Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Esteri

Erdogan prepara la purga "economica" e blinda il suo cerchio magico

Umit Bektas / Reuters
Umit Bektas / Reuters 

I curdi non bastano più. E neanche i perfidi traditori "gulenisti". Ora il Sultano ha bisogno di additare i nuovi nemici a un Paese che teme un tracollo economico: i terroristi economici. Al soldo del "Califfo di Washington": l'odiato presidente Usa Donald Trump. Intanto la lira turca rifiata e il presidente Recep Tayyip Erdogan raddoppia i dazi agli Usa

Una nuova "Purga" s'avanza in Turchia. La crisi della lira turca è anche colpa dei social. È quanto sostiene la Turchia che ha avviato un'indagine su 346 account. Lo ha reso noto il ministero dell'Interno, annunciando l'azione legale contro centinaia di account di social media che "hanno pubblicato contenuti che hanno provocato la crisi del cambio" lira-dollaro. Indagine che porterà, anticipano fonti filogovernative, a una nuova ondata di arresti.

La Turchia alza la posta dello scontro con gli Stati Uniti: Erdogan ha firmato il decreto che raddoppia i dazi sull'import Usa, mentre un tribunale ha respinto l'appello per la liberazione del pastore evangelico americano Andrew Brunson, al centro del braccio di ferro tra Ankara e Washington. Il rialzo dei dazi su 22 tipi di prodotti ammonta a 533 milioni di dollari. Tra i beni sottoposti alla misura automobili (del 120%), alcol (140%) e tabacco (60%), e anche riso e creme solari. Immediata la reazione in borsa, con la lira che in apertura guadagnava fino al 3%. Poi è arrivato un annuncio radioso per Ankara: l'emiro del Qatar Tamim bin Hamad al-Thani, nel corso della visita nella capitale turca ha annunciato 15 miliardi di dollari di investimenti diretti in Turchia. La lira ha continuato la corsa, e ha chiuso le contrattazioni con un rialzo di quasi il 5%, in una giornata segnata nuovamente da picchi oltre il 6%. Il risposta turca sui dazi "è per contrastare l'attacco deliberato dell'amministrazione Usa alla nostra economia", ha commentato il vicepresidente turco Fuat Oktay.

Dopo il fallito golpe del luglio 2016 sono stati allontanati i personaggi più esperti e riconosciuti dai mercati per essere sostituiti da persone del "cerchio magico" ma palesemente incompetenti o stravaganti. Erdogan ha smesso di ascoltare i saggi consiglieri come Mehmet Simsek, il vice primo ministro per l'Economia ed ex banchiere Merrill Lynch che era stato messo in un angolo a favore di altri consiglieri che aveva suggerito di sfidare i mercati. Una mossa da kamikaze della finanza. Gli investitori stranieri dal novembre 2002, anno della vittoria dell'Akp, il partito di Erdogan, hanno investito massicciamente in Turchia. Il reddito pro capite è passato in dieci anni da 2.500 dollari a 10 mila facendo uscire milioni di turchi da uno stato di povertà e rafforzando la crescita di una classe media. Il governo AKP ricordava recentemente che l'economia è tornata a salire nel 2017 del 7,4%, a ritmi cinesi.

Tutto vero ma la crescita è stata accompagnata dal deficit delle partite correnti che si è ampliato al 6% del Pil e dall'inflazione che ha raggiunto il 15%. La Turchia ha il 33% di aziende private indebitate in valuta estera e questo la rende vulnerabile a rialzi dei tassi americani o del dollaro. Il Governatore Murat Cetinkaya ha già alzato di 500 punti base i tassi quest'anno per sostenere la lira. Ma ha sorpreso gli investitori il mese scorso decidendo che non erano necessari ulteriori aumenti.

