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Cultura

"Dopo la morte di Marta, ho percorso 4mila km a piedi per salvarmi la vita e ridarle un senso, aiutando gli altri"

Christian Cappello
Christian Cappello 

Il Natale del 2015 doveva essere per Marta Lazzarin e Christian Cappello l'ultimo da trascorrere in due. Dopo 15 anni insieme, durante i quali hanno fondato un blog di viaggi, lei era incinta del loro primogenito. Marta e Christian non erano soliti scambiarsi regali tradizionali sotto l'albero, ma delle donazioni, a nome dell'uno e dell'altro. In quell'anno, senza mettersi d'accordo, scelsero la stessa onlus, che raccoglieva fondi per la ricerca contro la fibrosi cistica. Pensarono allora di girare l'Italia, raccontando il loro viaggio per far conoscere le malattie rare.

Pochi giorni dopo, però, Marta si è spenta in un letto d'ospedale e con lei se n'è andato anche il figlio. Il 2 aprile 2016 sarebbe dovuto nascere Leonardo. Dalla loro morte, sino a quel giorno, Christian ha trascorso il tempo a piangere, a isolarsi e a pensare persino al suicidio, ma in quella stessa data ha deciso di segnare la sua rinascita: ha intrapreso un viaggio a piedi in giro per l'Italia, per visitare di persona i ventisette centri di ricerca sulla fibrosi cistica, far conoscere la malattia e raccogliere fondi a favore della causa. Ha deciso di farlo "sia per realizzare il volere di Marta, sia per salvarmi la vita, per ridarle un senso, aiutando gli altri".

Lo ha raccontato in prima persona nel libro "Andare avanti", edito Mondadori. Un diario di viaggio atipico, in cui il racconto si mescola allo sfogo, al bisogno di ricordare e, appunto, andare avanti. Il resoconto di un cammino per ridare senso alla propria vita, attraverso la solidarietà, donata e soprattutto forse ricevuta.

"Partirò a piedi, con Marta virtualmente per mano e il mio piccolo Leonardo sulle spalle", aveva scritto in un blog, prima di partire. Di certo non immaginava che al suo fianco, negli oltre 4mila chilometri a piedi percorsi, avrebbero camminato anche migliaia di persone sino allora sconosciute, malati, familiari, medici o curiosi, pronti a ospitarlo durante le tappe e a tendergli la mano, per aiutarlo a proseguire nei momenti più duri.

Della sua storia è venuto a conoscenza Papa Francesco, che ha voluto chiamarlo di persona per incoraggiarlo a sua volta. E da questa storia è nata una onlus, Marta4Kids, che raccoglie fondi per la ricerca.

Christian, quale fase di questi 4mila chilometri è risultata la più difficile?

L'inizio, sicuramente. Mi sentivo solo, mi mancava incredibilmente la mia compagna. Fortunatamente c'era sempre tanta gente intorno a me, che mi accompagnava nel cammino o mi ospitava nelle proprie case. Non avevo il tempo di struggermi dal dolore e piano piano questo mi ha fatto andare avanti.

Ricordi qualche momento in particolare?

Ricordo i malati di fibrosi cistica che camminavano con me. Questa malattia colpisce i polmoni, riduce l'apporto d'ossigeno, quindi chi ne è affetto fa più fatica e spesso è a a corto di fiato. Eppure in ogni regioni c'era qualche ragazzo che passeggiava al mio fianco. La persona con il passo più lento camminava sempre davanti a tutti, perché l'aspettavamo. Tutti i ragazzi sono sempre arrivati fino alla fine della tappa giornaliera. Ho incontrato persone che hanno sofferto, che sanno che la vita non è eterna, che hanno un rapporto particolare con la morte e una profondità d'animo che non avevo mai riscontrato in nessun altro. Continuo a mantenere i contatti su Facebook e quando ogni tanto qualcuno di loro non ce la fa, sono incredibili i commenti che leggo sui social. Ne ricordo uno in particolare: "Sei fortunato, adesso respirerai come hai sempre sognato".

Christian Cappello
Christian Cappello 

E quando ti ha chiamato papa Francesco cosa hai pensato?

