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Nazionale, Italia-Argentina 0-2: parte male la nuova era azzurra

Lanzini segna la rete del 2-0 (reuters)
Nella prima uscita dopo l'eliminazione dal mondiale, sconfitta degli azzurri sotto la guida del ct Di Biagio. I sudamericani si impongono anche senza Messi: decidono nella ripresa Banega e Lanzini
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MANCHESTER - Davanti agli occhi degli azzurri la porta ormai è una cruna d’ago, un cunicolo senza luce, una fessura che ricorda un incubo recente che col passare del tempo assume frequenza e dimensioni sempre più spaventose. Se ancora non vi date pace, se ancora non avete capito che l’Italia guarderà il Mondiale su Canale 5, la partita con l’Argentina è un utile promemoria, come il gol divorato da Insigne a tu per tu con Caballero quando il punteggio era ancora di 0-0. Ha vinto la Selección, ha vinto con i gol di Banega e Lanzini, due luogotenenti nella notte in cui Leo Messi si è preso una pausa e ha rinviato ancora una volta la sua prima sfida contro gli azzurri (pure nel 2013 restò fuori per infortunio, sotto gli occhi di papa Francesco). 

Serviva più all’Argentina che all’Italia questa partita. Sampaoli a fare il pescatore di uomini per la sua campagna di Russia, nuotando nell’abbondanza di chi può escludere Dybala e Icardi - o almeno minacciare di farlo, però sembra piuttosto convinto - e di chi può cercare pure contro l’Italia le comparse giuste per girare un film che ruoterà tutto intorno alla Pulce. Di Biagio invece a fare le prove di rinnovamento schierando però alla fine otto giocatori che contro la Svezia c’erano, aggiungendo le novità De Sciglio, Rugani e Chiesa (che ha debuttato, come Cutrone). Di là, Lo Celso a prendere il posto di Messi, in un’Argentina che ha collaudato la difesa a quattro e il modulo (4-2-3-1) costruito per Leo, con tanti osservati speciali (Bustos, Lanzini, Paredes, Tagliafico, Caballero). 

Senza Messi, inutilmente invocato dall’Etihad Stadium per tutta la ripresa, l’opera ha perso fascino, ritmo, interesse. Ma per un tempo almeno l’Argentina ha provato a giocare, illuminata dalla luce di Di Maria, che ha fatto ammattire l’intera fascia destra azzurra e il povero Florenzi (bravo comunque a sventare un pericolo in area, almeno), e ha testato i riflessi di Buffon, puntuale a volare sul colpo di testa di Otamendi e sulle incursioni di Tagliafico e Higuain. L’Italia per mezza sera non ha messo il naso fuori dall’uscio, si è intestardita a giocare solo palla a terra, anche a costo di sbagliare tanto, e ha cercato di costruire soprattutto sulla fascia mancina, nel triangolo fra Insigne, Immobile e Verratti, i tre discepoli di Zeman a Pescara, con Jorginho impiegato da regista centrale nel 4-3-3. Un colpo di testa di Parolo, una sponda mancata su punizione di Insigne, è stata l’unica cosa in qualche modo avvicinabile a un tiro in porta, mentre l’Argentina è stata brava a restare corta e a non farsi sfidare in difesa sul piano della velocità. 

La ripresa è stata più aperta e interessante. L’Italia ha avuto la palla per passare, sciupata da Insigne su assist di Immobile che ha sfruttato un regalo della retroguardia albiceleste. Insigne ha messo clamorosamente fuori a tu per tu con Caballero, e lì la partita ha preso la direzione sbagliata per gli azzurri. È stato Banega, incompreso nella parentesi nerazzurra, a punire l’Italia sfruttando un errore di Jorginho e un triangolo chiuso da Lo Celso, uno dei più interessanti ragazzi del futuro. Quando Verratti, fra i salvabili, ha scelto la via del lancio lungo, ha innescato Immobile e Insigne, su cui Caballero è stato attento. Chiesa, a lungo ignorato, si è visto un po’ prima d’uscire, ma il migliore è stato ancora il quarantenne Buffon, e questo vorrà pur dire qualcosa, oltre a certificarne l’irrinunciabilità nel presente. Ha detto di no a Perotti, si è arreso invece a Lanzini, quando l’Italia si è fatta infilare in contropiede nel generoso ma disordinato finale. Snobbata da Messi, la Nazionale ha perso anche contro un’Argentina sperimentale. Se non va al Mondiale, un motivo ci sarà. 

 
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