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Cultura

I Pearly Kings and Queens: gli altri reali di Londra a cui si inchina anche la Royal Family

Getty Images
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Non solo dell'austera Elisabetta II, dell'aitante principe Harry o della perfetta futura regina Kate Middleton: quando si parla di reali, in Gran Bretagna, è bene evitare di riferirsi esclusivamente alla Royal Family che si aggira tra Buckingham e Kensington Palace. Perché a Londra, di re e regine, ce ne sono circa una trentina e la città li celebra con gioia una volta l'anno nella chiesa di St Mary-le-Bow. Si tratta di 28 coronati – uno per ogni quartiere della capitale – che si tramandano il titolo di generazione in generazione tramite una vera e propria cerimonia d'investitura. E ogni famiglia reale, poi, possiede il suo stemma, come si conviene a ogni stirpe aristocratica che si rispetti. Un particolare va ammesso, però: i Pearly Kings and Queen – ovvero "re e regine perlati" (questo il nome di cui si fregiano) – sono nobili solamente nello spirito e non per discendenza genetica, oltre al fatto che si aggirano per la capitale del Regno Unito ornati di bottoni perlacei invece che di preziosi diademi.

La CNN, tuttavia, non ha esitato a definirli "gli altri reali di Londra" (benché loro amino definirsi "i re del proletariato") e del resto la loro storia è più antica ancora di quella dei Windsor: da 150 anni la loro unica missione è servire il popolo che si sono scelti, quello dei poveri e dei bisognosi, raccogliendo incessantemente fondi da destinare loro. Non stupisce, perciò, che Sua Maestà Elisabetta II li abbia voluti omaggiare facendoli sfilare alla parata di apertura delle Olimpiadi di Londra 2012, né che Kylie Minogue abbia indossato il loro caratteristico abito completamente ricoperto di bottoni in occasione del giubileo di diamante della sovrana d'Inghilterra, imitata poi da Annie Lennox poco dopo. Insomma: l'attività dei Pearlies è profondamente radicata nella cultura britannica. Eppure, appena fuori Londra, in pochi sanno della loro esistenza. Per questo abbiamo contattato due di loro, con l'intento di farci raccontare a viva voce una storia che ha il sapore delle favole.

Francesca Frosoni
Francesca Frosoni 

Per andare ad incontrare George Major, un simpaticissimo 80enne che porta con onore il titolo di Pearly King di Peckham, abbiamo dovuto salire in macchina e viaggiare quasi 2 ore a est di Londra, finendo la nostra corsa a Sutton. Il gioco, però, è valso decisamente la candela. E nonostante George sulle 10 dita delle mano abbia tatuato "True Love" per far capire ai vecchi avversari di boxe che i suoi pugni erano solo fatti d'amore, questo arzillo vecchietto ci ha accolto con un gran sorriso e modi da vero gentiluomo. Solo per noi, inoltre, ha voluto aprire le porte di luogo davvero unico al mondo: il Cockney Museum, dove ha collezionato con cura e devozione i vestiti e i cimeli di 169 anni di storia dei Pearlies. Il museo, in verità, altro non è se non un van parcheggiato in una fattoria di provincia, ma la cura con cui è stato allestito non lo fa sfigurare di fronte a ben più attrezzate esposizioni permanenti. Sul retro del camioncino, poi, campeggia la scritta: "Non avete mai visto veramente Londra se non siete stati al Cockney Museum". È difficile dargli torto.

The Original Pearly Kings & Queen Association
The Original Pearly Kings & Queen Association 

Lorraine Wells, la Queen di Tower Hamlets, invece, l'abbiamo contattata per telefono, in una chiamata emotivamente intensa e per lei commovente, specie nel ricordo dei suoi avi che le hanno ceduto il titolo: "Grazie ai miei nipoti la mia famiglia può contare ben 6 generazioni di Pearlies" ci ha fatto sapere con orgoglio. "Siamo gli unici ad avere una tradizione così lunga. Sono davvero onorata di esserne parte. Quando ero bambina e mia nonna mi vestiva con quell'abito pieno di bottoni, non capivo veramente cosa significasse. Ora penso che la mia vita sia stata benedetta dal poter cantare, danzare, sfilare e raccogliere fondi per i più bisognosi. Non vedo questo mio 'lavoro' come un dare soltanto, perché per tutto quello che faccio per gli altri, ricevo molto di più".

