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(lapresse)

I genitori di Charlie ritirano la richiesta di andare negli Usa: "Non c'è più tempo"

L'annuncio tra le lacrime di Chris Gard e Connie Yates che hanno in questo modo abbandonato la battaglia giudiziaria per tenere in vita il piccolo, che i medici considerano incurabile: "Purtroppo non potrà compiere il suo primo anno di vita"

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LONDRA - Il processo per decidere se Charlie Gard può o meno essere curato si conclude senza un verdetto. I genitori del bambino inglese affetto da una rarissima malattia genetica, la sindrome da deplezione mitocondriale, finora considerata senza speranza, hanno deciso di ritirare l'istanza con cui si erano rivolti ancora una volta al tribunale e di lasciare che il loro figlioletto di undici mesi possa "morire con dignità", probabilmente entro qualche giorno.

Una decisione "agonizzante", ha detto Connie, sua madre, nella dichiarazione che ha concluso l'udienza all'Alta Corte, "che nessun genitore vorrebbe mai prendere".
 
Loro l'hanno fatto davanti all'evidenza degli ultimi esami clinici, dai quali è risultato che i danni cerebrali e muscolari di Charlie sono ormai irreversibili e che è quindi "troppo tardi" per cercare di dargli una vita forse imperfetta e da disabile ma con possibilità di miglioramento.

Ma nell'accettare che a questo punto "staccare la spina", come si dice crudamente in gergo medico, è purtroppo nel migliore interesse del bambino, Connie e il marito Chris lanciano un'accusa: "Tre o sei mesi fa, le sue condizioni non erano quelle di oggi. La sua è una malattia progressiva, i danni si sono aggravati. Se ci avessero permessero di tentare la cura sperimentale quando lo abbiamo chiesto, a gennaio, c'era una chance di salvarlo. Ora non sapremo mai se sarebbe servito a qualcosa". E ancora: "Il tempo è scaduto. Non compirà mai un anno (sarebbe stato il 4 agosto, ndr), lo lasceremo andare con gli angeli".
 
È un'accusa rivolta all'ospedale, il Great Ormond Hospital di Londra in cui Charlie è ricoverato, e ai giudici di quattro ordini di grado: l'Alta Corte che ha esaminato per prima il caso in aprile, quindi la Corte d'Appello, poi la Corte Suprema, infine la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. Il dilemma atroce, se lasciare spegnere Charlie o provare a curarlo a rischio di sottoporlo ad un inutile accanimento terapeutico che avrebbe soltanto prolungato la sua sofferenza, è tornato nelle scorse due settimane davanti all'Alta Corte perché era diventato una questione internazionale, con le preghiere del Papa, il tweet di Trump e la lettera di sette esperti internazionali presentata dall'Ospedale Bambino Gesù di Roma secondo cui valeva la pena provare a curare "il piccolo Charlie", come lo hanno soprannominato i media.
 
All'origine della lettera c'era il trattamento messo a punto da un autorevole specialista americano, il professor Michio Hirano della Columbia University di New York. Un trattamento tuttavia mai sperimentato su esseri umani e nemmeno su topi di laboratorio, ma soltanto "in vitro", su cellule in laboratorio. Lo stesso professor Hirano, visitato Charlie a Londra nei giorni scorsi e controllati gli ultimi esami, ha concluso che la sua cura sperimentale, per la quale avrebbe dovuto comunque ottenere l'autorizzazione d'urgenza delle autorità sanitarie Usa, non avrebbe più avuto senso.
 
Era giusto dare ai genitori di Charlie questa chance tre mesi fa o ancora prima? A loro rimarrà per sempre la convinzione che sarebbe stata la scelta più umana e rispettosa del desiderio di un padre e di una madre. Tuttavia, come ha ricordato oggi il giudice Nicholas Francis, "in questo Paese l'interesse di un minore ricoverato in ospedale viene difeso indipendentemente dalla volontà dei genitori, che talvolta possono non prendere la decisione giusta".

Non è stato per crudeltà che i magistrati hanno detto quattro volte no all'ipotesi di una cura, bensì per proteggere Charlie da ulteriori sofferenze. Alla fine, ognuno rimane delle proprie idee. Ma la giustizia ha seguito il suo corso, cercando di rispettare al meglio i diritti di tutti. Adesso Connie e Chris avranno ancora qualche giorno da trascorrere accanto al loro bambino.

