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Politica

E ora Renzi teme il tradimento di Franceschini per Orlando. L'accelerazione: primarie il 9 aprile. Dario: no al voto a giugno

Agf
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Nervosismo. Palpabile in Transatlantico e nei contatti con la California. Da lì, dove Matteo Renzi è andato per “cercare risposte contro il populismo”, arriva l’accelerazione: primarie il 9 aprile. Direttamente sul tavolo della commissione congressuale, l’organo presieduto da Lorenzo Guerini che domattina deciderà ufficialmente la data della corsa per la segreteria. La scelta di Andrea Orlando di scendere in campo contro la “politica della prepotenza” semina nervosismo tra i renziani che ora temono l’appoggio esterno da parte dei bersaniani scissionisti. Le primarie per l’elezione del segretario infatti sono aperte ai non iscritti. Ma non solo. Renzi teme anche che Dario Franceschini possa tradirlo per Orlando: sarebbe la fine.

Per ora, Franceschini non ha minacciato di bloccare la proposta di Renzi di indire le primarie il 9 aprile, vale a dire prestissimo. Ma continua a rassicurare i suoi e anche il Quirinale sul fatto che una scelta del genere non riapre la finestra del voto anticipato a giugno. Per Franceschini, che su questo gioca di sponda con Sergio Mattarella, quella finestra è chiusa, sigillata. Peraltro oggi anche la seconda carica dello Stato Pietro Grasso è tornato a dire che la legislatura deve arrivare “a scadenza naturale”.

E pure il premier Paolo Gentiloni è intervenuto, cosa che non fa spesso, per dire che il governo ha davanti un "lavoro ancora lungo per completare e sviluppare le riforme decise dal governo Renzi". "E' chiaro che le operazioni che dobbiamo fare nelle prossime settimane in particolare con il Def, con la prospettiva che ci aspetta, richiedono un'ulteriore accelerazione del ritmo delle riforme", sono le parole di Gentiloni riferite alla correzione da 3,4 miliardi di euro chiesta dalla Commissione Ue per aprile.

Renzi e i suoi giurano che dietro l’accelerazione sulle primarie non c’è la minaccia di tornare al voto prima dell’estate. Rassicurazione che troverebbe conferma nelle parole di Gentiloni, che continua ad avere un asse speciale con Renzi. L'accelerazione è invece legata alle amministrative. E il trucco per giustificarla se lo sono inventati già cinque giorni fa: all’assemblea nazionale di domenica scorsa al Parco dei Principi.

Eccolo: l’assemblea avrebbe dovuto votare l’affidamento del simbolo al tesoriere del partito Francesco Bonifazi, dopo le dimissioni del segretario Renzi. E invece questa votazione non è avvenuta. Il simbolo è ancora nelle mani del segretario, anche se questi è dimissionario. Roba quasi da azzeccagarbugli ma tant’è. Ora: per presentare le liste alle amministrative – presumibilmente entro l’11 maggio, se la data più probabile del voto locale è l’11 giugno – il segretario deve essere in carica, in modo da ‘consegnare’ il simbolo agli organi provinciali in tempo.

E’ questo il ragionamento con cui Renzi e i suoi hanno costruito la proposta del 9 aprile. Il 7 maggio infatti sarebbe tardi in quanto il segretario viene proclamato dall’assemblea una settimana dopo le primarie (il 14 maggio). Il 16 aprile è Pasqua. E anche la data del 23 aprile, che tuttora resta possibile sulla carta, verrebbe scartata in quanto cade in mezzo al ponte della Festa della Liberazione e non favorisce la partecipazione. Così come il 30 aprile, in mezzo al ponte del primo maggio. Un dedalo kafkiano che riesce a ricostruire la data del 9 aprile quando invece sembrava tramontata.

L’ultima parola la dirà la commissione congressuale domattina. Per ora Franceschini non si è messo di traverso sul 9 aprile. Ma per il ministro resta chiaro che il voto a giugno non esiste. Certo, a parte la promessa di Renzi, niente può garantirglielo nel momento in cui il segretario sarà a tutti gli effetti eletto per la metà di aprile, tempo utilissimo per virare verso il voto anticipato. Ma per ora l’asse con Renzi c’è. E’ lui che non si fida. O comunque dalla California resta più che guardingo: teme che il partito sia al lavoro per sostituirlo al vertice con Orlando.

Il Guardasigilli infatti non è Emiliano. E’ una candidatura che parla allo zoccolo duro del Pd che mal-sopporta Renzi. Se ha tempo per rafforzarsi può diventare insidiosa. E le primarie il 9 aprile lasciano pochissimo tempo a tutti gli altri candidati per organizzarsi. Per ora sono in quattro: Renzi, Orlando, Emiliano e si è aggiunta Carlotta Salerno, vicina al deputato sardo-torinese Giacomo Portas, area centrista del Pd.

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