Dopo aver blindato con la promozione dei suoi fedelissimi gli altri gangli vitali del potere, il Sultano si è cimentato anche con l'economia, nominando suo genero, Berat Albayrak ministro dell'Economia (nel precedente Governo aveva un incarico molto meno rilevante: il dicastero all'Energia e Risorse naturali). Per l'uomo che molti considerano come l'erede naturale del presidente è un salto importante: sarà ora lui a controllare il capitolo economia, in un momento in cui l'inflazione e la svalutazione della lira sono tra i capitoli più critici per Ankara. La scelta, insieme all'esclusione di nomi di peso come quello di Mehmet Simsek, non ha tranquillizzato i mercati. Pochi minuti dopo l'annuncio della sua nomina, la lira ha perso sia sull'euro che sul dollaro. Quarant'anni, con un attestato alla Business school di New York, Berat è una figura molto controversa. Compare in alcuni files di Wikileaks che lo accusano di contrabbando di petrolio con lo Stato islamico di al Baghdadi ma Washington non ha mai confermato le accuse. Muharrem Ince, candidato presidente del principale partito di opposizione, il socialdemocratico Chp, aveva lanciato durante la recente campagna elettorale un ragionevole appello al capo dello Stato uscente, sempre Erdogan, affinché smettesse di interferire nella politica monetaria della Banca centrale, impedendole di alzare i tassi di interesse, perché "l'economia si sta per schiantare contro un muro". Ma molti dell'Akp, tra cui il genero del presidente, Berat Albayrak, avevano detto che la lira assediata è stata vittima di una "operazione esterna" volta a far cadere il governo turco. Insomma un complotto dei mercati che sta portando la Turchia a rivedere quella tremenda crisi bancaria del 2001 le cui rovinose conseguenze mandarono a casa i partiti laici e portarono il filo-islamico Erdogan al potere.

Ora la storia potrebbe ripetersi. Il genero super ministro dell'Economia non è nuovo alle teorie complottiste-finanziarie. Nel suo precedente incarico governativo, da ministro dell'Energia, Barat aveva spinto le banche statali a concedere prestiti per dighe e compagnie elettriche che ora faticano a ripagare. Insomma, spendere e spandere, non importa se poi c'è chi ti chiede il conto. Con gli interessi. Ma Barat sa di avere le spalle ben coperte. Erdogan, che ha promesso di assumere un controllo più diretto sulla politica monetaria dopo la sua rielezione a giugno, è un feroce avversario di tassi elevati. Ma con le sanzioni americane, ammettono, off the records all'HuffPost fonti governative turche, è probabile che la lira cali ulteriormente, rafforzando la necessità di aumenti dei tassi. Diversi grandi gruppi industriali hanno già chiesto di ristrutturare il debito per decine di miliardi di dollari, spingendo le banche a elaborare un nuovo regolamento per richieste simili in futuro. Le banche turche hanno circa 100 miliardi di dollari di debito estero in scadenza nei prossimi 12 mesi.

Il "cerchio magico" familistico del Sultano non si ferma a Berat. La Turkuwaz Medyaa, ad esempio, che possiede quattro canali tv, quattro quotidiani (tra cui Sabah), 11 riviste e due portali di notizie, è diretta da Serat Albayrak, fratello di Berat . Ma il cerchio non è solo parentale. Una delle figure di primo piano è ll generale Hulusi Akar: era capo di Stato maggiore al momento del putsch e non firmò lo "stato d'assedio" finendo prigioniero dei ribelli. È appena diventato ministro della Difesa. Mustafa Varank, uno degli amici presidenziali di più lunga data, è ministro dell'Industria. Fuat Oktay, già suo vice premier, è ora vice presidente. In un intreccio tra affari di famiglia, amicizia e politica, Erdogan ha nominato ministro della Salute la proprietaria di una catena di cliniche e ministro del Turismo l'azionista principale di una serie di hotel e resort. Altro personaggio illustre del cerchio magico è l'ex giornalista Yigit Bulut. E' lui ad aver coniato l'espressione "cricca dei tassi d'interesse", usata a più riprese dal Sultano nei giorni della bufera monetaria.