Poi, come dice la mamma, "il suo corpo smetterà di vivere, ma il suo spirito vivrà per sempre", anche attraverso la fondazione costituita nel suo nome e sovvenzionata con un milione e mezzo di sterline di donazioni, "affinché altri bambini e altri genitori in futuro non debbano passare quello che abbiamo passato noi". 

· GIUDICE: "MAI STATO PRIGIONIERO DEL SERVIZIO SANITARIO"
Nell'udienza odierna, durante la quale i genitori hanno come detto rinunciato al ricorso, ha parlato lungamente anche il giudice Francis. Che ha commentato e tirato le fila di tutta la vicenda dal suo punto di vista. "I genitori del piccolo Charlie Gard - ha detto Francis - ora devono affrontare la realtà, cioè che è nel migliore interesse di Charlie morire. Confermo il mio verdetto di aprile, deciso con un cuore pesantissimo". 

E ancora: "Nessuno di noi può comprendere l'agonia dei genitori. Gli avvocati dei genitori hanno detto che avrebbero presentato nuove prove. Il dottor Hirano non aveva visto Charlie a quel tempo, se un medico deve presentare delle prove a questa Corte, dovrebbe vedere prima il paziente".

"La notizia che Charlie fosse un prigioniero del Servizio sanitario inglese è l'antitesi della verità. Ecco perché l'ospedale ha dovuto presentarsi davanti alla Corte indipendente", ha detto il giudice. "Solo leggendo i quattro giudizi i commentatori potranno comprendere il quadro completo". 

"I cuori dell'ospedale e del suo personale vanno a Charlie ed ai suoi genitori", ha detto dal canto suo il legale del Great Ormond Street Hospital, annunciando a breve un nuovo comunicato della struttura sanitaria.

· LA PREGHIERA DEL PAPA
Papa Francesco "sta pregando per Charlie e per i suoi genitori" e si sente "particolarmente vicino a loro in questo momento di immensa sofferenza". È quanto fa sapere il Direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke. "Il Santo Padre - ha aggiunto Burke - chiede di unirci in preghiera perché possano trovare la consolazione e l'amore di Dio".

Le tappe della vicenda

  • LA MALATTIA DI CHARLIE GARD

    Charlie Gard è un bebè di 10 mesi nato il 4 agosto 2016, che a otto settimane è risultato affetto da una malattia rarissima, la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale che colpisce diversi geni causando un progressivo deperimento muscolare. Una sottounità della proteina P53 di fatto non svolge la funzione di riparare il Dna danneggiato. La malattia genetica, di cui entrambi i genitori erano a loro insaputa portatori sani, ha colpito finora solo 16 persone nel mondo. A marzo scorso le condizioni di Charlie si sono aggravate: si è aggiunta una encefalopatia che ha modificato il funzionamento del cervello. Il bambino non è stato più in grado di respirare da solo e fino ad ora è stato mantenuto in vita dai respiratori meccanici ospedalieri.

  • I GENITORI E LA SPERANZA DI UNA CURA

    Connie Yates e Chris Gard, i genitori trentenni del piccolo, non si sono rassegnati. Scoprono che una ricerca del 2014 della Columbia University di New York ha fatto esperimenti riusciti su topi affetto da malattie mitocondriali. I genitori contattano una clinica americana, di cui non è stato reso pubblico il nome per motivi legali, chiedendo di poter trattare il bambino con il metodo sperimentale. La terapia proposta dai medici Usa è nucleosidica e dovrebbe dare al corpo del piccolo gli elementi per cercare di riparare il suo Dna. Inizialmente il Great Ormond Street Hospital di Londra, l’Ospedale inglese dove il bimbo è ricoverato, li appoggia: anche se il trattamento era stato fino ad allora provato su un diverso tipo di mutazioni.

  • LA RACCOLTA FONDI E LA COMPLICAZIONE

    I Gard avviano una importante raccolta fondi per pagare le spese mediche del viaggio: raccolgono 1,3 milioni di sterline grazie all’aiuto di 80 mila diversi donatori. A marzo scorso, però, quando il bimbo ha ormai 7 mesi ed è già in corso l’iter della richiesta di trasferimento dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti, Charlie è colpito dall'encefalopatia. I medici inglesi e quelli americani concordano nell’impossibilità di portare avanti il viaggio della speranza. Non ci sono più le condizioni scientifiche per curare il bambino. Si rendono però disponibili a tentare la cura in via sperimentale senza però assicurare alcun successo.

