Bologna 2018

Una piazza per Roth per ricordarlo con le sue parole

Lettura delle pagine più belle, confronti tra gli scrittori, dibattiti e provocazioni, dal sesso al Nobel mancato. Stiamo preparando un omaggio speciale dedicato all'ultimo maestro della letteratura americana

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C'è un solo modo buono per ricordare uno scrittore: continuare a leggerlo. E ad accettare come una sfida le domande che le sue storie lasciano in consegna. A Repubblica delle Idee, domenica 10 giugno (piazza Santo Stefano, ore 20) racconteremo a più voci il mondo letterario di Philip Roth. E lo faremo nei panni di lettori appassionati: con Antonio Monda, che gli è stato amico, Elena Stancanelli, Stefano Bartezzaghi, coordinati da Dario Olivero, tra pagine lette e ricordi, proveremo insieme a tracciare una piccola storia intergenerazionale di fedeltà ai romanzi di Roth. Che vuol dire, per un lettore poco più che adolescente, la scoperta di uno scrittore così?

Che cosa cambia nel rapporto con la letteratura? Una vertigine, un lampo di inquietudine diversa, una verità che arriva come uno schiaffo che scotta per ore su una guancia: Roth non è un autore rassicurante,
irrita, provoca; chiede a chi lo legge di non mettersi al riparo. I suoi grandi libri - pur così leggibili - pretendono diversi salti sulla poltrona. E soprattutto il dubbio, talvolta sconcertante, che Roth - parlando di Zuckerman, di Kepesh, dello Svedese, di sé - stia raccontando di noi, o dei nostri vicini di letto, d'autobus, di vita. "La gente non legge pensando all'arte: legge pensando alle persone" - questo dice papà Zuckerman al figlio aspirante scrittore, e suona come un avvertimento sinistro. L'arte di Roth consiste nel cavare, dalle "persone", le verità meno dicibili e metterle su carta, con giri di frase magnetici.
 
Ciascuno, sul palco bolognese, proporrà la propria playlist: dalle ossessioni fin troppo maschili di Lamento di Portnoy al maestoso romanzo familiare che è Pastorale americana, dal Roth fantapolitico a quello lucidamente volto a esplorare il "massacro", così lo chiamava, della vecchiaia. Le tante tappe di quella che il filosofo francese Alain Finkielkraut ha definito ieri la sua "esuberante" esplorazione del cuore umano.
 
E fa quasi eco alla voce di David Kepesh, creatura della fantasia di Roth, quando avverte i suoi studenti al corso di letteratura di essere impossibilitato a negare un nesso: "fra i romanzi che leggerete, anche i più eccentrici e sconcertanti, e ciò che finora avete imparato dalla vita... Solitudine, malattia, desiderio, perdita, sofferenza, delusione, speranza, passione, amore, terrore, sventura e morte... le forze irrefrenabili con cui, volenti o nolenti, dovrete prima o poi misurarvi".
 
E li invita, fra accorato e severo, a trattenersi dall'usare in sua presenza, parlando di letteratura, termini come "forma", "simbolo", "epifania", "agnizione", a tralasciare l'analisi di trama e personaggio e ogni solennità accademica, ogni magniloquenza della critica.
Nella speranza - aggiunge infine - che, parlando di Madame Bovary con lo stesso linguaggio usato nel negozio d'alimentari o con il fidanzato, "vi troverete in una relazione più intima, più interessante" con Flaubert e con la sua eroina.