Esteri

Irlanda, sì alla legalizzazione dell'aborto

Un murale ritrae una donna cui fu negata l'interruzione di gravidanza e morì per un aborto naturale (ap)
Exit poll: favorevoli all'abrogazione della legge che di fatto vieta l'interruzione di gravidanza il 68% dei votanti. Si completa un cammino iniziato nel 1995 con l'introduzione del divorzio: l'isola di Joyce è oggi più laica
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DUBLINO - Il primo exit poll dice che l'Irlanda volta pagina: 68 per cento di sì all'abrogazione del divieto di aborto più restrittivo d'Europa contro 32 per cento di no. Se i risultati ufficiali confermeranno la previsione dell'Irish Times, maggiore quotidiano nazionale, per l'Isola di Smeraldo sarà il completamento di un cammino ventennale: nel 1995 il referendum che ha introdotto il divorzio; nel 2015 quello che ha approvato il matrimonio fra persone dello stesso sesso. In tutti e tre i casi, la Chiesa cattolica irlandese si è opposta a chi voleva modernizzare il Paese. In tutti e tre, dunque a quanto pare anche sull'aborto, la Chiesa ha perso. Due decenni di progresso economico, pur inframezzato da una grave crisi, hanno trasformato l'isola di Joyce. Un maggiore benessere l'ha secolarizzata.
 
Ma questa è stata soprattutto una battaglia sui diritti all'autodeterminazione delle donne, sul diritto di libera scelta. Il bando irlandese all'aborto impediva l'interruzione della gravidanza in quasi tutti i casi, anche dopo uno stupro o un incesto, anche in presenza di anomalie che portano alla morte del feto. E puniva l'aborto con pene fino a 14 anni di carcere. Conteneva inoltre un paradosso ipocrita, permettendo di praticare l'aborto ma soltanto all'estero: perciò una media di 3500 irlandesi all'anno andavano a farlo per lo più in Inghilterra. In pratica era un divieto imposto soltanto alle donne più povere, spesso in famiglie di immigrati.
 
Il nuovo premier Leo Varadkar, entrato in carica nel giugno di un anno fa, figlio di un immigrato indiano, apertamente gay, è stato l'agente del cambiamento. Dal suo insediamento ha promesso un referendum sull'aborto. Durante la campagna referendaria si è battuto per la vittoria del sì all'abrogazione dell'ottavo emendamento, ossia dell'articolo della costituzione che legifera il divieto d'aborto. E ha promesso che, in caso di vittoria del sì, presenterà al più presto in Parlamento una legge per il diritto all'aborto fino alle prime 12 settimane di gravidanza, estendibile a un periodo più lungo per caso particolari.
 

Sebbene tutti i partiti irlandesi, di governo e di opposizione, fossero schierati con Varadkar per il sì, c'era crescente incertezza sull'esito della consultazione. La campagna del no ha potuto contare su finanziamenti di gruppi anti-abortisti americani. Una campagna che ha usato messaggi estremi, spesso fuorvianti, definendo l'aborto una "licenza di uccidere", con manifesti di feti che implorano di non essere "abrogati". E sullo sfondo c'era naturalmente l'influenza della Chiesa cattolica. Ma l'Irlanda è oggi più laica di un tempo, anche a causa degli scandali per gli abusi sessuali in scuole e orfanatrofi religiosi che hanno danneggiato la reputazione della Chiesa.
 
Ciononostante, "nessuno si sarebbe aspettato un risultato simile", gioisce una delle volontarie della campagna per il sì commentando a caldo l'exit poll. È praticamente la stessa percentuale, circa due terzi dei votanti, che tre anni fa approvò il matrimonio gay. Se l'exit poll verrà confermato dai risultati, davvero l'Irlanda non è più quella di una volta. Dando un segnale forte sui diritti delle donne anche fuori dai suoi piccoli confini.