Cronaca

Venexit, il Veneto vuole il bilinguismo e lo status di minoranza etnica

Il blindato usato dai Serenissimi per assaltare il campanile di Venezia nella notte fra l'8 e il 9 maggio del 1997  
Il consiglio regionale, a maggioranza Lega e centrodestra, ha approvato il contestato ddl 116. I funzionari pubblici per ottenere il posto dovranno ottenere una "patente di veneticità" e dimostrare di conoscere la "lingua veneta", definizione sulla quale nemmeno linguisti e storici concordano
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VENEZIA - "Venexit": anche i veneti, come i sudtirolesi, pretendono di essere una minoranza nazionale dello Stato italiano e annunciano l'addio al Paese. Dopo aver dato una spallata decisiva al referendum costituzionale e al governo Renzi, aver affossato la riforma Madia sulla pubblica amministrazione e aver confermato che la prossima primavera si terrà un altro referendum per ottenere l'autonomia speciale regionale, Venezia si dimostra sempre più lontana da Roma.

Il consiglio regionale, a maggioranza Lega e centrodestra, ha approvato oggi il contestato disegno di legge 116 che ridefinisce il "popolo veneto" come "minoranza nazionale", aprendo la strada alla dichiarazione di appartenenza etnica, al patentino di bilinguismo, all'insegnamento del veneto nelle scuole e all'uso del dialetto negli uffici pubblici e nella toponomastica, cartelli stradali compresi. Il Veneto vuole così che lo Stato applichi in regione la Convenzione quadro europea varata dal Consiglio d'Europa per tutelare le minoranze storiche, come quella dei rom, ratificata anche dall'Italia nel 1997.

La legge, dopo l'ennesimo rinvio tra le polemiche una settimana fa, è infine passata con 27 voti a favore, 16 contrari e 5 astenuti. A schierarsi dalla parte dei veneti minoranza e del bilinguismo i consiglieri di Lega, Lista Zaia e gruppo Tosi: contro Pd, 5 Stelle, Lista Moretti e un tosiano, astenuti Forza Italia e Fratelli d'Italia. Il disegno di legge era stato proposto da quattro Comuni, Grantorto, Segusino, Santa Lucia di Piave e Resana e ha trovato il sostegno dell'Istituto della lingua veneta, che vede tra i responsabili uno degli "eroi" storici del venetismo, Franco Rocchetta.

In base alla legge, i Comuni veneti potranno ora imporre l'uso della "lingua veneta" nel proprio territorio, mentre le scuole dell'obbligo dovranno offrire lezioni di "dialetto". I funzionari pubblici, a partire da quelli non nati in Veneto, per ottenere il posto dovranno superare un esame, ottenere una "patente di veneticità" e dimostrare di conoscere la "lingua veneta", definizione ancora vaga su cui nemmeno linguisti e storici concordano.

"Si tratta di un passo importante per dare maggior forza alla richiesta di autonomia speciale del Veneto - ha detto il relatore Riccardo Barbisan, capogruppo della Lega - e ora vogliamo gli stessi diritti e le stesse risorse finanziarie che lo Stato riconosce a Sudtirolo e Trentino". Scosso il Pd, che fino all'ultimo ha tentato di evitare quella che considera "un'umiliazione per tutti i veneti, che non sono affatto una minoranza, ma un'operosa maggioranza italiana che ha dato il sangue per la patria". Secondo l'opposizione, ma pure secondo illustri giuristi, la legge approvata è "chiaramente incostituzionale e verrà bocciata dalla Consulta", ottenendo il solo risultato di "coprire di ridicolo tutti i veneti". Contestato, in particolare, il fatto di trasformare i veneti in una minoranza etnico-linguistica e di "inventare una lingua veneta" che in realtà nessuno conosce e nessuno parla, essendoci in regione decine di dialetti che segnano province e comuni.  

Altro motivo di scontro, la data di applicazione della legge. Secondo la maggioranza, compreso il presidente della Regione Luca Zaia, il bilinguismo e la dichiarazione di appartenenza etnica devono partire subito ed essere applicati fino ad un eventuale pronunciamento contrario della Corte costituzionale. Pd e opposizione chiedono invece che prima di "sostenere oneri pubblici assurdi" e promuovere "discriminazioni" si attenda l'eventuale via libera della Consulta. Ciò che è certo è che da oggi il Veneto è un altro passo più lontano da Roma e che le spinte separatiste, che non riconoscono l'annessione al regno d'Italia del 1866, hanno ottenuto un riconoscimento senza precedenti. La "Venexit", fissata con il referendum regionale sull'autonomia, tra pochi mesi può diventare una realtà.
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