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Esteri

La retorica di Trump e l'ABC del populismo

Agf
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La retorica trumpiana è sempre più trumpiana. Lo stile oratorio del nuovo presidente è rimasto coerente con quello della campagna elettorale, anche nel linguaggio del corpo. Per il suo discorso d'insediamento, The Donald si è presentato con una cravatta rossa e non ha abbandonato la nuance arancio dei capelli. Lo sguardo era il solito: gli occhi stretti dello sfidante, dell'outsider. Il gesticolare di una mano ha dato il ritmo alle parole: una mano a volte aperta, a volte con l'indice puntato verso l'alto.

Nella scelta delle argomentazioni, siamo di fronte all'ABC del populismo, la cui grammatica richiede: di convogliare le passioni dell'uditorio verso qualcuno da odiare, un nemico (A); la proposta di un personaggio - l'oratore stesso - come salvatore da tutti i mali del mondo (B); la promessa dell'avvio di una nuova era (C).

Trump Inizia con la A dell'ABC. L'incipit del discorso sembra conciliante. Il nuovo presidente ringrazia Barack e Michelle: "sono stati magnifici". Ma suona strano, il vero Trump non è diplomatico. Infatti, ritorna subito se stesso. Gli Obama sono parte dell'establishment da odiare: "La cerimonia di oggi ha un significato molto importante, perché oggi non stiamo solo trasferendo il potere da un'amministrazione a un'altra o da un partito all'altro, ma stiamo trasferendo il potere da Washington D.C. e lo stiamo ridando a voi, al popolo. [...] L'establishment ha protetto se stesso ma non i cittadini del nostro Paese". Sono nemici da odiare anche i Paesi stranieri che mettono in crisi la solidità delle imprese americane. Per drammatizzare il concetto, Trump usa parole adatte a un'orda barbarica. Parla di "devastazione", "furto", "distruzione" ai danni degli americani. "Dobbiamo proteggere i nostri confini dalle devastazioni che subiscono dagli altri Paesi, che realizzano i nostri prodotti, rubano alle nostre società e distruggono il nostro lavoro".

Andiamo alla B: Trump come salvatore del suo popolo. Anche qui le parole non sono tra le più delicate. Trump ricorre a una metafora cruda: "La carneficina americana finisce adesso". Il nuovo presidente rispolvera un sempreverde. Il topos, il tema ricorrente, del sogno americano. Il sogno è al culmine di un climax, una scala ascendente, un crescendo di parole con sempre maggiore forza espressiva. "Faremo tornare i nostri lavori. Ci riprenderemo i nostri confini. Ci riprenderemo la nostra salute. E ci riprenderemo i nostri sogni". Il salvatore parla al futuro. Una serie di periodi successivi cominciano con "we will". È l'anafora di "Donald, santo subito!".

Ora la C. il 20 gennaio, il giorno del discorso, è il capodanno dei capodanni. L'inizio di una nuova era. AT, DT: avanti Trump, dopo Trump. "Il 20 gennaio 2017 sarà ricordato come il giorno in cui la gente è tornata a governare questa nazione". Non solo, la nuova era sarà libera dal terrorismo islamico perché il salvatore Trump (vedi B) lo avrà "estirpato dalla faccia della Terra". Le prospettive presentate da Trump non sono solo rosee, sono addirittura entusiasmanti: "l'America comincerà a vincere come mai prima d'ora". E qui Trump si gioca lo slogan della sua campagna: "Da oggi in avanti "it's going to be only America first, America first". L'America prima di tutto e di tutti. La ricetta per raggiungere questo risultato è semplice e ha il ritmo di un messaggio pubblicitario: "compra americano e assumi americano".

Il populismo è magico, perché i suoi messaggi sono semplici, coerenti e intercambiabili. Trump individua i nemici, è l'eroe che li sconfigge e porterà il suo popolo nell'età dell'oro. ABC.

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