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Gary Shteyngart a "Libri Come" racconta i suoi Stati Uniti: "Il terrorismo è il male del secolo, Donald Trump l'anti-cultura"

Giuseppe Fantasia
Giuseppe Fantasia 

Quando da Leningrado si trasferì con la sua famiglia a New York, Gary Shteyngart aveva sette anni. Né i suoi genitori - né tantomeno lui - avevano mai fatto un viaggio così lungo: la paura era tanta, la speranza poca, ma dalla Russia bisognava andar via nonostante l'inglese fosse una lingua conosciuta solo nelle sue parole essenziali. Una volta lì, non trovarono ostacoli, ma l'accoglienza, "una parola che oggi, per colpa di uno come Trump, negli Stati Uniti si sta dimenticando", ci dice quando lo incontriamo a Roma. "Da liberal americano, mi ha fatto un certo effetto ascoltare le sue parole contro gli immigrati e vedere poi tutta quella gente assiepata all'aeroporto", aggiunge. "I miei genitori, che sono repubblicani, e tanti come loro, non lo amano perché lo considerano la controparte di Putin".

Shteyngart oggi ha quarantaquattro anni ed è uno degli scrittori più apprezzati d'America. Nel 2010 il New Yorker lo segnalò tra i migliori under quaranta e i suoi libri – Il manuale del debuttante russo, Absurdistan, Mi chiamavano Piccolo Fallimento (la sua autobiografia) – tradotti in ventotto lingue, hanno tra i suoi fans Jonathan Franzen ed Edmund White.

In Storia d'amore vera e supertriste, scritto sette anni fa e ripubblicato di recente in Italia (come tutti gli altri) da Guanda, è il libro che ha anticipato tutto quello che è poi successo suo Paese. Il protagonista è un ebreo russo che non può non far pensare allo scrittore il cui vero nome è Igor Shteyngart, trasformatosi in Gary una volta a New York e grande ammiratore di Reagan sin da piccolo. "Pensavo che a una situazione del genere dove l'autoritarismo è crescente, l'odio e il disprezzo sono le regole del governo e le divisioni del popolo e la mancanza di dialogo le dirette conseguenze, ci saremmo arrivati tra vent'anni, non adesso", ci spiega poco prima del suo incontro con il pubblico a "Libri Come".

"Negli Stati Uniti non c'è una dittatura, ma la situazione non mi fa sperare in un miglioramento. I semi di quello che accade oggi sono già stati piantati nel tempo. La classe lavoratrice americana dei bianchi si è svegliata all'improvviso e non c'è più un futuro garantito, né per loro né per i loro figli. È stata svelata la grande menzogna: c'è una élite che continuerà ad avere i privilegi e le garanzie e poi tutti gli altri, la maggioranza, che si ritroveranno ad affrontare un futuro pieno di incertezze".

Il terrorismo? "È il male del secolo", risponde secco per poi passare a parlare di Trump, "l'anti-cultura per eccellenza, tanto che siamo l'unica nazione al mondo a non avere un programma culturale". "Per colpa sua - aggiunge - c'è sempre più paura a venire negli Stati Uniti e per la prima volta chi viene da noi non si sente il benvenuto: vi pare possibile una cosa simile?". In tutto questo - ci dice fissandoci da dietro i suoi occhiali da vista tondi e neri - la Russia sta avendo la meglio e l'America le assomiglia sempre di più".

Nel frattempo, Shteyngart, grande appassionato dell'Italia ("ho vissuto poco più di un anno a Roma, abitavo vicino piazza Vittorio"), sta scrivendo il suo quarto libro, la storia di un gestore di fondi d'investimento la cui vita – lavorativa e affettiva – va a rotoli da un momento all'altro per via di un esaurimento nervoso e si ritrova a girare gli Stati Uniti in pullman come forma di penitenza. "È una storia che sto ancora finendo d'inventare e che assomiglia molto ad un documentario, un viaggio attraverso l'America nell'estate di Trump, che non è il personaggio principale, ma ad esserlo è la reazione degli altri a quello che sta accadendo. Siamo sulle montagne russe e viviamo continuamente su e giù, su giù, vediamo cosa succede...".

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