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Economia

I timori per la crescita nel 2019 spingono Tria a chiedere più flessibilità a Bruxelles

Tony Gentile / Reuters
Tony Gentile / Reuters 

C'è un timore che rischia di assumere le sembianze di una zavorra sui conti pubblici italiani, già appesantiti da impegni inderogabili, e questo timore si chiama crescita più bassa del previsto nel 2019. A caricarsi sulle spalle questo timore è il ministro dell'Economia Tria, a cui spetta il compito assai complesso di tenere le finanze in ordine e allo stesso tempo di dare spazio al programma, costoso, targato Lega-5 Stelle. Ecco perché, secondo quanto apprende Huffpost da fonti di governo, la trattativa con Bruxelles è già partita e punta a rendere meno pesante la correzione dello 0,6% chiesta dall'Europa per il prossimo anno, che tradotta in cifre e obblighi significa trovare 10 miliardi.

"Anche nel 2019 gli istituti internazionali indicano un rallentamento nei principali Paesi europei che avrà un impatto anche sull'economia italiana per le forti interdipendenze", ha sottolineato Tria nel corso dell'audizione in commissione Finanze al Senato, mettendo in luce quanto il fattore crescita sia centrale nel determinare l'entità della manovra correttiva del prossimo anno. Una crescita più bassa del previsto, infatti, andrebbe a complicare i rapporti debito/Pil e deficit/Pil, rendendo necessari quindi aggiustamenti più imponenti per far fronte alle regole europee. Qui si inserisce la strategia di Tria: ottenere uno sconto da Bruxelles per il 2019, cioè una correzione inferiore di qualche decimale allo 0,6% e quindi scendere rispetto alla richiesta attuale di 10 miliardi.

Strada obbligata per il ministro dell'Economia visto che gli impegni sul fronte dei conti da far quadrare sono già tanti. La manovra per il 2019, infatti, parte già da circa 25 miliardi: bisogna recuperare 12,5 miliardi per disinnescare le clausole di salvaguardia e evitare così l'aumento dell'Iva, 2-3 miliardi di spese indifferibili e i 10 miliardi chiesti appunto da Bruxelles.

Tutto questo non considerando il pressing del Carroccio e del Movimento 5 Stelle, che vogliono rispettivamente inserire la flat tax e il reddito di cittadinanza nel menù della legge di bilancio. Misure che costano, e parecchio, e che andrebbero a rendere ancora più arduo il compito di Tria. Se sul fronte delle spese indifferibili e dello stop all'aumento dell'Iva non ci sono spazi, l'unico fronte su cui insistere è quello appunto di un aggiustamento meno pesante sul versante del deficit. Il dialogo con la Commissione europea è iniziato e nella strategia italiana c'è anche la volontà di inserire cifre meno impegnative nella Nota di aggiornamento al Def, step intermedio nella messa a punto della legge di bilancio che arriverà in autunno.

Non è un caso che Tria abbia posto l'accento sui rischi di una crescita meno robusta nel 2019. Quasi a dire: altro che misure che costano, bisogna prima rendere meno gravosi gli impegni che già pendono sui conti. Un ragionamento esplicitato quando il ministro ha passato in esame i due cavalli di battaglia degli azionisti di governo. Ancora una volta ha invitato alla prudenza, stavolta annacquando ancora di più la modalità "rivoluzionaria" che Di Maio e Salvini vorrebbero dare alle loro punte di diamante. Reddito di cittadinanza. Dice Tria: "Quando mi si dice 'quanto costa?' rispondo che è una domanda impropria perché il costo di un provvedimento non può essere tutto addizionale ma in parte sostitutivo". Ancora: "Si tratterà di trasformare strumenti di protezione sociale già esistenti in altri strumenti, poi si vedrà il costo differenziale e come introdurlo gradualmente". Le parole del ministro riducono la portata innovativa dell'impostazione di Di Maio: il reddito di cittadinanza diventa uno strumento che ingloba misure già esistenti (come potrebbe essere ad esempio il Rei, il reddito di inclusione), che verranno semplicemente "trasformate". Per questo motivo Tria spiega che una parte delle risorse già c'è ed è quella che oggi è impiegata nelle forme di sostegno al reddito. Poi ci sarà un intervento aggiuntivo, e quindi con un costo ulteriore, ma è ancora imprecisato tanto che lo stesso ministro parla di necessità di "vedere quale è il disegno specifico della norma".

Stesso ragionamento per la flat tax. Quella che doveva essere la rivoluzione fiscale della Lega, con la previsione di una sola aliquota, poi ammorbidita e confezionata con due scalini nel Contratto di governo, rischia di annacquarsi ulteriormente. Tria, infatti, ha sottolineato che la flat tax "va inserita in un quadro coerente di politica fiscale e in armonia con i principi costituzionali di progressività". Flat tax e progressività sono due concetti che difficilmente possono stare insieme, ma il ministro si è spinto ancora oltre, sostenendo che l'attuale sistema Irpef "fa fatica" a garantire quella progressività che appunto si vuole tutelare e addirittura rafforzare con la flat tax.

L'ennesima presa di distanza dal furore di Di Maio e Salvini da parte di Tria è ribadita da un altro ragionamento illustrato dal ministro durante l'audizione: flat tax e reddito di cittadinanza si possono fare solo "compatibilmente con gli spazi finanziari". Si ritorna alla manovra, a Bruxelles e alle trattative obbligate.

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