E c'è chi a Istanbul, mentre filtrano le prime critiche al cerchio magico del Sultano, riporta alla memoria la "Tangentopoli del Bosforo", scoppiata sei mesi dopo, nel dicembre del 2013. Due pubblici ministeri di Istanbul Zekeriya Oz e Celal Kara, fuggiti all'estero per non essere arrestati, avevano aperto un'inchiesta per corruzione che portò in carcere i figli dei tre ministri più vicini a Erdogan, ma, soprattutto convocarono in Tribunale anche suo figlio Bilal, proprietario di un'impresa navale, la Bmz, accusata dai russi di commerciare il petrolio dello Stato islamico. In una telefonata registrata dalla magistratura, si sentiva Bilala parlare di mazzette. Il Sultano andò su tutte le furie quando la registrazione iniziò a girare sui social network e così chiese e ottenne, anche se per poco, la censura di Twitter e Facebook in tutto il Paese. In Turchia la maxi-inchiesta finì in una bolla di sapone, archiviata dai magistrati dopo che quelli che l'avevano aperta –erano stati estromessi dall'indagine. Per l'opposizione, un colossale insabbiamento. Infatti, cacciati dalla magistratura, alcuni dei pm che avevano aperto il caso sono persino fuggiti dalla Turchia, dove rischiano il carcere con l'accusa di aver cospirato per rovesciare il governo. Fuggiti prima in Armenia e poi in Germania, hanno fatto perdere le loro tracce mentre in patria diversi loro colleghi finivano licenziati o in manette.

Del resto, quella instaurata in Turchia è una "democratura": democrazia nella forma, dittatura nella sostanza. L'8 luglio, il giorno prima di giurare da Presidente eletto, Erdogan ha firmato - sulla base dei poteri assegnati dalla nuova Costituzione al Capo dello Stato - l'ordine di licenziamento di 18.632 persone accusate di legami con gruppi terroristici. Una mossa che fa salire a oltre 130 mila il numero di persone colpite da provvedimenti dopo il fallito golpe del luglio 2016. Hanno perso il proprio posto di lavoro, dall'8 luglio, 8.998 agenti di polizia, 3.077 soldati dell'esercito, 1.949 membri dell'aeronautica e 1.126 membri della marina. Inoltre, sono stati licenziati 1.052 dipendenti civili del ministero della Giustizia, 649 dipendenti della gendarmeria, 192 dipendenti della Guardia Costiera e 199 accademici Il decreto prevede anche la chiusura di tre giornali, un canale televisivo e dodici associazioni. E ora, sull'ondata tsunamica della crisi della Lira, siamo alla vigilia della Grande Purga 2.0.

Ma per fronteggiare il "tradimento di Trump" e dell'Occidente, il Sultano guarda a Oriente e cerca nuovi sponsor-investitori: Russia, Qatar e, soprattutto la Cina. Erdogan e il presidente cinese Xi Jinping hanno deciso di aumentare la collaborazione bilaterale fra i due Paesi. A breve la Turchia aprirà il primo centro culturale in Cina ed Erdogan ha più volte lodato l'atteggiamento di equidistanza dimostrato da Pechino nei confronti delle grandi crisi internazionali. L'avvicinamento alla Cina serve alla Turchia soprattutto per essere tra i beneficiari del megaprogetto della Nuova Via della Seta. la Nuova Via della Seta: un progetto molto ambizioso attraverso cui Pechino mira a creare solidi rapporti industriali con i Paesi che saranno coinvolti. Punta a creare una rete di infrastrutture di trasporto, di comunicazione e di scambio che coinvolge al momento 64 paesi oltre alla Cina – circa 4,5 miliardi di persone –, su un'area che si estende fra Asia, Europa e Africa. L'obiettivo di Pechino è completare il tracciato principale entro il 2049 e per raggiungerlo la Cina si avvarrà del supporto dell'Asian infrastructure investment bank (Aiib), una banca multilaterale cui hanno aderito finora un centinaio di Paesi fra cui anche l'Italia, che figura fra i soci fondatori. Nei primi otto mesi dell'anno la Cina ha investito lungo la nuova Via della seta 8,55 miliardi di dollari, pari al 12,4% del totale degli investimenti, in crescita del 4,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La Turchia vuol essere parte attiva di questo megaprogetto. Il "patto cinese" è soprattutto questo.

I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione