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60 anni di legge Merlin: chi la vuole, chi la nega e chi vorrebbe ampliarla

Diversi decenni dopo la chiusura delle case di tolleranza e il riconoscimento dello sfruttamento e induzione alla prostituzione come reati penali, il Belpaese non ha ancora risolto il problema. Il dibattito sulla riapertura dei bordelli è ancora attuale

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ROMA – La prima donna a sedere nel senato della Repubblica italiana, la madre costituente grazie alla quale nell’articolo 3 della Costituzione i cittadini sotto tutti uguali ‘senza distinzioni di sesso’. Eppure Angelina 'Lina Merlin, spesso assente nei libri di storia, viene ricordata quasi esclusivamente per la legge che di fatto portò alla chiusura delle 'case di tolleranza' nell'Italia del dopoguerra.

Dieci anni. E quasi per una sorta di ironia, la norma che porta il nome dell’insegnante partigiana è conosciuta in larga parte per ciò che tolse agli uomini e non per quei benefici che portò alle donne. Oltre a chiudere le case di tolleranza, la legge 75 del 20 febbraio 1958 ha introdotto per la prima volta il reato di sfruttamento, induzione e favoreggiamento alla prostituzione. Fu una vera e propria rivoluzione per l'epoca e furono in molti ad opporsi tanto che, presentata nel 1948, ci vollero ben 10 anni per essere approvata. Per non parlare delle lotte sostenute da Merlin contro alcuni suoi colleghi di partito, come Pietro Nenni che avevano interessi economici non indifferenti proprio nelle case chiuse.

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Il rovescio della medaglia.  Nonostante siano passati sei decenni, il dibattito sull’efficacia della norma è ancora aperto e spesso usato a fini elettorali per ingraziarsi il consenso dei favorevoli o dei contrari alla sua abrogazione. Negli anni la Legge Merlin, che doveva rappresentare solo un primo timido passo avanti nella battaglia contro lo sfruttamento delle donne, ha mostrato tutte le sue falle: la chiusura delle case a luci rosse non ha infatti ridotto il mercato del sesso. Solo in Italia si stima che le vittime di tratta ai fini della prostituzione siano tra le 75 e le 120 mila, la maggior parte sono donne di nazionalità nigeriana attratte in Italia da trafficanti senza scrupoli e costrette a finire sui marciapiedi. Inoltre la legislazione in merito resta ancora oggi piena di lacune. Il vuoto normativo riguarda proprio la vendita di prestazioni sessuali: la prostituzione non è vietata ma al contempo non è neanche regolamentata. Ad essere punito invece è colui che guadagna sulla prostituzione di una terza persona.
Il dibattito. Se da un lato è vero che riaprire le case di tolleranza potrebbe essere una garanzia per la sicurezza fisica e sanitaria delle donne, dall’altro i sostenitori della Merlin affermano che tornare indietro vorrebbe dire rafforzare la cultura dello sfruttamento del corpo delle donne. Inoltre la reintroduzione delle case a luci rosse non garantirebbe in alcun modo la fine degli abusi e della ‘strada’.

Legalizzare per controllare. Al polo opposto dei sostenitori della Legge Merlin ci sono coloro che invece spingono per la totale legalizzazione della prostituzione e delle case di tolleranza. Modelli di riferimento sono la Germania e i Paesi Bassi dove le sex workers pagano le tasse e le case di tolleranza sono tenute sotto stretto controllo dallo stato.

Ampliare la Merlin. C'è anche chi caldeggia l’adozione di un ‘modello nordico’, ovvero un modello partito dalla Svezia e copiato da altri paesi europei tra i quali c'è anche la Francia che prevede punizioni per i clienti e non per le prostitute. Tra questi c’è l’associazione comunità Papa Giovanni XXIII che a favore del modello nordico ha lanciato una petizione sottoscritta da circa 29mila persone che chiede a parlamentari e governo di sostenere la proposta di legge della parlamentare Pd Caterina Bini. La proposta prevede l’introduzione di pene più severe per ‘i clienti’ che secondo le stime favoriscono un’economia stimata di 90 milioni di euro annui. Questo per contrastare il fenomeno dello sfruttamento che nei flussi migratori ha trovato nuova linfa.