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Cultura

Sesso con partner affetti da Hiv? Si trova su Grindr. Viaggio nel rischio che eccita i giovani "più del viagra"

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"Ciò che eccita è il rischio, il brivido di fare sesso non protetto con un ragazzo sieropositivo. Funziona meglio del viagra come eccitante". A raccontarlo ad Huffpost è Marco (nome di fantasia), un ragazzo che, attraverso l'app di incontri Grindr, cerca ragazzi sieropositivi con cui fare sesso non protetto.

L'icona dell'app è quella di una mascherina arancione. È gratuita e può essere facilmente scaricata. Si chiama Grindr, che significa letteralmente "macinino". Gli utenti sono quasi esclusivamente maschi omosessuali che, attraverso la connessione internet e un sistema basato sulla geo-localizzazione satellitare possono rintracciarne altri, scegliendo quello che più gli interessa. La scelta si basa principalmente sulla foto del profilo che vedono. Qui non esistono nomi, cognomi, a volte compare solo l'età. Le foto variano per tipologia e soggetto; alcuni sono senza volto, altri si fotografano nudi, si vedono spesso torsi muscolosi senza faccia. In base alla foto avviene la prima scelta del possibile partner con cui prima ci si scambia dei convenevoli (ma non sempre, alcuni mandano al primo messaggio le foto dei genitali e pretendono che si ricambi) poi se va bene si combina un incontro. L'intento sotteso all'incontro è, quasi sempre, un rapporto sessuale. Ma la scelta del possibile partner può avvenire anche in base a delle categorie molto particolari. Nel gergo gay si chiamano "tribes", tribù, e indicano la "tipologia" di gay a cui ci si sente di appartenere.

Il significato di alcune, come 'sportivo' o 'discreto' sono facilmente comprensibili. 'Twink' sta per un ragazzino efebico e con pochi muscoli; 'Bear' indica un uomo villoso e in genere di grossa stazza. C'è voluto un po' per capire cosa significasse 'Lontra' ma da quello che è noto si tratta di ragazzi che si radono i peli del corpo fino ad una certa lunghezza ma senza farli del tutto sparire. Sulla categoria 'Rozzo' non credo ci sia da aggiungere altro. Tra le categorie ce n'è una: 'Positivo'. Serve a rendere noto che le persone che vi si inseriscono sono sieropositive, ovvero portatori di HIV. Alcuni utilizzatori di Grindr dichiarano fin da subito di essere sieropositivi.

Altri cercano appositamente partner contagiati con cui intrattenersi, pur conoscendo la loro situazione. Scarico anche io l'app e mi inserisco nella categoria, fingendomi sieropositivo. Tutto è molto intuitivo, basta barrare con una spunta la "tribù" in cui si ritiene di far parte. Vengo contattato quasi subito da un utente, senza immagine di profilo che ci chiede un incontro. Decido di accontentarlo per capire cosa spinga dei ragazzi sani a cercare come partner sessuali persone con l'HIV. È appunto il ragazzo che abbiamo chiamato Marco. Benché sia un mondo piuttosto chiuso è sorprendentemente facile essere contattati da possibili partner interessati, che però non amano parlare in chat. Gli rispondo che mi sento un po' insicuro e che prima del rapporto vorrei fare conoscenza. Decidiamo quindi di incontrarci in un luogo pubblico, in uno dei tanti parchi di Roma. Forse si aspettava un altro tipo di incontro ma sembra che chiacchierare gli faccia piacere e risponde volentieri alle mie domande.

IL RACCONTO- Marco dice di avere 20 anni. "Uso quest'app da quando avevo 14 anni- racconta- all'inizio andavo con tutti. Anche nelle case di sconosciuti, non m'importava. Alcuni erano molto più grandi di me". Gli chiedo il motivo di tanta avventatezza, soprattutto in così giovane età. "Per me il rischio è eccitante. Chissà chi è quello con cui sto per andare? Chissà cosa gli piace? Una volta un ragazzo voleva fare sesso violento con me. All'inizio non volevo ma poi ci sono stato. Mi ha fatto male, ma in quel momento ho sentito una scossa di adrenalina. Tipo quando giochi alla roulette russa, hai presente?".

