Cronaca

- 3 giorni alla nuova Repubblica. Più diritti per tutti le scelte di campo che rendono il Paese migliore

E' un vero e proprio ritratto dell'Italia e del Mondo quello che emerge dalla campagna pubblicitaria che lancia la nuova Repubblica: il ritratto di un Paese bifronte, sospeso in un tempo indefinito, prigioniero dell'eterno ritorno del passato; guidato da partiti nati per unire e che invece sono più lacerati che mai; tentato da facili scorciatoie populiste; incerto davanti a diritti che dovrebbero essere fondamentali e che invece sono ancora assenti. Ma in una realtà sempre più complessa c'è sempre una possibilità di scelta, c'è sempre un bivio di fronte al quale il cittadino può decidere: quale strada imboccherà dipenderà dalla sua storia, dai suoi valori e soprattutto dalla conoscenza. Il primo atto per scegliere, dunque, è scegliere il giornale che sappia informarlo con libertà, accuratezza, spregiudicatezza. Un giornale tutto nuovo, come Repubblica in edicola dal 22 novembre. Michela Marzano racconta una delle foto scelte per il lancio: diritti, amore o guerra?
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Amore o guerra? Amore, senz’altro. Quell’amore che è fatto di riconoscimento dell’altro di sé e di accettazione, di solidarietà e di inclusione, di uguaglianza e di carità. Quell’amore che non lascia nessuno solo. Indipendentemente dalle specificità di ognuno e dalle differenze di sesso, di genere, di orientamento sessuale, di colore della pelle, di credo religioso, di abilità o di disabilità. Una delle questioni più importanti che si pongono oggi quando si ha a cuore il vivere-insieme, è d’altronde quella del ruolo che si è disposti o meno a dare alle “diversità” in una società che dice di voler promuovere l’uguaglianza e la pienezza dei diritti. Come si può, infatti, parlare di uguaglianza (ma anche di solidarietà, e rispetto, e civiltà, e amore) se poi non si è capaci di riconoscere a tutti e a tutte esattamente gli stessi diritti?

Nel nostro paese, nonostante le grandi dichiarazioni di principio, le persone continuano di fatto ad essere distinte in due categorie: da un lato, le persone di serie A, i cosiddetti “normali”: gli eterosessuali, le coppie senza problemi di sterilità, le persone senza disabilità… cittadini protetti dalla legge perché considerati e trattati come adeguati, giusti, degni di considerazione, di rispetto e di empatia; dall’altro lato, le persone di serie B: gli omosessuali, i transessuali, i malati terminai, gli immigrati e i figli degli stranieri, i disabili, i bambini nati da donne che hanno decido di partorire anonimamente... Un popolo di “quasi adatti”, per utilizzare le parole dello scrittore Peter Hoeg, che dovrebbe smetterla di domandare gli stessi diritti di tutti gli altri e di tutte le altre.

Certo, è nel corso di questa legislatura che è stata approvata la legge sulle unioni civile colmando, dopo trent’anni di attese, silenzi, smarrimenti e voltafaccia, quell’incomprensibile vuoto normativo che impediva al nostro Paese di accompagnare la vita delle persone omosessuali verso un orizzonte di libertà, dignità e uguaglianza. Ma per approvarla, si è dovuto scendere a compromessi negando ad esempio alle persone omosessuali che stipulano queste unioni civili la possibilità di chiamarsi “famiglia”, nonostante abbiano poi accesso alla quasi totalità dei diritti e dei doveri di due coniugi. Per non parlare poi del vero “vulnus” della norma approvata, ossia l’assenza totale di tutele per i bambini e le bambine che già vivono nelle famiglie omogenitoriali e che, però, la legge continua ad ignorare, negando loro ogni tipo di legame giuridico con il compagno o la compagna del padre o della madre biologica. Fino a quando, questi bambini, continueranno ad essere discriminati in ragione dell’orientamento sessuale dei propri genitori? Quale amore, quali attenzioni e quale riconoscimento ricevono, oggi, nel nostro Paese?

Certo, alla Camera sono state approvate la legge sullo ius soli, quella sul cognome materno, quella sul fine vita e il testamento biologico, nonché quella sull’accesso alle origini da parte dei bambini nati da madre che non consente di essere nominata o quella sull’omofobia. Ma tutte queste leggi giacciono ormai da mesi, se non addirittura da anni, in Senato, e forse solo lo ius soli e il testamento biologico diventeranno leggi prima della fine della legislatura. Eppure la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’automatica attribuzione ai figli del cognome paterno, e sono tantissime le donne che aspettano di riappropriarsi della propria storia trasmettendo ai figli, in accordo col partner, il proprio cognome (oppure anche entrambi). Esattamente come è incostituzionale l’irrevocabilità dell’anonimato da parte delle madri biologiche — che in Italia impedisce anche solo la possibilità di interpellare queste donne per sapere se vogliono o meno entrare in contatto con coloro che chiedono di avere accesso alle proprie origini e alla propria storia — ed è inaccettabile il fatto che alcune persone possono ancora essere offese solo perché omosessuali o transessuali, e quindi per quello che sono .

Prima o poi, bisognerà che l’Italia decida in quale direzione vuole andare. Senza più tentennamenti, esitazioni, incertezze. Sono numerosissime le persone che aspettano una risposta. Che hanno avuto pazienza. E che di pazienza, però, oggi non ne hanno veramente più. Perché c’è sempre qualcos’altro da fare, qualcos’altro di cui occuparsi, qualcosa di più urgente? Perché si tollera che ci siano amici, compagni, fratelli o genitori che aspettano da una vita di essere riconosciuti per quello che sono e che, forse, arriveranno alla fine della propria esistenza senza aver ottenuto rispetto e riconoscimento?

Da anni ci si sente ripetere che è una questione di priorità. E che sono altre le urgenze: lavoro, occupazione, corruzione, tasse, e via di seguito. Tutte questioni essenziali, certo, e che nessuno dovrebbe permettersi di sottovalutare. Ma chi pensa che l’uguaglianza dei diritti non sia una priorità, forse dimentica che occuparsi di chi è “diverso” — ma “uguale” in termini di diritti e di dignità — non solo fa parte del codice genetico del centro-sinistra, ma è anche la condizione necessaria per costruire una società in cui nessuno si senta solo e in cui l’amore, inteso come riconoscimento dell’altro da sé e accettazione, carità e cura, possa essere la base del vivere-insieme.