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Politica

L'elezione di Tajani segna la fine della grande coalizione tra Socialisti e Popolari nell'Ue

Lo scontro tra Gianni Pittella e Antonio Tajani per la presidenza del Parlamento europeo ha aperto ufficialmente una nuova fase politica. Fino ad ora l'Europa è stata governata da una sorta di grande coalizione, fondata sui Popolari e i Socialisti. L'alleanza fu siglata per ragioni oggettive, di necessità.

I Popolari vittoriosi (di piccola misura) rispetto alla sinistra democratica non erano in grado di siglare una coalizione di centrodestra con gli euroscettici, i populisti, le componenti xenofobe.

Ebbero bisogno dei Socialisti che, a loro volta, accettarono un accordo "competitivo": dove ognuno si sarebbe giocato i rapporti di forza sui contenuti e l'iniziativa politica, per raggiungere compromessi a proprio vantaggio. In questi due anni e mezzo non si può dire che non sia cambiato nulla rispetto al passato.

Con Juncker, infatti, ha pesato di più la politica, arginando un po' lo strapotere della tecnostruttura; la sua Commissione, in linea generale, si è mossa sulla linea del superamento di una rigida austerità, introducendo il concetto di flessibilità e programmando investimenti, seppure del tutto al di sotto delle necessità; sulle crisi aperte, da quella dei profughi a quella del terrorismo, è prevalsa un'ispirazione democratica.

I Socialisti hanno dovuto combattere non poco; e alcuni risultati sono arrivati. Tuttavia, ormai da mesi, la grande coalizione era entrata in difficoltà.

L'acuirsi dei problemi europei e mondiali, il perdurare della stagnazione economica, l'iniziativa intelligente della Cina e ambigua, ma efficace, della Russia, l'uscita della Gran Bretagna, progressivamente hanno messo a nudo una paralisi della UE e l'inconsistenza della grande coalizione nel parare i colpi.

L'affermazione sempre più ampia di sentimenti antieuropei, di un orientamento demagogico, xenofobo e razzista, il sollevare la testa di una destra estrema è antidemocratica, hanno ben segnalato che si stava vicino a un punto di rottura. Punto, ampiamente raggiunto, con la vittoria di Trump, che impone un ripensamento strategico a tutto il Vecchio Continente.

Dunque la rottura sulla presidenza del Parlamento europeo tra Popolari e Socialisti, non è la causa della fine della grande alleanza di questi ultimi due anni; semmai ne è la conseguenza.

Vale a dire la rottura era ormai nelle cose; e nulla, anche una diversa tattica per l'elezione del presidente dell'assemblea (sempre possibile), non avrebbe risolto il problema: l'architettura politica che ha sorretto Juncker fino ad ora non è adesso più sostenibile. E ora: come procedere? Occorre, intanto, evitare errori di analisi. La maggioranza che ha eletto Tajani è una maggioranza politica? Non credo affatto.

Guai a regalargli uno "status" che non possiede. Essa, piuttosto, è una convergenza di potere specifica ad un obiettivo. In questo sta la sua enorme, evidente, fragilità; dimostrata dal fatto che tanti Popolari, Liberali e lo stesso Juncker si sono affrettati a dichiarare di voler subito riprendere a collaborare con i Socialisti.

Se è saltata una gabbia, quella di un rapporto spesso faticoso e tortuoso con i Popolari, sarebbe illusorio e sbagliato per i Socialisti costruire un'altra gabbia in un rapporto con i Verdi e i Comunisti della Gue. Anch'esso risulterebbe faticoso e tortuoso, date le divergenze programmatiche che in tanti momenti si sono manifestate.

La linea maestra deve essere quella di una grande, autorevole e creativa libertà di movimento del Gruppo S&D, rivolta a tutte le forze e i singoli deputati democratici e interessati al bene dell'Europa. Una sfida programmatica continua, ricca, aperta per realizzare convergenze utili, avanzate, innovative; valorizzando l'assemblea parlamentare, sola istituzione in Europa eletta direttamente dal popolo.

Possiamo, nei prossimi due anni e mezzo di legislatura, se saremo capaci di produrre idee e proposte a partire dai nostri valori, ritornare al centro del campo politico in Parlamento; recuperando anche come Gruppo una maggiore libertà, che non ci siamo concessi per rispettare gli accordi siglati, il cui garante è stato Schulz, e dentro i quali il bravissimo Pittella ha spremuto tutto il succo possibile.

Dunque: no ad un isolamento identitario; nessuna stabile alleanza paralizzante; apertura naturale a sinistra, ma anche verso tutti i democratici; lotta sui programmi e sui lavori; nostro protagonismo per rivendicare un ruolo centrale che non cediamo a nessuno, tanto meno ad un centrodestra che, se incalzato bene, non reggerebbe unito un giorno nell'azione concreta di governo e legislativa.

Ci attendono anni di maggiore disordine e minore ordine fittizio. Vedremo. Ma come si sa "un grande disordine sotto il cielo può coincidere con una ottima situazione per l'azione di cambiamento".

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