Che non fosse lui, che un mio amico mi stesse facendo uno scherzo. Quando ho sentito 'Ciao, sono Papa Francesco' (imita l'accento del papa ndr) ho risposto 'Ah sì, e quindi?'. Io gli avevo inviato una lettera tempo fa, non l'avevo mostrata a nessuno e lui me ne lesse i primi versi, quindi ho capito che si trattava davvero del Pontefice. Non me l'aspettavo e non sapevo cosa dirgli, a un certo punto l'ho persino chiamato Sua Immensità. Mi ha detto di non aver paura, che sarei riuscito ad arrivare fino in fondo.

Aveva ragione, sei riuscito a completare il tuo viaggio. Che risultati hai portato a casa?

Il viaggio, nel suo piccolo, ha contribuito a far conoscere la malattia, grazie ai convegni e alle visite negli ospedali. Ho deciso di fondare Marta4Kids per essere cristallino nella raccolta fondi e alla fine abbiamo portato a casa 115mila euro, di cui 100mila sono già stati donati a Ierfc, l'Istituto Europeo per la Ricerca sulla Fibrosi Cistica. Lo scienziato che sta seguendo il progetto si chiama Luigi Maiuri e ha fatto passi da gigante nel suo lavoro. Il pregio della nostra onlus è anche quello di non avere spese: se qualcuno dona dieci euro, tutti vengono stanziati per la ricerca. Nel mio viaggio sono stato aiutato da tante persone, c'era spesso qualcuno che pagava per me, che mi ospitava.

Come si svolgevano le giornate?

Le tappe sono state 212 in totale. La mattina mi svegliavo e avevo un sistema di navigazione satellitare che mostrava dove mi trovassi in tempo reale. Le persone che volevano camminare con me sapevano dove mi trovavo. Partivo tutte le mattine verso le sette e mezza e percorrevo 30/35 chilometri al giorno.

Non sono pochi. Ti sei mai chiesto "chi me l'ha fatto fare?"

Piuttosto che stare a casa a piangere e pensare di farla finita, avrei potuto farne anche 100 di chilometri, sai. A dirti la verità verso la fine, sulle montagne abruzzesi, ero così stanco da non voler più proseguire. Mi ero impuntato come un bambino. Mi si è avvicinato un ragazzo e mi ha chiesto se mi potesse dare uno schiaffo: "Sei arrivato fino a qua e ora non vuoi andare avanti? Allora noi proseguiamo senza di te". Mi sono alzato e sono ripartito con loro. Le persone in cammino con me mi hanno dato spinta e motivazione.

Christian Cappello
Christian Cappello 

In un tuo blog scritto prima di partire ti chiedevi perché fosse successo proprio a te, perché vivere. Sono domande che ti poni ancora adesso o ti sei dato una risposta?

Non ci sono sempre risposte, ma credo che tutte le cose capitino per un motivo e mi piace pensarla così. I primi giorni dopo la scomparsa di Marta pensavo di suicidarmi, guardavo le travi sul soffitto e mi chiedevo se potessero reggere il mio peso. Era incredibile svegliarsi e dopo 15 anni non trovare più una persona al proprio fianco. Tutt'ora non riesco a crederci. Però lo so. È strano, ma bisogna andare avanti. Lei non avrebbe mai voluto che restassi chiuso in una stanza, senza farmi vedere da nessuno, con i piatti sporchi, a piangere. Neanch'io lo avrei voluto per lei. Una volta parlammo di quel che avremmo fatto se uno dei due fosse morto. "Eh, ti troverai un'altra", mi ha risposto lei. E io (ride): "Se mi succedesse qualcosa tu dovrai star comunque con me per sempre".

"Andare avanti" è una frase che ripeti spesso, oltre che il titolo scelto per il tuo libro.

Io credo ci sia qualcuno che mi sta aiutando a farlo. Ho sempre voluto viaggiare e scrivere blog e adesso riesco a farlo. Riesco a vedere le cose belle della vita. Mi dispiace solo tantissimo che i nuovi panorami incontrati nei miei ultimi viaggi lei non li abbia visti.

Mondadori
Mondadori 
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