Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Archivio

"Dopo venti anni, vi racconto la mia città e i suoi cambiamenti": intervista a Ferzan Ozpetek, regista di "Rosso Istanbul"

Ansa
Ansa 

Ci sono storie che richiedono di essere raccontate per immagini e ce ne sono altre che per concretizzarsi in una visione hanno bisogno di quel graduale disvelamento che solo la scrittura è capace di compiere. Lo sa bene Ferzan Ozpetek, regista e sceneggiatore, nonché autore di due libri bestseller – “Rosso Istanbul” e “Sei la mia vita” – pubblicati entrambi dalla Mondadori. Il primo, che proprio in questi giorni torna con una nuova veste grafica e con una galleria fotografica all’interno, è diventato un film, “Rosso Istanbul” appunto, che uscirà nelle sale italiane il prossimo 2 marzo per 01 Distribution.

“Il romanzo, in realtà, è stata solo la partenza”, ci spiega il regista italo/turco quando lo incontriamo a Roma. È il giorno della presentazione ufficiale del suo undicesimo lungometraggio e come spesso accade in questi casi, anche lui è visibilmente emozionato. “Con Gianni Romoli e Valia Santella (con cui ha scritto la sceneggiatura, ndr) abbiamo inserito molti elementi nuovi, dei veri e propri colpi di scena che trasformano la storia in una specie di thriller e svelano man mano ciò che all'inizio non si conosce”. Tra le novità, c’è anche un personaggio che nel film è il protagonista: si tratta di Orhan (è la star turca Halit Ergenç), uno scrittore che, dopo aver pubblicato un romanzo di grande successo, decise di andarsene via dalla Turchia in circostanze drammatiche, iniziando una nuova vita in Inghilterra facendo l’editor. Venti anni dopo quella fuga, ritorna nella sua città d'origine per correggere il libro del famoso regista Deniz Soysal (Nejat Isler), ma resterà intrappolato in una città piena di ricordi dimenticati per troppo tempo. Attraverso i suoi occhi, di un blu ceruleo come le acque del Bosforo - quel braccio di mare che divide la parte occidentale di Istanbul da quella asiatica – Ozpetek ci mostra quella città – che è poi il posto dove sono nati entrambi – preferendo però farci vedere i luoghi meno conosciuti come la metropolitana che la attraversa o i numerosissimi grattacieli che ne hanno cambiato profondamente il panorama.

media_alt

Prodotto dalla R&C Produzioni degli insostituibili Tilde Corsi e Gianni Romoli con la turca BKM-Imaj, il film inizia con una data sullo schermo (13 maggio 2016) “perché - come ci spiega Ozpetek - volevo sottolineare che Istanbul fino a quel giorno era così”, ma soprattutto perché voleva ricordare il primo giorno di riprese di “Hamam-Il bagno turco” (il suo primo film), iniziate in quella data di venti anni fa.

Istanbul è dunque lì e la fa da protagonista in questo film che non si può non amare, con la differenza che se nel primo film era mostrata come una realtà che sapeva che non ci sarebbe stata più, adesso è raccontata attraverso le sue modifiche e i suoi cambiamenti. È comunque una città speciale che conquista con i suoi colori tipici - il blu e il rosso che solo lì riescono a fondersi in alcuni tramonti del Bosforo creando un tutt’uno meraviglioso – e persino con i suoi rumori, non sempre piacevoli, ma a volte inquietanti - dalle voci del muezzin alle insopportabili trivelle che scavano e distruggono palazzi per costruirne di nuovi. Sono “il sacro e il profano”, due particolari che vivendo a stretto contatto rendono quella città ancora più strana ed affascinante. “Se ci andate ora è diversa, perché sta mutando di continuo anche negli umori delle persone”, ci spiega. “La cosa che conta di più è proprio l’atmosfera e l’umore delle persone, perché sono loro che fanno una città”. Tornarci dopo molto tempo, per il protagonista, così come per lui “è stato un ritorno a casa”, un tornare indietro negli anni in cui passava il suo tempo in una grande villa affacciata proprio su quel mare, che in molti cercano di attraversare a nuoto ma che in pochi riescono a farlo davvero.

A differenza di Orhan, comunque, Ozpetek è andato via dalla Turchia quarantuno anni fa scegliendolo consapevolmente e non perché spinto da altri motivi o problemi. “Stavo andando negli Stati Uniti, ma poi mi fermai in Italia, un posto poco adatto negli anni Settanta ad un ragazzo che doveva farsi un futuro, e me ne innamorai. Oggi vivo in tutti e due i Paesi che amo incondizionatamente: hanno entrambi i loro guai in maniera diversa, questo è sicuro, ma sono pieni anche di tante gioie”.

media_alt

Fare un film come questo è stato per lui come immergersi di nuovo nel passato, una maniera per evocare luoghi e personaggi che ormai stanno scomparendo. “Tutto sta cambiando molto in fretta in Turchia e durante le riprese, mi sembrava di perdere continuamente la mia città, quasi sfumasse nel clima pesante e di profonda incertezza che oggi l'avvolge e pertanto, il film ha assunto un valore speciale”, tiene a spiegarci. Girare un film del genere, visti i tumulti che ci sono stati soprattutto in quei giorni, non è stato facile, ed è lui stesso a confermarcelo assieme a Tilde Corsi e Gianni Romoli. “C’era una continua paura degli attentati e più di una volta abbiamo dovuto rinviare di alcune giornate la possibilità di girare in certi luoghi considerati pericolosi, costantemente seguiti da un servizio di sicurezza”. “Mentre stavo girando sono accadute cose molto gravi, come una persona che si è fatta scoppiare a non molta distanza dal set e le continue proteste delle "le madri del sabato" (le madri degli scomparsi che si riuniscono a piazza Galatasaray con le foto dei loro cari sul petto per chiedere notizie dei figli arrestati dal regime e poi scomparsi, ndr), che ho voluto mostrare in alcune scene per ricordare a tutti noi quanto sia difficile oggi vivere liberi in Turchia”.

Quell’atmosfera carica di tensione si respira in tutto il film, pervaso dalla sensazione che stia per accadere qualcosa, una continua inquietudine che si trasmette anche ai personaggi e restituisce il clima di un paese e dei suoi continui cambiamenti.

Dei cambiamenti è stato vittima a suo modo anche Orhan, “un estraneo nel suo Paese”, che lì incontrerà Neval (Tuba Buyukustun) e Yusuf (Mehemet Gunsur), la donna e l’uomo a cui Deniz (un nome maschile e femminile che in turco significa “mare”) è più legato, come altri personaggi fondamentali come Sibel (una sempre perfetta Serra Yilmaz), la zia Betul (“che mi ha insegnato a far volare gli aquiloni”) e la zia Güzin (“che cucinava per me dolci squisiti”), ma soprattutto Sureyya (Cidgem Onat), la madre di Deniz, che ricorda molto la madre di Ozpetek, recentemente scomparsa, “una donna per certi versi antica, dall’eleganza schiva e rigorosa eppure così moderna e anticonvenzionale”, una donna che amava il colore rosso e che lo faceva sentire amato “senza riserve”. A lei è dedicato questo film toccante e nostalgico, impreziosito da musiche che vanno da quelle della star emergente turca Gaye Su Akyol a quelle originali di Giuliano Taviani e Carmelo Travia, senza dimenticare, ovviamente, i rumori della metropoli. Da non perdere.

media_alt
I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione