Politica

Referendum e crisi di governo: dalla cannabis legale al Jobs Act, le dieci leggi che rischiano di saltare

La vittoria del No e le dimissioni di Renzi "congelano" una serie di provvedimenti in Parlamento, ma anche accordi con amministrazioni locali in attesa di essere chiusi

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ROMA - Dal Jobs Act alla legalizzazione della cannabis, dalla riforma della giustizia al testo unico sul pubblico impiego, dal cognome materno alla legge sulla concorrenza. Queste e altre norme rischiano di fermarsi a metà di fronte alla crisi di governo. Dopo la pesante sconfitta di Renzi al referendum e le sue “dimissioni in bianco” da premier (formalizzate forse venerdì, dopo l'ok del Senato alla legge di Stabilità  previsto per domani), l'incertezza che grava sul destino dell'esecutivo potrebbe avere pesanti ripercussioni anche sul fronte parlamentare. O congelare accordi con amministrazioni locali, come nel caso della Capitale. Vediamo una per una quali sono le leggi e i provvedimenti che rischiano di finire in "zona parcheggio".

Cannabis legale. Dopo un passaggio lampo nell'aula di Montecitorio, la legge sulla legalizzazione della cannabis, proposta dall'intergruppo parlamentare antiproibizionista, a ottobre è tornata nuovamente in commissione, dove rischia di essere definitivamente affossata. A novembre, invece, un'inedita alleanza Pd-Lega ha bloccato in commissione Bilancio della Camera il tentativo di Sinistra italiana di introdurre la legalizzazione della cannabis nella manovra finanziaria e destinare le entrate aggiuntive alla ricostruzione post-terremoto. C'è però la chance della legge di iniziativa popolare promossa da Radicali e dall'Associazione Coscioni, che non è ancora approdata in Parlamento ma sopravviverebbe in ogni caso alla legislatura (le iniziative popolari restano valide per due legislature, anche se dal 1979 a oggi ne sono state approvate solo 3 su 260).

Riforma della giustizia. Rischia il binario morto anche la riforma del processo penale, tanto caldeggiata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Il ddl, che cambia le regole della prescrizione e delle intercettazioni e prevede pene maggiori per furti e rapine, è stato già approvato dalla Camera e sarebbe dovuto approdare in aula al Senato il 7 dicembre, cioè domani. È probabile che slitterà all'anno nuovo.

Cognome della madre. Dopo la scelta storica della Consulta di accordare anche alle madri la possibilità di attribuire il loro cognome ai figli, si è tornati a parlare della legge sul doppio cognome, approvata alla Camera nel 2014 e sepolta da due anni al Senato. Il pericolo ora è che venga definitivamente dimenticata.

Jobs Act. Il responsabile del congelamento dalla seconda gamba del Jobs Act che riguarda la riforma del collocamento in questo caso è proprio il risultato del referendum. Il "No", infatti, lascia la riforma del collocamento pubblico come materia concorrente fra Stato e Regioni e non di esclusiva competenza statale (come sarebbe stato se avesse vinto il Sì). In particolare, il nuovo assegno per aiutare i disoccupati a ricollocarsi verrà declinato a piacere da ogni giunta. E lo Stato avrà un potere di intervento limitato sulle realtà locali. Insomma resta l'attuale "federalismo" al sostegno della disoccupazione e il Jobs Act rimane attuato a metà.

Cyberbullismo.
La legge sulla "Tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo", approvata alla Camera a settembre con 242 sì, 73 no e 48 astensioni, e modificata in corso d’opera con emendamenti che la estendono anche ai maggiorenni, rischia di finire nel dimenticatoio. La colpa è anche della farraginosità del testo nel quale sono state inserite molte norme esulano dall’ambito dei minori e da quello scolastico. La pdl ora è parcheggiata in commissione al Senato, e l'approdo in Aula potrebbe essere sterilizzato.

Legge Madia e 'furbetti'. Dichiarata incostituzionale il 24 novembre, la riforma della pubblica amministrazione entra in un cul-de-sac dal quale sarà difficile trovare una via d'uscita. Almeno per salvare la parte che riguarda i provvedimenti contro i furbetti del cartellino, che sono stati spazzati via dalla sentenza della Corte costituzionale. Per evitare la pioggia di ricorsi che inevitabilmente ci sarà, il governo avrebbe due strade, in attesa di correggere in accordo con le Regioni il decreto attuativo contro gli assenteisti travolto dalla bocciatura della Consulta: revocarlo e dunque annullarlo, oppure sospenderne l’applicazione. Ma vista la crisi dell'esecutivo queste azioni saranno inevitabilmente rimandate e dirigenti e amministratori costretti a rimanere nell'incertezza a tempo indeterminato.

Testo unico sul pubbico impiego. Il testo unico sul pubblico impiego non è stato ancora scritto. Sulla carta c'è tempo fino a febbraio per l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri, ma questo traguardo sembra ormai una "mission impossible". Il provvedimento, lo ricordiamo, punta a eliminare i due pilastri dei dipendenti statali, ossia posto fisso e scatti di anzianità. E, soprattutto, contiene tutta la parte normativa che consente materialmente il rinnovo del contratto degli statali, secondo l'accordo-quadro firmato dai sindacati il 30 novembre.

Ddl sulla concorrenza. Quella della legge sulla concorrenza è la storia di un ddl problematico che, con l'aggravante di un orizzonte politico incerto, difficilmente potrà vedere la luce. L'iter parlamentare del provvedimento, che ha attirato su di sè l'attenzione delle lobby, era stato già sospeso lo scorso aprile dopo le dimissioni del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi (per il caso "Tempa Rossa"), in attesa della nomina del successore. Ma, anche dopo l'arrivo di Carlo Calenda, il provvedimento non è più uscito dai cassetti della commissione industria del Senato, dove risulta tuttora in "stato di relazione".

Riforma delle banche popolari. In stallo anche le misure attuative della Banca d'Italia per trasformare le banche popolari in società per azioni, secondo la riforma varata dal governo Renzi nel gennaio 2015. Il
Consiglio di Stato ha infatti accolto il ricorso presentato dai soci di un istituto e ha chiamato la Consulta a esprimersi sulla costituzionalità della riforma stessa, sospendendo intanto l'applicazione della circolare di Bankitalia.

Stop al "Patto per Roma". La vittoria del No ha fatto esultare la sindaca di Roma Virginia Raggi. Ma, di fatto, blocca i progetti del Campidoglio. Con
il premier dimissionario si ferma il tavolo sul "Patto per Roma" che doveva portare 2 miliardi nelle casse comunali. Decaduto l’interlocutore, si interrompe la discussione sui fondi che Palazzo Chigi avrebbe dovuto trasferire al Comune per intervenire sulla città, come già fatto in altri capoluoghi. "Per noi non cambia nulla - dicono ottimisticamente dall’entourage della sindaca - il patto non era con Renzi ma con il governo, chiunque sia a guidarlo". Ma il pericolo è reale.

Ius soli.
Era una priorità del governo Renzi, come la legge sulle unioni civili. Mentre quest’ultima ce l'ha fatta ad arrivare a meta, il ddl sullo Ius soli, ossia sul diritto di cittadinanza per i figli nati in Italia di genitori stranieri, giace al Senato da più di un anno. Il testo è stato infatti approvato in prima lettura il tredici ottobre del 2015 con 310 sì, 66 no e 83 astenuti. Poi si è arenato a Palazzo Madama.

Parchi, consumo di suolo e piccoli comuni. Almeno tre le leggi ambientali ferme a metà strada. La prima, il ddl sulla riforma della governance dei parchi, è stata approvata il 10 novembre al Senato ma ha creato parecchie divisioni (il testo non ha convinto le ong ambientaliste, da Legambiente al WWF) e l'approvazione definitiva da parte della Camera è a serio rischio. La seconda, che punta a frenare il cemento selvaggio e a recuperare le aree già cementificate, è stata approvata dalla Camera a maggio scorso e da allora è bloccata a Palazzo Madama. La terza, che salva i piccoli borghi dall'estinzione, ha avuto il via libera di Montecitorio a settembre. Al momento il testo è fermo in commissione Ambiente del Senato.
 
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