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Politica

Lo spread torna a guidare la crisi

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Tre parole compaiono in serata sul profilo Facebook di Matteo Salvini: "Sono davvero arrabbiato". E Luigi Di Maio aggiunge il suo like, condividendone il senso. Nessuna parola filtra invece dal Quirinale, dopo che il premier incaricato Giuseppe Conte ha terminato il suo colloquio "informale" di un'ora con Mattarella, a conferma della delicatezza estrema della situazione.

La sostanza politica di quel che sta accadendo è questa: non un classico negoziato, con le sue effervescenze, attorno a un nome della compagine di governo, in una casella sia pur importante come l'Economia, su cui il capo dello Stato, che ha il potere di "nomina", esprime le sue perplessità che, normalmente, vengono recepite, indicando un altro nome, come accaduto svariate volte nella storia dell'Italia repubblicana. Ma una forte tensione, diciamo le cose come stanno, di "sistema". Politica. Economica. Istituzionale, con i due partner di governo che "sfidano" la presidenza della Repubblica, mettendo in discussione le sue prerogative stabilite dalla Costituzione.

È questo che sta accadendo in una giornata in cui lo spread riapre formalmente la crisi italiana. E, per prima volta da dopo il voto, supera la soglia psicologica dei 200 punti base, raggiungendo quota 217, col crollo della borsa di Milano. Ecco il motivo per cui il premier incaricato sale al Colle, in un clima di preoccupazione, a borse chiuse. E, formalmente, senza una lista dei ministri da sottoporre all'attenzione del capo dello Stato. Parliamoci chiaro: se il Quirinale avesse dato il via libera all'indicazione di Paolo Savona come ministro dell'Economia a borse aperte il crollo sarebbe stato catastrofico. Perché i mercati non sono quattro complottardi che manovrano spread e governi, ma il metro del "rischio Italia", su un programma economico spericolato teso a mettere in discussione la stessa permanenza del paese nell'euro. L'effervescenza, con lo spread a 180, è iniziata alla prima pubblicazione della prima bozza di programma che prevedeva la richiesta alla Bce la cancellazione del debito, proseguita nelle bozze definitive che prevedevano spesa in deficit senza coperture, poi il picco quando si è avvicinata la nomina di Paolo Savona, il teorico del "piano B": un programma in extra-deficit, a costo di far impennare lo spread, con quel che comporta in termini di scosti sociali per il paese, fino a mettere in contro l'uscita dall'euro.

Ecco il punto. Ed è per questo che, prima di salire al Colle, il premier incaricato ha fatto un ultimo tentativo con Matteo Salvini per verificare la possibilità di indicare un altro nome, anche in quota Lega, che non fosse Paolo Savona. Perché, per dirne uno, su Giancarlo Giorgetti sarebbero tutti d'accordo, dall'M5s al Quirinale. Ma non il leader del suo stesso partito che, più o meno, ha risposto: "O Savona o morte". Una intransigenza che alimenta dubbi, anche tra i Cinque stelle, sulle reali intenzioni del leader leghista di fare il governo o di utilizzare la questione per far saltare il tavolo e tornare al voto anticipato. Sospetto ancor più evidente in serata, con le parole di fuoco su facebook e umori belligeranti lasciati trapelare alle agenzie di stampa che annunciano l'assoluta indisponibilità a indicare un altro nome perché "non andremo mai a Bruxelles col cappello in mano".

Torna lo spettro del ritorno al voto, in un clima infernale, con Salvini (chissà i Cinque Stelle) pronto a fare della "rottura istituzionale" col Colle il primo atto della campagna elettorale, scaricando su Mattarella la "colpa" di non aver consentito la nascita del primo governo che non fosse "schiavo dell'Europa, dei mercati, della Merkel". Paolo Savona, a questo punto, è diventato un simbolo di questo ennesimo capitolo della crisi italiana. Perché, a questo punto, il capo dello Stato non può cedere rispetto alla difesa e al rispetto delle sue prerogative. Perché non di un puntiglio procedurale si tratta, ma di una legittima difesa dell'interesse nazionale visto come i mercati stanno "prezzando" il rischio Italia. Il rischio che salti tutto è concreto, perché sembra assai difficile che Conte, nella giornata di sabato, possa tornare al Colle con la lista dei ministri chiusa. Anzi è impossibile perché Salvini, senza aver discusso più di tanto con i Cinque Stelle, ha rimesso all'ordine del giorno il ritorno al voto, forte dei sondaggi che lo danno in crescita e sicuro di lucrare consensi con la "spallata populista" al Quirinale. E già si ragiona attorno all'eventualità che domenica o lunedì, se non cambierà nulla come sembra, il professor Conte possa tornare al Colle per rimettere il mandato.

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