Una roulette russa. Così è come alcuni ragazzi concepiscono il sesso. "Non sono mica l'unico- aggiunge Marco con una certa fermezza, forse sentendosi giudicato - ne conosco altri che lo fanno da anni". 'Hai spesso rapporti con ragazzi sieropositivi?' gli chiedo. "Sì, capita. Loro accettano sempre, non so il perché. Forse per sentirsi meno soli. Facciamo quasi sempre sesso non protetto. Io ancora l'HIV non me lo sono preso ma chissà...penso che succederà presto (ride)". La sua voce rimane pacata, non si scompone. 'Ma come riesci ad avere rapporti sessuali con persone con HIV pur essendone consapevole?' "E' come andare con uno sano, solo che qui si prova il brivido del rischio. Quello è il bello. Dopo un po' che fai sesso con tanti ragazzi frequentemente non ti eccita più nulla. Io ci sono andato diverse volte con ragazzi affetti da Hiv e tutte le volte ho provato lo stesso brivido che senti quando fai sesso per la prima volta, moltiplicato per cento". Finora non mi ha mai fatto nessuna domanda sul mio stato di salute.

Gli domando se conosce altre persone che hanno fatto le sue stesse esperienze. "Alcuni ma non siamo tantissimi. La maggior parte ha troppa paura di ammalarsi o di morire addirittura. Ma per me è diverso. Non me ne importa molto. Si corrono dei rischi ma è il prezzo da pagare se ti vuoi sentire vivo. Come quelli che corrono in moto o si buttano con il bunjee jumping. L'adrenalina è come una droga, quando finisce ne vuoi sempre di più".

A questo punto Marco mi dice che, se non vogliamo fare niente, mi deve lasciare perché deve prendere il bus per tornare a casa; abita in periferia e per incontrarci ha dovuto prendere tre autobus. L'ultima domanda che gli pongo riguarda il suo futuro, cosa pensa di fare della sua vita. "Non so-risponde con aria interrogativa- Mi piacerebbe studiare lingue all'università" dice sorridendo mentre mi congeda dirigendosi verso la fermata dell'autobus. Sembra contento di aver parlato con me.

LE RAGIONI DIETRO AL RISCHIO- La noia gioca un importante in queste dinamiche. A spiegarlo è la professoressa Chiara Simonelli, psicoterapeuta e sessuologa nonché ordinaria di psicologia dello sviluppo sessuale presso l'università La Sapienza di Roma, che ad HuffPost segnala quali possano essere le ragioni che sottendono a questi comportamenti così rischiosi. "Gli adolescenti di oggi vivono una sorta di anestesia. Sentono poco o nulla degli stimoli esterni, compresi quelli sessuali e cercano costantemente l'ebrezza del pericolo". Alla noia si aggiungerebbe, secondo la professoressa, un 'senso di invincibilità' che rende il rischio accettabile e, anzi, lo trasforma in un obbiettivo da superare. "Negli adolescenti, soprattutto se di sesso maschile, il rischio, così come la ricerca del proibito, sono elementi di grande attrattiva. I ragazzi vivono una sorta di delirio di onnipotenza'. È lo stesso principio di quando si gioca alla roulette russa- qui la professoressa utilizza le stesse parole usate da Marco, più ci si avvicina al rischio di morire e più la pratica diventa attraente". Non è tuttavia solo la noia a generare questi comportamenti. La professoressa Adele Fabrizi, psicosessuologa dell'Istituto di Sessuologia Clinica di Roma, ritiene che alla base di queste condotte si trovi anche una difficoltà del soggetto a confrontarsi con la realtà e a percepire chiaramente i propri contorni psichici. "È molto probabile che a generare un comportamento simile sia un forte disagio psicologico. Una bassa autostima, problemi di identità, finanche a sintomi depressivi o autolesionisti. Un intrinseco desiderio di morte".

