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Esteri

L'assenza delle donne ai negoziati di Ginevra

Ansa
Ansa 

Il 23 febbraio sono arrivati a Ginevra - per un nuovo round di negoziati sulla Siria - i rappresentanti del governo di Damasco e dell'opposizione. L'articolo "i" di "rappresentanti" non è generico, ma di genere. Nel senso che le persone chiamate a negoziare sono esclusivamente uomini. Uomini i leader di 21 fazioni ribelli, uomini i delegati del governo di Assad, uomini il rappresentante Onu per la Siria, quello americano e quello russo.

L'assenza di donne al tavolo sembra quasi scontata ormai, e farla notare è una questione di lana caprina, da femminista inacidita, che guarda il dito e non vede la luna. La pensano così i diplomatici di mezzo mondo, quelli che stanno guidando l'ennesimo fallimentare incontro per la pace in Siria, quelli che preferiscono dirigere i loro sforzi nel coinvolgimento del "Cairo group" - gruppuscolo d'opposizione sostenuto dall'Egitto - e del Moscow group - suo omologo russo - piuttosto che nell'inclusione femminile. "È una situazione complicata, non possiamo pensare a queste cose", risposero nel 2014 a chi gli chiedeva perché non c'era nessuna donna al primo incontro tra le parti del conflitto siriano.

Dunque, escludere metà della popolazione che subisce una guerra dalle decisioni sulla pace è una questione secondaria. Ritagliare un posticino per tutte le componenti etniche e tutti i gruppi armati è fondamentale, mentre sentire l'opinione di quel 50 per cento che non porta la barba è ininfluente. Tutti d'accordo a riconoscere che le donne sono quelle che sopportano la maggior parte del peso di un conflitto - cercando di far sopravvivere la propria famiglia, difendendo i propri figli, arrangiandosi per campare nei campi profughi - ma nei negoziati di pace questo significa affibbiar loro l'etichetta di "vittime", includerle nelle categorie da difendere ed escluderle da quelle da ascoltare.

Le Nazioni Unite, che non mancano mai di produrre studi sulle pari opportunità, hanno anche emanato una risoluzione nel 2013, la 2122, che invitava tutti gli organizzatori di negoziati di pace a far intervenire almeno un 30 per cento di donne, non solo perché sono metà del mondo, ma anche perché pare che contribuiscano più degli uomini alla buona riuscita di un accordo.

Questa metà della società, dice l'Onu, è quella che dà le "giuste priorità". Quella che si concentra su cibo per tutta la famiglia, costruzione di un rifugio e servizi sanitari, elementi che creano le condizioni per una convivenza civile. Dopo la guerra, poi, la popolazione femminile è più attiva nel pretendere giustizia, per esempio quando esige la verità sui membri della propria famiglia che sono spariti o quando guida il difficile processo di ritorno dai campi profughi dei propri parenti e riorganizza la vita familiare in un contesto completamente da ricostruire.

Le donne, solitamente, sono coloro che dispongono dell'esperienza pratica e delle conoscenze necessarie per garantire la solidità di un reinsediamento e la sua durata. La comunità internazionale si concentra solitamente sulla restituzione delle proprietà sottratte durante la guerra, ma queste proprietà valgono assai poco dopo la distruzione subita, se non c'è qualcuno che contribuisce a creare nuovo valore, dando loro un aspetto familiare e sicuro.

Se sono madri, le donne sanno anche cosa vuol dire aver salvato i propri figli dal conflitto e cosa significherebbe affrontare altre violenze. Spesso si sono dovute occupare in prima persona dell'educazione dei bimbi (quando le scuole erano chiuse) e hanno una capacità di influenzarli e di controllarli molto superiore a quella dei padri.

La maternità è il solo ruolo che non è stato strappato loro e attraverso di esso hanno costruito la loro forza. Se questa forza viene di nuovo sottratta, privandole di qualsiasi ruolo attivo nella società, la sensazione di sconfitta andrà a permeare tutta la società di cui loro fanno parte - giova ricordarlo - almeno al 50 per cento.

Eppure così è successo in tutte le guerre di questo secolo, a partire da quella in Iraq del 2003. Dal 2000 al 2011 su 24 negoziati di pace più della metà hanno visto la partecipazione delle donne sotto il 5%. In 9 di questi sono state completamente escluse. I diplomatici tengono a perpetuare un sistema di potere maschilista ritenendo che le questioni di guerra siano questione "da uomini", specialmente nelle fasi "track 1", quelle a livello governativo.

I ruoli sono stabiliti: gli uomini sono quelli che combattono e negoziano, le donne le vittime o al massimo costruttrici di pace intorno al focolare. Persino quando hanno ruoli da protagoniste nei combattimenti, come avviene oggi in Siria con l'Unione democratica curda e il suoi battaglione Ypg, vengono escluse dai consessi internazionali. A Ginevra, in questo ultimo round, i rappresentanti del Rojava sono stati esclusi, perché troppo invisi alla Turchia, mentre sarà presente il rappresentante curdo (maschio) di un partito minoritario come il Consiglio democratico siriano (Cds).

D'altronde già nel 2015 i negoziati di Ginevra si erano contraddistinti per il loro approccio monogenere: le delegazioni di entrambi i fronti (governo e opposizione) sono sempre state interamente maschili. E, come dimostra l'attuale realtà siriana, hanno raggiunto sempre grandi risultati.

Per dare un'occhiata alla quantità di uomini presenti a Ginevra, ecco qualche foto di Reuters.

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