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Politica

Congresso Pd, Andrea Orlando annuncia la candidatura da "figlio del Partito"

Orlando: "Mi candido per vincere"

Da figlio del Partito, quello di una volta. Andrea Orlando sceglie la sezione Marconi – non la tv - per presentarsi ai militanti: “Compagni, io sono di sinistra, ma non voglio rifare la sinistra dove era, voglio fare il Pd, rifondare un progetto e un sogno ancora valido”. I militanti sono stipati in piedi, come in metropolitana all’ora di punta, anche sulla terrazza vista Gasometro. Sulle pareti uno scatto di Enrico Berlinguer, simbolo di un passato che, non c’è niente da fare, la mitica base non rottama: “Il ragazzo è di scuola – sussurra qualcuno – altro che Silicon Valley assieme a Carrai”.

Chiacchierando coi militanti si capisce che, se non ci fosse il figlio del Partito, starebbero a casa, o andrebbero via a mala voglia. Orlando parla a braccio, con un microfono a gelato in mano, senza cravatta (ma con la giacca). Parla della “rabbia”, dello “scontento”, della “disperazione della società italiana”, “dell’enorme segnale del 4 dicembre”, voto che ha rappresentato “una presa di distanza di pezzi di popolo dalla sinistra”. Moderato, ma incisivo, come gli hanno insegnato quando aveva i pantaloni corti nella Fgci, non attacca mai Renzi, ma nella sostanza ne critica stile, approccio e narrazione: “Da me non sentirete mai parole che potete ascoltare da un populista sovranista o nazionalista, parole entrate dentro di noi. E se diventiamo troppo simili a loro sceglieranno loro”.

All’uscita, Rosaria Capacchione fuma una sigaretta con Gian Carlo Sangalli, altro senatore del Pd: “Il ragazzo è di scuola, serio”. Esce Elisa Simoni, parlamentare toscana che lo ha molto spinto a candidarsi: “Questa si chiama politica”. Un collega si gira verso di lei: “Almeno è un candidato normale”. Ecco, un candidato normale “nella sagra dell’antipolitica” (altra immagine orlandiana), tra l’avventurismo ego-riferito dell’ex premier e il grillismo pugliese di Emiliano, passato in una settimana da un pranzo con Berlusconi al soccorso alle primarie di Renzi, attraverso una sala alla quale aveva assicurato un patto di fedeltà sulle note di Bandiera Rossa.

Figlio del partito, per arginare (o provarci) la deriva antipolitica del Pd. Non a caso, negli ultimi giorni, Orlando ha incassato l’endorsement esplicito di padri nobili di quel Partito, come Luciano Violante, e il sostegno silenzioso e implicito degli ultimi grandi vecchi della generazione togliattiana: Giorgio Napolitano ed Emanuele Macaluso. In questi giorni in parecchi sono andati a trovare a palazzo Giustiniani il presidente emerito, per condividere preoccupazioni, su Pd e governo, e per dire che “sì, sarebbe opportuno che Andrea rompesse gli indugi”. Quella frase di Orlando sulla prepotenza (“mi candido contro la prepotenza”), ricalca, nella sostanza un giudizio condiviso da parte dell’ex inquilino del Colle. Prepotenza che riguarda il doppio tentativo di blitz, sulle istituzioni (la corsa al voto anticipato) per un disegno di rivincita personale e sul del partito con un congresso-lampo. La linea della crisi e dell’avventura, si sarebbe detto una volta, attraverso la conta plebiscitaria del congresso del Pd.

Il Fatto ha notato qualche giorno fa, nel quartiere Testaccio, una lunga e riflessiva passeggiata di Giorgio Napolitano con Emanuele Macaluso, altro grande vecchio della sinistra. Il risultato sono una serie di uscite pubbliche dell’ex direttore dell’Unità che sosteneva la necessità di un “congresso straordinario” e di una conferenza programmatica, proprio come Orlando. Sono i giorni in cui il tesoriere Ugo Sposetti, detentore del patrimonio immobiliare del Pci-Pds-Ds, ha fatto sapere che non avrebbe seguito D’Alema nella scissione. E sosterrà, senza enfasi e sceneggiate, il guardasigilli, unico “giovane” invitato al suo settantesimo compleanno.

Nella sezione del Porto fluviale, torna l’eco dei codici e del linguaggio di Partito: “Mi dicono: ma se arrivi terzo, poi come fai tutelare i tuoi nelle liste? Rispondo: arriverò primo e dico al secondo e al terzo: non vi preoccupate perché io non sarò il capo della mia corrente ma il segretario del Partito democratico”. Rifondare il Pd, riconnetterlo col “popolo”, ripristinare il rispetto dei “corpi sociali”, esporre un programma di governo senza effetti speciali (“la conferenza programmatica la farò io, a Napoli”) e, soprattutto, tanto tanto partito: “Io voglio ascoltare i compagni. E sono venuto qui perché quando si prende una botta si torna nei luoghi dove si discute”. Ecco il programma del candidato Orlando, in un difficile equilibrismo tra passato e futuro. Si potrebbe dire che mentre Emiliano si propone “contro Renzi”, Orlando si propone di andare “oltre”, anche perché di quel governo che ha fatto jobs act, buona scuola, riforme è stato parte e anche, oggi, di quello Gentiloni.

Già, i “compagni”. Torna la parola, senza tanta autocritica di questi anni di rottamazione, anche simbolica, della sinistra. È evidente, nel linguaggio e nell’impostazione, il tentativo di stimolare l’orgoglio ds e della mejo gioventù di quel partito cresciuta a pane e politica nel ventennio di D’Alema e Veltroni. Nel Pd arriva il sostegno di Nicola Zingaretti, Cesare Damiano, Goffredo Bettini, arriveranno altri veltroniani e chissà, forse Cuperlo. Il grosso dei turchi sta col guardasigilli, mentre Orfini e Martina sosterranno Renzi. Il problema, però, lo spiega un parlamentare: “Un pezzo di quel mondo se ne è già andato prima di Bersani, poi se ne è andato pure Bersani. Dobbiamo dire a quelli della sinistra sul territorio di darci una mano, semmai escono dopo. Il partito non c’è più come una volta, un minimo di struttura ce l’hanno loro”. Le primarie, “sagra dell’antipolitica”, sono la competizione più difficile. Senza albi, senza controllo, bastano due euro per votare, non serve la tessera. In un programma tv, Emiliano ha fatto appello al voto contro Renzi, i renziani sono pronti a una chiamata di segno opposto. Competizione complicata. All’uscita Sangalli cerca un taxi con qualche collega: “Oggi è andata bene, abbiamo dato un messaggio simbolico, ma adesso dobbiamo darci sotto con iniziative che parlino al paese”.

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