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Politica

Salvini sta ancora con Visegrad: da Budapest contestano il vertice Ue di domenica, il ministro condivide: "Ma decide Conte"

Hannibal Hanschke / Reuters
Hannibal Hanschke / Reuters 

Riuniti a Budapest alla corte di Viktor Orban, i paesi di Visegrad, il blocco europeo più contrario all'accoglienza dei migranti, contesta il mini-vertice informale sull'immigrazione, che domenica prossima si terrà nel Palazzo della Commissione Europea a Bruxelles. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia annunciano che non ci andranno, lo definiscono illegittimo perché lascia fuori gran parte del consiglio Ue, "inaccettabile perché vogliono riproporre una vecchia proposta che noi abbiamo già rifiutato", dice il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki riferendosi alla redistribuzione dei profughi in Ue, da sempre argomento off limits per questi paesi. Il punto è che, ancora una volta nell'era del governo gialloverde, le argomentazioni di Visegrad trovano alleanze in Italia: da Matteo Salvini. "Dopodiché se Conte vuole andarci, lo appoggeremo", dicono i suoi.

Anche dopo la telefonata 'chiarificatrice' di Angela Merkel oggi al premier Giuseppe Conte, il ministro dell'Interno resta convinto che non ci sia molto da sperare nel vertice informale di domenica, voluto dalla Cancelliera per preparare il difficile consiglio europeo del 28 giugno. La sua, naturalmente, è anche una questione politica: Visegrad e tutto il blocco sovranista, gli alleati europei della Lega, hanno ormai dichiarato guerra alla leader tedesca, muovendosi sotto il cappello di Orban e del Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, la parte più oltranzista del Ppe sull'immigrazione. E per questo guardano alla riunione informale di domenica come ad un ennesimo atto di sottomissione alla Cancelliera e al suo alleato Emmanuel Macron. Anche per questo, se ne stanno ben lontani, mentre tutto intorno al vertice scoppiano tentazioni più o meno conclamate di boicottaggio.

Non a caso, non si è mossa solo Merkel da Berlino per evitare che il vertice venga boicottato, da qui la telefonata a Conte con la promessa di "accantonare" la bozza sui respingimenti alla frontiera che aveva mandato su tutte le furie pure la parte pentastellata del governo, fino alla minaccia di non presentarsi ad un vertice dagli esiti già decisi. Anche da Parigi il portavoce del governo Benjamin Griveaux lancia un appello a "non boicottare i vertici europei".

Sono tutti segnali di nervosismo alle stelle. E di una Ue che sta cambiando pelle senza sapere se alla fine sarà ancora Ue. La riunione di domenica nasce malissimo. Anche perché, per guardarla da una prospettiva italiana, non è affatto detto che il piano tedesco sui respingimenti venga accantonato. Non è così, a giudicare da quanto sta succedendo in Germania dopo la telefonata tra Merkel e Conte. Al ministro dell'Interno tedesco Horst Seehofer non è piaciuta la promessa della Cancelliera al premier italiano di mettere da parte la bozza della discordia. E' lui, leader della Csu bavarese, l'autore del piano che rispedirebbe nei paesi di primo approdo come l'Italia i rifugiati che cercano un futuro in Germania. E lui minaccia la crisi di governo. "Se si fa dimettere un ministro per perché si preoccupa della sicurezza e dell'ordine del suo Paese – dice in un'intervista alla Passauer Neue Presse - sarebbe un'anteprima assoluta. Io sono presidente della Csu, uno dei tre partiti della coalizione di governo, se qualcuno nella coalizione è scontento allora si rompa".

Mai come stavolta Merkel è tra incudine e martello: da una parte il rischio di far cadere il governo in patria, dall'altra quello di spaccare una Unione già messa malissimo. Con queste premesse, sarà difficile, se non impossibile, trovare una sintesi tra i paesi che domenica saranno a Bruxelles. Alla fine, per ora, ci saranno: Germania, Francia, Italia, Spagna, Austria, Grecia, Malta, Bulgaria, Belgio, Olanda. Sul tavolo – oltre al 'fantasma respingimenti' – ci sarebbero anche le redistribuzioni e il rafforzamento delle frontiere esterne. Nell'ottica dell'alleanza dei volenterosi, battezzata ieri al Viminale nell'incontro di Salvini con gli interlocutori austriaci, ci sarebbe anche il progetto di hotspot nei Balcani. Proprio oggi Orban ha detto che l'Albania merita l'avvio dei negoziati per l'ingresso nell'Ue. In cambio di accettare gli hotspot per fermare i flussi verso l'Unione, s'intende.

Ad ogni modo, la proposta italiana si concentra sul rafforzamento delle frontiere esterne, centri di protezione europei nei Paesi di origine e transito per la valutazione del diritto di asilo, incremento dei rapporti con i Paesi terzi per fermare i 'traffici di morte'. No invece al piano Seehofer, anche se costui è un interlocutore politico di Salvini. Ma questa storia ne ha tante di contraddizioni, a partire dall'alleanza tra la Lega, l'Austria e il blocco di Visegrad contrario alle relocations dei migranti.

Salvini in questa fase non sta cercando di convincere Conte a non andare al vertice di domenica. Ma è chiaro che, se queste sono le premesse, il premier italiano ci andrà con il carico da novanta dello scetticismo leghista. Non solo. Oggi ci si è messo pure Luigi Di Maio a ingaggiare un corpo a corpo verbale con Macron che ha parlato di "lebbra" populista in Europa. "Li vedete crescere come una lebbra, un po' ovunque in Europa, in Paesi in cui credevamo fosse impossibile vederli riapparire – sono le parole del presidente francese - I nostri amici vicini dicono le cose peggiori e noi ci abituiamo! Fanno le peggiori provocazioni e nessuno si scandalizza di questo". Ed ecco il vicepremier pentastellato: "Le parole di Macron sono offensive e fuori luogo. La vera lebbra è l'ipocrisia di chi respinge gli immigrati a Ventimiglia e vuole farci la morale sul diritto sacrosanto di chiedere una equa ripartizione dei migranti. La solidarietà o è europea o non è".

Difficile per Conte districarsi tra tanti toni forti. E per giunta in un vertice che è un'incognita assoluta.

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