  • IL CONFLITTO CON L'OSPEDALE

    Il Great Ormond Street Hospital è l’ospedale pediatrico londinese, famoso per essere “l’ospedale di Peter Pan”, perché J.M. Berrie, l’autore della celebre favola per bambini, nel 1929 donò le royalties del suo libro affinché proseguissero la loro attività benefica. Ha la fama di essere uno dei migliori del mondo. Anche per questo, quando i suoi amministratori lo scorso marzo, hanno chiesto a un tribunale di poter staccare le macchine che permettono di respirare al piccino, sono stati presi molto sul serio. La questione legale è ruotata intorno a quello che viene definito il “child’s best interest”, l’interesse del bambino. La tesi dei medici, approvata dai giudici in tutti i passaggi, è stata quella che essendo Charlie allo stato finale della malattia, aveva diritto a una morte dignitosa senza accanimento terapeutico. Per questo chiedevano di staccarlo dal respiratore che ha tenuto in vita il bambino, sempre sedato, fin dallo scorso settembre, per quello che è stato calcolato come il 96% della sua esistenza. A una prima decisione i genitori hanno fatto ricorso ad aprile. Sconfitti, sono ricorsi in appello a maggio. La Corte suprema inglese si è pronunciata in favore dell’ospedale l’8 giugno scorso.

  • IL RICORSO ALLA CEDU

    Il 9 giugno i genitori di Charlie hanno fatto l’ultimo disperato tentativo: si sono rivolti al tribunale per i diritti dell’uomo di Strasburgo sostenendo che la sentenza inglese violava la libertà di cura e che il bambino era “prigioniero” nell’ospedale inglese. Il tribunale europeo ha così ordinato all’ospedale di Londra di continuare a curarlo, fino a nuova delibera. Il 28 giugno il nuovo verdetto: la corte di Strasburgo ha detto di non avere alcuna autorità per prendere decisioni su un tema del genere, rimandando alla decisione della Corte suprema inglese. Di fatto, imponendo di sospendere le cure. Ai genitori devastati è stato impedito anche di portare Charlie a casa per farlo morire nel suo lettino. Anche quello, secondo i medici, imporrebbe al bimbo “che già soffre indicibilmente” pene troppo grandi.

  • LE ULTIME ORE

    Da oggi i medici potranno staccare la spina. Hanno detto che lo faranno senza fretta, in accordo con i genitori. «Charlie morirà fra poco, coccolato da mamma e papà. Saprà di essere stato amato da tanti fino all’ultimo» è l’ultimo disperato post di mamma Connie su Facebook. E proprio sui social media cresce l’indignazione degli inglesi: su Twitter oggi sono numerosi i messaggi che hanno come hashtag #charliesfight, la battaglia di Charlie. Così Kelly (@kellyt_82) scrive: “Mi chiedo perché i giudici non abbiano concesso un’ultima possibilità di salvare Charlie. Diabolico”. Mentre July Gimenez-Gato (@Lullay29) si è rivolta direttamente all’ospedale: “Avete l’opportunità di dare a Charlie un’ultima speranza. Per favore guardate nel vostro cuore, ancora una volta e non staccate la spina”

  • IL RINVIO

    Il 30 giugno i medici decidono il rinvio del momento in cui staccheranno le macchine, per dare più tempo ai genitori per salutare loro figlio. Una decisione che rinforzerà la posizione di Charlie e Connie e di chi critica la decisione di staccare la spina.

  • L'INTERVENTO DEL BAMBINO GESU'

    L'ospedale romano Bambino Gesù si offre di ospitare il piccolo Charlie Gard nella propria struttura, pur ammettendo che non c'è una cura. Sulla vicenda erano intervenuti tra gli altri papa Francesco ("non trascurare il desiderio dei genitori") e Donald Trump ("pronti ad aiutare"). Ma l'ospedale e il governo inglese saranno netti: "Motivi legali, impossibile il trasferimento"

  • IL CONSULTO

    Il 15 luglio viene dato il via libera a un medico Usa per un consulto sulla malattia del piccolo Charlie e per valutare l'utilizzo di una terapia sperimentale.

  • LA RESA

    Il 24 luglio 2017 i genitori annunciano in tribunale che rinunciano alla richiesta di un trasferimento negli Stati Uniti per cercare una cura. "Il tempo per una cura è scaduto". Si chiude così la battaglia legale.