Sarebbe proprio questa, secondo le due esperte, l'altra forza più sinistra che orienterebbe le scelte di chi ricerca spasmodicamente il rischio. "In questo caso- spiegano le due psicologhe- come negli altri casi di sesso estremo o di giochi che implichino rischi mortali, esiste nella mente di chi agisce un cupio dissolvi, un intrinseco e inconfessato desiderio di morire. La pulsione di morte (thanatos) si accompagna necessariamente a quella di vita (eros), nella vita sessuale come nei comportamenti quotidiani. Esiste in questi soggetti una forte pulsione di morte inconscia che li porta a giocare con la propria vita". Benché oggi la mortalità legata all'AIDS sia molto diminuita rispetto al passato, il rischio di contrarre la malattia e di trasmetterla resta comunque pericolosissimo per la vita propria e l'altrui. "Chi cerca consapevolmente sesso con un partner infetto- come spiegano le due esperte- lo fa poiché non ha un chiaro immaginario circa le conseguenze che quel gesto può portare. Questo tipo di comportamento è presente anche negli eterosessuali". Tuttavia, come ammonisce la professoressa Simonelli, un simile insieme di comportamenti pericolosi non va ascritto solo al mondo degli adolescenti, "Questo tipo di iniziative non ha nessun legame con la condizione sociale dell'individuo né dall'ambiente in cui è inserito. Sono iniziative trasversali che possono essere prese anche da adulti. Certo gli adolescenti, specie se maschi, sono più a rischio perché in loro il senso di onnipotenza è più potente e sono maggiormente soggetti alla noia, complice anche un mondo in cui gli stimoli sono continui e ripetitivi a causa della pornografia".

UNA PREVENZIONE È POSSIBILE- Ma come è possibile prevedere simili comportamenti? Esistono delle avvisaglie che possano essere usate come campanello d'allarme? Secondo la Simonelli" Ci sono degli indicatori per capire se il giovane sta vivendo dei malesseri. Ad esempio se un ragazzo torna spesso a casa ubriaco o inizia ad usare droghe. Qualunque comportamento che possa in qualche modo essere ricondotto all'auto-distruzione". Anche le scuole potrebbero svolgere una funzione importante in tal senso. Su questo punto le due esperte sono concordi. "Manca oggi una vera educazione sessuale-affettiva, degli insegnamenti che possano aiutare a riconoscere le emozioni e ad incanalarle positivamente. Sarebbe fondamentale in tal senso educare gli adolescenti all'empatia verso il prossimo. Purtroppo l'eccesso di stimoli sessuali finisce col desensibilizzarli, li porta alla noia e a ricercare qualcosa di sempre più in là per eccitarsi. Diventano schiavi di questo meccanismo". "Purtroppo- ricorda la professoressa Fabrizi- i ragazzi sono bombardati da un'enorme quantità di messaggi sessuali che non sanno decifrare correttamente. A causa di questo fanno un uso della sessualità distorto e poco rispettoso di sé e degli altri. Una corretta educazione sessuale potrebbe rappresentare un ottimo strumento in tal senso".

Abbiamo provato a contattare l'azienda che produce l'app per domandare quale fosse la loro posizione su questo tema, ma non ci è stata data risposta. Tuttavia nel contratto che l'utente di Grindr deve accettare quando scarica l'app si specifica che l'azienda si esonera da qualsiasi responsabilità per il comportamento dei suoi utenti.

Dietro la maschera arancione questo mondo di incontri rimane celato. Nascosto, come chi gioca a questa "roulette russa", oscurati dai profili senza volto e dalle conversazioni senza nome. La noia è il risultato dei troppi stimoli, della "rivoluzione sessuale tradita" per usare una definizione della professoressa Simonelli, dell'immaginario sessuale cristallizzato nei video pornografici da pochi minuti. E allora si ricerca il rischio di infettarsi, di infettare, per provare di nuovo quelle sensazioni che ormai si sono atrofizzate. Conclude la Simonelli: "Oggi abbiamo accesso a molti più partner sessuali rispetto ad anni fa. Il sesso è stato così facilitato da questi strumenti tecnologici che ormai non si bada più all'affettività o alla gradualità di un rapporto. Si pensa solo ad accumulare rapporti sessuali. Ma questo uccide in una persona la sensibilità. A quel punto si diventa vittime della noia e si cercano nuovi scenari per eccitare il desiderio".

Riceviamo e pubblichiamo la lettera dell'Arcigay in merito a quanto scritto sopra:

