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I "letti di Francesco" ospitano i bambini dimenticati. Il Serafico d'Assisi apre le porte ai minori disabili in fuga dalla guerra

ASSOCIATED PRESS
ASSOCIATED PRESS 

Eddy ha sei anni, viene dal Kosovo ed è affetto da tetraparesi spastica, un disturbo che gli provoca attacchi epilettici e rende più complicata la sua alimentazione. Lui è solo uno dei tanti “bambini dimenticati”, quelli ai quali la guerra ha tolto il diritto di un’infanzia normale e di un’assistenza sanitaria adeguata alle loro particolari condizioni. Sono dimenticati perché la disabilità è un pensiero sul quale non ci si può concentrare, quando gli altri problemi sono così grandi da far passare tutto il resto in secondo piano.

Non si è scordato però di loro Papa Francesco, che durante una visita nel 2013 al Serafico d’Assisi, centro di riabilitazione e ricerca per ragazzi con disabilità plurime, ha ispirato un’idea che oggi, a distanza di tre anni da quell’incontro, vede finalmente la luce. I posti letto del centro daranno spazio anche a bambini disabili gravi, che fuggono da guerre o da situazioni di assoluto abbandono.

Il progetto s’intitola “I letti di Francesco”, per omaggiare il Pontefice e il santo dal quale prende il nome, noto per la sua carità. L’iniziativa, infatti, sarà sostenuta esclusivamente con la beneficenza ed è un’ultima ulteriore risposta al fenomeno delle migrazioni internazionali, con lo scopo di difendere i più inermi di tutti: i minori malati.

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Per cominciare i posti letto a disposizione saranno due. Uno di questi è occupato da Eddy, che sembra stia già reagendo bene alle nuove terapie. A fargli compagnia sarà una ragazzina di 14 anni arrivata da Kirkuk, in Iraq, città dalla quale è stata costretta a fuggire dall’Isis.

La sera del 2 giugno 2014 il padre Nameer stava tornando a casa dal lavoro quando è stato fermato da un gruppo di uomini armati con il volto coperto. Dopo essere stato tirato fuori dall’auto con la forza, si è ritrovato con un’arma puntata sulla fronte: “Conosciamo bene la tua famiglia di cristiani infedeli. Non avete il diritto di vivere qui. Ve ne dovete andare, altrimenti vi uccideremo”. Nameer è corso a casa, ha raccolto i suoi documenti, quelli della moglie Elhan e del resto della famiglia. A Kirkuk lui faceva il veterinario, lei l’insegnante. Qualche tempo dopo avrebbero abbandonato per sempre la loro città e la loro vita.

Nameer e Elhan non viaggiano però soli. Con loro ci sono anche i quattro figli, di cui il maggiore ha gravi problemi alla vista e la terza, ai tempi 12enne, è rimasta disabile a causa di una paralisi celebrale subita alla nascita. È lei a soffrire principalmente i danni della fuga: senza più la possibilità di fare riabilitazione e senza accesso alle medicine necessarie le sue condizioni si aggravano ulteriormente.

A prendere a cuore la loro storia è Don Mario Cornioli, un prete toscano che opera in Giordania, dove la famiglia si è intanto rifugiata. Grazie al programma di reinsediamento gestito dal Ministero dell’Interno viene disposto il loro trasferimento in Italia, per la ragazza si aprono le porte del Serafico e diventa suo uno dei letti di Francesco.

“I posti letti che abbiamo creato con questo progetto – dichiara Francesca Di Maolo, presidente del Serafico – godranno di tutte le necessità strumentali, di organico e di figure sanitarie specializzate e saranno totalmente a carico della solidarietà delle persone, nella convinzione che tutti siamo responsabili e custodi della vita. Quando c’è un bambino che soffre in qualsiasi parte della Terra non si può perdere tempo con la burocrazia, con le sue lentezze, con i suoi limiti territoriali”.

Da qui la decisione di uscire dai confini dell’ordinaria operatività: “Vogliamo offrire i nostri servizi e la nostra specializzazione anche ai bambini dimenticati, quelli per cui il Serafico potrebbe fare la differenza tra il sopravvivere e il vivere. Vogliamo che la vita vinca sempre, anche quando è ferita dalla guerra e dalla povertà”.

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