Francesca Frosoni
Francesca Frosoni 

E allora da dove nasce la storia dei Pearlies? Nonostante si facciano chiamare re e regine, siano in grado di raccogliere cifre da capogiro per beneficenza e molti di loro abbiamo incontrato più volte i membri della Royal Family, tutto è partito dai sobborghi poveri e sporchi dell'East London. Come riportato con precisione in una delle didascalie appese ai muri del Cockney Museum, appunto, gli avi dei Pearlies altro non erano se non indigenti costermonger, ossia semplici rigattieri che alla fine dell'Ottocento riuscivano a campare a fatica comprando e vendendo stracci e cianfrusaglie (lo stipendio medio di un uomo della working class, negli anni Venti del Novecento, era di 5 sterline.). "Fu quando l'orfanello di 13 anni Henry Croft si unì a loro nel mercato di Spitalfields che qualcosa cambiò" ci ha raccontato la Queen Lorraine. "Era il 1875 e Croft prima si occupava di spazzare le strade per il comune". Poi però, una volta entrato nel gruppo, cominciò ad adornarsi di bottoni da capo a piedi – prendendo spunto da quanto facevano, con maggiore discrezione, gli altri robivecchi – con l'intento di vendere di più, e diventando ben presto un punto di riferimento nel quartiere. Quella trovata geniale gli fece guadagnare cifre decisamente alte per l'epoca, tanto che l'uomo decise di donare parte dei suoi bene a chi ne aveva bisogno e specialmente ai poveri orfani come lui. Non contento, però, chiese ai rappresentati degli altri rigattieri di unirsi a lui nella sua attività di beneficenza: accettarono praticamente tutti. Fu così che entro il 1911 ognuno degli allora 28 quartieri di Londra poté contare un re e una regina perlati. Ma perché, appunto, tutti li riconoscono come reali? La spiegazione, tanto semplice quanto bizzarra, ce l'ha data George: "Perché il primo costermonger di cognome faceva King". Rare volte un nome è riuscito a incidere così tanto sulla storia di una comunità.

Sono difatti 3 le caratteristiche che hanno reso i Pearlies una vera e propria istituzione della capitale della Gran Bretagna: i loro incantevoli ed eccentrici vestiti, la continua opera caritevole e le solenni cerimonie di incoronazione dei nuovi regnanti in carica. Queste ultime nulla hanno da invidiare a quelle dei veri sovrani inglesi: quando un vecchio Pearly muore, tutti gli altri si riuniscono in una chiesa a loro cara, dove il vescovo di zona (o un suo vicario) celebra un vero e proprio rito tra sacro e il profano, poggiando sulla testa dei prescelti delle grosse corone e attribuendo loro il compito di fare beneficenza. Un cerimoniale che si discosta davvero di poco da quello degli aristocratici puri, anche se poi però per i Pearlies arriva il momento del pub, in cui nuovi e già navigati re vanno a bere birra e a mangiare il tradizionale pie and mash (pasticcio con patate e piatto dei poveri robivecchi per eccellenza) per festeggiare.

Francesca Frosoni
Francesca Frosoni 

E sarà forse per questa vicinanza di rituali o per il fatto che i Pearlies sono più antichi della stessa casata dei Windsor che diversi componenti della famiglia reale (quella vera) hanno omaggiato nel tempo e riconosciuto l'autorità dei loro omologhi proletari. "La regina conosce la nostra storia, abbiamo molto di cui essere fieri" ci ha rivelato George mentre ci mostrava l'interno del suo museo. "Ho pranzato con diversi membri della Royal Family, ma la mia preferita è sempre stata la principessa Margaret, non ne ho dubbi. Ricordo che una volta ho incontrato la sorella della regina a Peckham, dove supportavamo entrambi un'iniziativa di beneficenza. Lei sapeva di noi. Io, come di consueto, indossavo il mio vestito pesante e pieno di bottoni, tanto che la principessa mi chiese: 'Ehi ragazzo, sei andato al bagno prima di conciarti così?' Io le risposi: 'Sotto 22 mila bottoni, mi va bene anche se me la faccio sotto'. Margaret si fece una bella risata, dimostrando un grande senso dell'umorismo".

Il riconoscimento più grande da parte dei piani alti del Regno Unito, però, è arrivato nel 2012, quando i Pearlies sono stati fatti sfilare nella cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Londra. Lorraine, che come George prese parte alla sfilata, ricorda quel momento con grandissimo trasporto: "Eravamo come un'arma segreta della parata. Poi è arrivato quel giorno e mentre sfilavamo gli spettatori si sono alzati in piedi e ci hanno applaudito, perché ormai siamo una tradizione per Londra. È stato un onore, al solo pensiero mi commuovo ancora. Ed è stato un giorno magnifico anche per i Pearlies più piccoli: ricorderanno quel momento per tutta la loro vita". Non di meno conto, a ogni modo, sono le numerose medaglie e onorificenze collezionate nel corso dei decenni: "Mia cucina Jackie, Queen di Hackney" continua poi Lorraine, "è stata insignita con la British Empire Medal nel 2017. La Royal Family ci tiene molto in considerazione e tutti i miei parenti hanno incontrato Elisabetta II" ha concluso.

Francesca Frosoni
Francesca Frosoni 

"Ce ne sarebbero parecchi di nomi grossi da citare" ci ha confermato George, con un candore da far invidia. "Ho conosciuto anche primi ministri, membri del gabinetto e del parlamento". Eppure l'eco delle gesta dei Pearlies ha varcato i confini londinesi ed è arrivata fino alle orecchie di star della musica mondiale. Kylie Minogue, ad esempio, non ha resistito al loro fascino e ha scelto di indossare un vestito identico al loro in occasione del concerto per l'anniversario dei 60 anni di regno della regina Elisabetta. A Lorraine, però, questa scelta ha fatto storcere un po' il naso.

