitto ed ho sbagliato perché dovevo confutare ogni accusa a mio carico. Anche quando mi hanno accusato di aver ammazzato il banchiere Calvi. Mi scusi, presidente, se mi sono dilungato, ma non ho parlato per quarant'anni".

L’udienza si chiude. Carminati continua dunque a parlare (è accaduto con regolarità nelle ultime udienze). Ma con "dichiarazioni spontanee". E questo non aiuta ancora a dare una risposta alla domanda che dall’inizio di questo processo si porta dietro il dibattimento e che potrebbe, in un senso o in un altro, determinarne almeno in parte l’esito. Carminati parlerà anche quando si tratterà di dare delle risposte a delle domande? O, come è suo diritto e come a quanto si capisce preferirebbe il suo avvocato, sceglierà di sottrarsi all’esame di pubblica accusa e parti civili?