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Victor Uckmar, l'ultimo grande papà dell'etica nelle professioni e nell'economia

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È morto a 91 anni Victor Uckmar il più noto dei fiscalisti e tributaristi italiani. Un ricordo di Maurizio Guandalini che ha firmato insieme a Uckmar molti libri di economia di successo collaborando, da trent'anni, in diverse iniziative tra cui la fondazione della società che diede vita a "laVoce", il quotidiano di Indro Montanelli.

Conobbi Victor Uckmar, sempre, per me, il professore, quasi trent'anni fa. Lui, il professore, era ai vertici di tutto, conosciutissimo nel mondo, consulente di capi di Stato, dalla Cina all'Argentina, passando per l'Urss, oltre naturalmente la sua attività di fiscalista, studi sparsi ovunque, in Italia e all'estero, al servizio delle più grandi aziende del Paese.

Alla fine degli anni Ottanta, eravamo in piena trasformazione dei paesi dell'Est, collaboravo con l'Istituto di Studi per la Formazione Politica "P. Togliatti" della direzione del Pci a Frattocchie, sui colli, albani, di Roma. Organizzai nel 1989 il primo business event, in Italia, sugli affari nei paesi dell'Est. Il clamore era amplificato perché a organizzare il workshop era il Partito Comunista Italiano, allora responsabile della sezione esteri c'era Giorgio Napolitano.

In quell'occasione decisi di chiamare il prof. Uckmar per spiegare come fare joint venture in Urss. Il professore si trovava in Argentina. Venne appositamente al nostro evento noleggiando un aereo a sue spese. Puntuale, con la pipa fumante e i pollici neri di tabacco bruciato, si presentò nell'aula magna dove dietro il tavolo dei relatori c'era un gigantesco quadro di Renato Guttuso. Poi più avanti mi raccontò che venne più per curiosità, per conoscere com'erano questi nuovi comunisti.

La curiosità, ecco il suo esprit di giovinezza, quella curiosità di bambino rimasta fino allo scoccare dei novantuno anni. Quel giorno mi vide e rimase di stucco: un giovanotto ventenne, cappellone da estremista (come ricordava Uckmar mettendo un po' di piacevole colore) che aveva "costruito" un gigantesco ambaradan professionale.

Da allora scoccò la scintilla e fu sodalizio che è durato fino a qualche mese fa, quando abbiamo licenziato due libri (sempre per un pubblico vasto, al di fuori dei codici tributari) uno sul green e l'altro sugli investimenti nel med-golfo, in uscita nel 2017 e nel 2018.

Il primo volume, mio, dove scrisse Uckmar fu nel 1990 sul tema del famoso evento di un anno prima, "Investire all'Est", con prefazione dell'ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di cui Uckmar nutriva ammirazione e deferenza. Il professore era un gigante, mai domo, alla ricerca della buona economia e dei buoni comportamenti a partire da quelli fiscali.

Ci fu anche la sua esperienza alla Covisoc, la Consob del calcio, una lotta impari per debellare i mali dei bilanci delle squadre di pallone. Un don Chisciotte contro dei mulini a vento. Ma anche lì lasciò la sua impronta denunciando senza peli sulla lingua, le nefandezze più meschine. Ma l'impegno maggiore, senza percepire un centesimo, lo mise nella fondazione della società de la Voce, il nuovo giornale di Indro Montanelli, uscito, per disaccordi, da "il Giornale" di Berlusconi.

In verità quel giornale fu un regalo fatto al grande Indro: prima Uckmar aveva provato a scalare il Giorno e solo successivamente decise di fare un giornale attraverso una forma di public company, rivolto soprattutto alle piccole e medie imprese. L'uscita contemporanea di Montanelli da il Giornale aiutò a trovare una soluzione vicino casa. Fui io a fare da trait d'union per il nome di Victor Uckmar come presidente della società La Voce.

E lui lo riconobbe pubblicamente spesse volte. Eravamo a Mantova, nella hall di un albergo, insieme all'economista Napoleone Colajanni e convincemmo Uckmar ad accettare quello che poi divenne un pesante incarico, visto come sono andati i fatti. Inizialmente, della Voce, Uckmar ne parlò con Piero Ottone e per la direzione anche con Enzo Biagi. All'ultimo arrivò Montanelli. Una esperienza triste perché quel giornale, in un anno, è nato e morto.

L'assenza di pubblicità ne decise le sorti. Spesso me ne parlava Uckmar con dolore. Ma il professore entrò anche ne l'Unità della crisi, con spirito di dedizione e sacrificio tenendo d'occhio sempre il valore delle persone e del prodotto. Poi sappiamo come è andata. Un anno fa, nel luglio del 2015, Uckmar partecipò ad un workshop della Fondazione Istud a Milano, nella sala della Banca Popolare, sulla green economy: presentavamo anche un nostro libro uscito qualche mese prima.

Giornata tra le più calde e lui, malgrado il passo un po' incerto, arrivò puntualissimo. Macchina con autista e sorretto da una donna. "Sono i miei occhi", mi disse. Uckmar aveva perso quasi completamente la vista. Malgrado gli acciacchi di salute continuava anche nella sua missione filantropica, etica, della professione. In quel periodo era corrucciato perché doveva far pervenire alcune proposte, sul fisco, al premier Renzi e c'erano mille sbarramenti, segretarie, vice dei vice. Io cercai di portarle a conoscenza attraverso un pezzo su l'Huffington Post.

La sua spontaneità, disinteressata (come la mia verso di lui: si stupì in diverse occasioni che non gli chiesi mai un piacere, mai un aiuto), di idee, progetti, senza compensi, per il suo Paese, è il tratto che più mi ha colpito nel corso di questi anni, come caricarsi ore e ore di treno per insegnare, lui che gli hanno steso tappeti nelle migliori accademie, in una Università del centro Italia, giusto per fare un piacere ad un giovane allievo di qualità impigliato in quel do ut des baronale delle cattedre.

Alla fine riuscì parlare con Renzi dopo che intervenne a un evento della Consob in Borsa Milano ed era proprio di questi giorni l'impegno del premier di dare corso a quell'elenco di proposte. Pensavo, oggi, di quanto ha bisogno l'Italia di persone come Uckmar. Manca una classe di professionisti di questo calibro ai quali appoggiarsi per fare dell'Italia un altro Paese. Migliore.

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