"La cantante australiana ha vestito il nostro abito prima che registrassimo il marchio, ora non potrebbe più farlo" ci ha tenuto infatti a precisare. "La gente pensa che questo sia un privilegio, ma no, non lo è, perché tutto ciò che lei ha fatto è stato mettersi addosso un vestito. Il nostro impegno quotidiano come Pearlies, invece, è totalmente rivolto alla carità. Per cui, quando qualcuno si orna con i nostri bottoni ma non fa parte del nostro mondo, del mondo fatto di beneficenza, non so... ho sentimenti contrastanti. E non è stata solo Kylie Minogue a indossare una divisa molto simile alla nostra, ma anche Annie Lennox. Però siccome ora abbiamo il marchio commerciale, lei è dovuta venire da noi a chiederci il permesso". La regina del synth pop si è inchinata a quella dei bottoni.

"È bellissimo quando le persone apprezzano il tuo operato" ha poi specificato meglio Lorraine. "Ma la parte più importante di ciò che faccio non è incontrare queste persone, ma essere utile a quelli che qui vengono chiamati gli underdogs, i meno fortunati. Qualcuno che mi ferma per strada per stringermi la mano e per dirmi che apprezza il mio lavoro: questo è il massimo per me. Vale più di tutto". "Attualmente partecipo a circa 6 eventi a settimana" ci ha spiegato invece con candore, dall'alto delle sue 80 primavere, George. "È un lavoro a tempo pieno ormai. Facciamo donazioni a qualsiasi tipo di associazione ne abbia bisogno" ci ha fatto presente invece George. "E non solo qui nel Regno Unito. Ad esempio, abbiamo donato milioni in Giappone, così come in Africa. Mi figlia ha raccolto molti fondi per la lotta al cancro, poi se n'è andata a 48 anni proprio per questa malattia..." ci ha rivelato questo vecchietto indomito, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime e la voce gli si spezzava un po'. Ma è stato solo un attimo, poi si è ripreso subito e ha continuato a mostrarci quel paese delle meraviglie che è il suo museo.

Francesca Frosoni
Francesca Frosoni 

A guardarli da vicino, non stupisce affatto che gli abiti dei Pearlies siano così tanto invidiati: sono tutti rigorosamente cuciti a mano e con una solerzia che li rende quasi indistruttibili. "Sopra al mio vestito ci sono fissati ben 22 mila bottoni" ci ha detto il re di Peckham con nonchalance, e nonostante i 30 gradi che il sole di luglio stava regalando alla rigida Londra, questo affabile 80enne non ha esitato un attimo ad andare a cambiarsi per mostrarci la divisa in tutto il suo splendore. "Inutile dire che è molto pesante... cuciamo gli ornamenti passando il filo 8 volte a bottone, in modo da renderli resistenti. E facciamo tutto a mano: io, ad esempio, ho realizzato quello di tutti i membri della mia famiglia".

"Quando uno di noi muore, i suoi bottoni vanno in eredità ai figli" ci ha illustrato invece Lorraine. "Sul mio vestito ho quelli di mia madre (che è ancora viva ma ha deciso di ritirarsi) e quelli dei miei nonni. Le forme che realizziamo con questi bottoni hanno vari significati. Per esempio, il cuore esprime beneficenza, l'ancora è simbolo di speranza, mentre la croce di fede". Anche George ha voluto spiegarci cosa c'è dietro i suoi ornamenti: "Le line orizzontali rappresentano la vita, mentre i triangoli gli alti e bassi dell'esistenza stessa. I cerchi che completano la trama del vestito, invece, sono le varie persone che ci accompagnano durante il nostro percorso, che ci vogliono bene e ci fanno da paracadute quanto vivere ci butta al tappeto".

Francesca Frosoni
Francesca Frosoni 

Dai loro antenati costermongers, però, i Pearlies hanno ereditato anche un'altra preziosissima cifra specifica: il cockney, ovvero l'originalissimo dialetto che parlano ancora oggi. "I rigattieri avevano inventato questa lingua parallela per non farsi capire dalla polizia, erano sempre in combutta con gli agenti" ci fa presente George, facendosi una risata. "Oggi ovviamente non c'è più alcun mistero: il cockney, qui a Londra, lo conoscono tutti". E fu così, per una pura associazione fonica, che per dire daughter ("figlia") gli avi dei Pearlies iniziarono a dire fisherman's water (che con daugther fa rima), oppure citavano la talentuosa Doris Day per intendere gay.

Ma il loro motto è in un inglese cristallino: "One never knows" (traducibile grosso modo con "Non si sa mai"). "Significa che tutto quello che oggi possiedi (che siano soldi, gli affetti o quant'altro) puoi perderlo domani" ci ha detto Lorraine. "E se sfortunatamente dovesse succedere, non c'è da disperare: basta chiamare i Pearly ad aiutarti".

Si ringraziano Francesca ed Eli per il loro indispensabile supporto alla realizzazione di questo articolo.

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