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Meno pietismo, serve ricostruire subito

LaPresse
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Sul terremoto è stato già scritto tutto. Ma, in quello che sta avvenendo nel centro Italia, c'è una anomalia naturale in più: la ripetizione ravvicinata di forti scosse, sempre nelle zone dove c'è stato il primo terremoto.

Di più, c'è la bufera di neve. Che vuol dire paralisi, blocco totale. Questa la sola immagine che vediamo ora. Al terremoto, nei paesi distrutti di Amatrice e dintorni, si sta rispondendo con qualche campagna di raccolta fondi via sms e con delle casette di legno che stanno lentamente arrivando e che si assegnano per sorteggio.

Possibile continuare, fino a quando? Questa lotta impari, a fronte di continue scosse, con il rischio tangibile che il circondario sismico ingurgiti altri paesi vicini, vittime delle scosse di oggi e di domani? Con franchezza: ha senso continuare, dare e ricevere l'illusione che quelle cittadine distrutte possano essere ricostruite come prima?

Se lì c'è una faglia così agitata e i tempi di ricostruzione sono questi meglio dire cari cittadini si cambia, dovete andarvene definitivamente da queste zone. L'alternativa? È da mission impossibile perché è la sfida a sé stessi e soprattutto alla natura: ricostruire entro brevissimo tempo, ma roba di un anno e poco più, con soluzioni a prova di bomba.

Qualche giorno fa le comunità dei terremotati si sono ribellate chiedendo, quello che noi diciamo dal primo giorno, una ricostruzione h24, giorno e notte, tutti i giorni della settimana, come avviene in tanti paesi nel mondo quando si tratta di fare grandi infrastrutture. I droni ci fanno vedere i paesini delle Marche e del Lazio immobili tra le montagne di macerie. Poca o nulla è stato rimosso.

E meno male che sono agglomerati urbani piccoli piccoli che basterebbe poco per segnare evidenti cambi di direzione. A l'Aquila si sta vedendo qualche risultato dopo sei, sette anni. Insomma dobbiamo darci una mossa sia prima che dopo i disastri. La sfida sta diventando troppo pesante e viene fuori la nostra totale impreparazione. E smarrimento.

Meno pietismo e compassione di maniera (di tutti, dai mass media, con speciali-fiction votati al sensazionalismo - microfono della cronista spianato: lei ha più paura del terremoto o della neve? -, ad alcuni sindaci di quei luoghi intestarditi ad agitare vessilli che non porteranno a nulla), meno transiti di Stato delle alte autorità con vocazioni messianiche, meno gare televisive, e non, di solidarietà (meglio che rispondano con efficienza e pragmatismo le strutture attrezzate dello Stato), meno di tutto quello che non serve, che però, ahinoi, a pensarci bene, è nel dna, peggiore, di noi italiani.

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