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Politica

Accordo fatto sulle Commissioni, Vigilanza Rai al partito Mediaset

Aol
Aol 

Al termine del lungo pranzo con Arcore Fedele Confalonieri, il via libera è arrivato a tutti i titolari della "grande trattativa", il tradizionale rito che, anche in pieno governo di cambiamento, si perpetua con i rituali di sempre. E consente di chiudere l'accordo sulle commissioni di "garanzia". Il candidato per la Vigilanza Rai è Alberto Barachini, ex giornalista Mediaset e stretto collaboratore di Silvio Berlusconi.

Dunque, il Cavaliere ha rinunciato a Maurizio Gasparri, figura complicata da digerire per i Cinque Stelle (e di conseguenza per tutta la maggioranza gialloverde), perché troppo associabile agli anni del berlusconismo di governo, e padre di una legge tra le più divisive, che ai tempi fu rimandata dal capo dello Stato alle Camere. Dire che l'ex premier si è stracciato le vesti di fronte a questo insormontabile veto non sarebbe esatto, perché in fondo Barachini – sempre del partito Mediaset di tratta – dà le stesse garanzie e, al tempo stesso, favorisce anche quel rinnovamento interno, di volti e ruoli che ha investito tutte le principali cariche di Forza Italia. L'ex ministro invece, sacrificato sul dossier televisivo, andrà alla Giunta delle elezioni del Senato, che spetta sempre alle opposizioni.

Era il punto di più delicato di questa complicata trattativa, come è sempre delicato ciò che investe il tema televisivo quando c'è di mezzo Berlusconi. Punto foriero di una grande tensione all'interno di Forza Italia e con la Lega che, fino all'ultimo, ha tenuto aperto il negoziato. Non a caso, solo alla fine il Carroccio ha comunicato i nomi dei suoi componenti in Vigilanza, tenendo aperta la possibilità di un rinvio della votazione. Perché non sono poche le caselle su cui chiudere l'accordo. Al Copasir, ormai è un dato acquisito, sarà eletto Lorenzo Guerini, il renziano mite, già portavoce della segreteria di Renzi, detto "il Forlani di Matteo" per la sua arte della mediazione. A Fratelli d'Italia spetterà invece la giunta per le elezioni della Camera.

La trattativa, a tarda ora ancora in via di definizione, riguarda i quattro componenti del consiglio di amministrazione della Rai (due saranno nominati dal Tesoro e uno eletto dai dipendenti Rai nei prossimi giorni). Lo schema prevede che a Forza Italia non ne spetti nessuno, perché ha incassato la Vigilanza e ha ottenuto un "togato" del Csm (che si vota dopodomani). Degli altri, due (uno alla Camera, uno al Senato) spettano alla maggioranza, due alle opposizioni, Pd e Fratelli d'Italia: "Fratelli d'Italia – dicono fonti vicine al dossier – ha indicato Giampaolo Rossi, un intellettuale d'area. Il candidato del Pd è ancora in definizione, perché non c'è una sola voce tra chi vorrebbe confermare un uscente, tipo Rita Borioni e chi, come l'ala più renziana, puntare su un nome nuovo. C'è tempo fino a domani mattina".

Il problema riguarda la maggioranza. Perché i Cinque stelle hanno "eletto" due nomi, Beatrice Coletti e Paolo Cellini, attraverso la mitica piattaforma Rousseau. Una scelta che archivia le polemiche sui due nomi "chiacchierati" della cinquina messa in votazione: quello della giornalista Claudia Mazzola, l'inviata del Tg1 brutalmente apostrofata nel 2014 come autrice di "servizietti", e successivamente apprezzata dai vertici pentastellati; e quello dell'avvocato Paolo Favale, ex dirigente Rai che si è appena visto riconoscere dalla Cassazione come illegittimo il suo licenziamento per motivi sindacali.

Sia come sia, due nomi dei Cinque stelle escluderebbero un consigliere della Lega, almeno tra quelli eletti dal Parlamento (due ne nominerà il Tesoro nei prossimi giorni e uno i dipendenti Rai). E questo è il punto. Proseguono le stesse fonti: "La partita incrocia la nomina dei vertici Rai. Se cioè va in quota Lega il direttore generale, che è più importante e implica la rinuncia a un componete del cda o il presidente che comunque uscirà dai nomi indicati dal Tesoro". È una trattativa ancora in fieri, che brucia nomi e schemi, nell'ambito del "Great game" più generale che investe anche Ferrovie, Cpd, i veri assetti del potere italiano. Perché Salvini, prima di dare il via libera a uno solo di questi dossier, vuole garanzie complessive. Tradotto: se in Cdp incassano i Cinque stelle, su Ferrovie o Rai deve essere "compensata" la Lega.

Tornando alla Rai. Tra i possibili presidenti della Rai circola anche Giovanna Bianchi Clerici, già parlamentare della Lega, già membro del cda di Viale Mazzini una decina di anni fa, attualmente componente dell'Autorità Garante della Privacy, figura ad alto tasso di politicizzazione, che poco si presta alla narrazione del "via i partiti dalla Rai". Il nodo vero però riguarda il direttore generale, perché il "tetto" al compenso per i dipendenti pubblici a 240mila euro non è un incentivo per coinvolgere i "manager dei sogni" pentastellati come Fabrizio Vaccarono, il Country manager di Google Italia. Resta sul tavolo Fabrizio Salini, ex direttore di La7 e prima ancora di Sky uno. Ma prende forma anche l'ipotesi di una soluzione interna. Luigi Di Maio ha ricevuto molti apprezzamenti sulla figura di Gian Paolo Tagliavia, il responsabile per le attività digitali della Rai, un "tecnico" nominato da Campo Dall'Orto.

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