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Politica

Salvini-Di Maio, gioco a due sulle presidenze

Ansa
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"Stiamo lavorando per darvi un nome accettabile". È l'ora di pranzo quando negli uffici della Camera in cui è chiuso Luigi Di Maio squilla un telefono. All'altro capo della cornetta uno dei principali tessitori della rete di Matteo Salvini. I 5 stelle sono all'angolo. Il no su Paolo Romani alla presidenza del Senato rimane incrollabile, il centrodestra resta tetragono, rischiano di saltare tutti gli schemi, e di rotolare sul tavolo dei veti incrociati la testa del candidato presidente stellato alla Camera.

Verso le 17.30 il leader della Lega piomba come una furia nel Transatlantico del Senato. Sorride sotto i baffi, aspetta che tutte le telecamere si accendano. Poi sgancia la bomba: "Per senso di responsabilità abbiamo deciso di cambiare candidato". Fa per andarsene ma un cronista lo blocca: "Chi è?". "È Anna Maria Bernini". I 5 stelle esultano. Per tutto il giorno hanno guardato con preoccupazione alla testardaggine della coalizione avversaria, immobili come chi sa di aver calpestato una mina e cerca di scampare all'esplosione. Al punto che nei conciliaboli tra i senatori a metà mattina avanza l'ipotesi di votare un candidato del Pd: "Perché no? – è il ragionamento – nel caso arrivasse al ballottaggio con Romani e fosse un buon profilo?".

Circola il nome di Luigi Zanda, più per testare il Pd che per convinzione, qualcuno cita Emma Bonino. Non una vera e propria strategia, più una mossa disperata per uscire dall'angolo. Poi la telefonata, e il fiato sospeso. Quello della Bernini, così come quello della collega Maria Elisabetta Casellati, sono due nomi potabili. Lo dicono in tutte le salse i senatori. Anche se una parte del gruppo fatica a votare un azzurro, chiunque esso sia. Uno di quelli più in vista dice che "significherebbe rilegittimare Berlusconi".

Gli occhi puntano su Palazzo Grazioli, dove si riunisce l'ennesimo vertice di centrodestra, investito dall'ira di Silvio Berlusconi. Perché Salvini si è spinto oltre. Quando il presidente pro tempore Giorgio Napolitano inizia a leggere le schede votate, oltre alle tante bianche, su cinquantasette è vergato il nome della professoressa, senatrice di Forza Italia. Cinquantotto sono i senatori della Lega. Difficile, dopo una mossa così plateale, tornare su Romani. Profilo bruciato. Così come difficile che sia proprio la Bernini il vero candidato. Un boccone troppo duro da mandare giù dall'ex Cavaliere. Minaccia di far saltare il banco. Che nella fattispecie coincide con la presidenza della Camera per il Movimento.

Dal Carroccio parte un altro dispaccio in direzione della war room di Di Maio: "Dovete darci un segnale, dire apertamente che il problema non era un candidato di Forza Italia, ma la condanna che gravava su Romani. Se no Silvio non lo reggiamo". In cambio l'assicurazione che la Lega terrà il punto su una Montecitorio stellata. Qualche tempo per rifletterci, poi Di Maio twitta: "Per la presidenza del Senato siamo disponibili a sostenere Anna Maria Bernini o un profilo simile". Che sia la Casellati, o un quarto nome rispondente alle stesse caratteristiche. Parte la batteria. Alessandro Di Battista segue il capo politico, coprendone la decisione: "Se Salvini propone la Bernini al Senato ritengo che il Movimento 5 Stelle debba votarla. Punto. Se Salvini propone un nome Di Forza Italia è un problema suo. Noi non votiamo impresentabili e condannati (come Romani) come abbiamo sempre detto". Stefano Buffagni: "Bisogna rispettare il voto dei cittadini". Serve la più ampia copertura politica per una decisione che scontenta una parte del gruppo al Senato.

Il tutto per tutelare la candidatura di Riccardo Fraccaro, infine preferito a Fico dai 5 stelle per la presidenza di Montecitorio. E infatti il leader del Carroccio risponde: "Vista la disponibilità dei 5 stelle a sostenere un candidato del centrodestra alla presidenza del Senato, noi ne appoggeremo uno dei 5 stelle alla presidenza della Camera. Aspettiamo di conoscere nomi".

Per mostrare unità, quasi fosse una scelta comunicativa studiata al millimetro, l'ex presidente della Commissione di vigilanza Rai passa tutto il giorno alla Camera accanto al capo politico. Ma più in generale i big si muovono insieme, costantemente, compatti. Di Maio viene scortato dal vertice dei pretoriani. Ci sono Alfonso Bonafede, Vincenzo Spadafora, Stefano Buffagni (manca solo Fraccaro, impegnato come segretario d'Aula). Gli fanno da scudo, proteggono i canali di comunicazione, salgono e scendono sempre insieme gli scaloni che portano all'ufficio del leader, scene plastiche in un andirivieni senza soluzione di continuità tra le votazioni in aula e le mille riunioni per cercare di diradare la nebbia. Che al mattino è molto densa.

Per Di Maio un sorriso tirato, poche laconiche parole: "Sono sempre ottimista". Non suonano molto convinte. Man mano l'aria si rasserena. Soprattutto dopo che avrebbe ricevuto un paio di telefonate dal leader leghista. Un gioco di sponda che accende qualcosa in più che una speranza. Sempre che Salvini tenga il punto. E che il fragile castello di carte sopravviva alla notte. In quel caso, domani mattina si potrebbe già arrivare all'elezione dei due presidenti. E i 5 stelle otterrebbero il primo tassello di un grande disegno. Che ha come casella d'arrivo Palazzo Chigi.

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