"Cara redazione, caro Francesco Teodori, care professoressa e dottoressa, questa lettera nasce dalla necessità di salvaguardare le persone, la conoscenza e il progresso civile affinché non si perseveri più nella diffusione mediatica di notizie fallaci e di parole che ormai non ha più senso utilizzare. Che questo articolo avesse una sorta di alone viola l'avevamo intuito dal "sieropositive, ovvero portatori di HIV" ma che questo articolo fosse un vero e proprio revival degli anni '80 no, non ce l'aspettavamo. Con tutta franchezza, di quei tempi ci piace riascoltare la musica ma non quelle parole che hanno seminato terrore e sofferenza, semplicemente perché non più attuali e rappresentative della realtà. Perché sì le parole sono importanti, soprattutto se si tratta di parole in un articolo destinato al vasto pubblico, soprattutto se si tratta di parole che descrivono in maniera errata la condizione di sieropositività oggi e stigmatizzano ancora di più le persone (sì, persone) sieropositive. "Malati", "soli", "non gli importa di poter contagiare qualcuno", "il rischio di contrarre la malattia e di trasmetterla resta comunque pericolosissimo per la vita propria e l'altrui", "su tutto il sesso contaminato dal rischio mortale, aleggia una terribile sensazione di morte". E' proprio un alone viola questo! Ci tocca ricordarvi qualcosa. In primis che attualmente le persone sieropositive in terapia con carica virale non rilevabile hanno una aspettativa di vita simile alle persone sieronegative e che attualmente morire di AIDS è raro. E' necessario ricordarvi che ad oggi le persone sieropositive lavorano nelle scuole, nei tribunali, nei ristoranti, negli ospedali, negli uffici, hanno una vita normale, normali relazioni amicali, sentimentali e sessuali, ma ci tocca soprattutto ricordarvi che ad oggi le persone sieropositive in carica virale non rilevabile non trasmettono il virus. Sì, perché la scienza lo dice ormai da un po', spazzando quell'alone viola a cui però questa società e articoli come questi, parole come queste, sono ancora legati. Anzi vi diremo di più, che è molto più alta la probabilità di trasmissione del virus avendo rapporti sessuali con una persona di cui non si conosce lo stato sierologico che con una persona sieropositiva in terapia. Ecco perché, a questo punto, potrete capire realmente cosa differenzia una persona sieronegativa da una persona sieropositiva: lo stigma. Stigma che questo articolo non solo mette in luce ma lo innalza e lo potenzia. Dopo questa minima alfabetizzazione (che ci si aspetterebbe da un giornalismo di qualità) però passiamo alla metodologia. Questo articolo appare un'inchiesta, come dimostra il suo indagare ciò che sta dietro il fatto, eppure non si è posto minimamente il dubbio che dietro al fatto ci sia la sola iniziativa del singolo che lei ha trasformato in "diffuso". Dove è riportata la percentuale di persone che attua questo tipo di comportamento? Quanto tempo è stato sull'app di incontri per essere certo che tale fatto sia un fenomeno diffuso e non sia relegato a un singolo individuo da lei intervistato? Dove sono le sue ricerche? Intervistare due psicologhe sul death drive freudiano non fa di questo articolo un'inchiesta, tanto per capirci. Proprio a quest'ultime però vogliamo rivolgerci. "Manca oggi una vera educazione sessuale-affettiva, degli insegnamenti che possano aiutare a riconoscere le emozioni e ad incanalarle positivamente". E' vero, infatti la nostra associazione promuove da sempre un'educazione alla sessualità e all'affettività, che può essere condotta solo però con la consapevolezza. Ci chiedevamo dunque come mai, due professioniste della sessualità e dell'affettività non abbiano contrastato minimamente le parole stigmatizzanti del giornalista o come non abbiano tenuto in conto la pericolosità delle parole utilizzate nei confronti dell'affettività e sessualità delle persone sieropositive. Siamo amareggiati per la necessità di dover scrivere una lettera così, quando fra poche settimane, ci sarà il WAD, Word AIDS Day. In questa, e in ogni attività svolta durante l'anno, la nostra associazione (e molte altre) promuove messaggi di consapevolezza, di informazione ma soprattutto di sensibilità, trasmettendo alle persone la necessità di "combattere lo stigma e non le persone". Alla luce di quanto detto sopra, ci auguriamo che venga fatto un articolo, strutturato in maniera più seria e non confondendo un singolo con la massa. Un articolo che miri a combattere lo stigma perché ad oggi di HIV non si muore, di stigma sì!".

Una precisazione in risposta alla lettera dell'Arcigay:

È nostro desiderio specificare che l'articolo non ha nessuna intenzione di stigmatizzare le persone affette da Hiv. Sappiamo bene che ad oggi di HIV non si muore e che grazie ad adeguate terapie e assunzione di farmaci retrovirali, le persone con questa sindrome possono condurre un'esistenza come tutte le altre. Inoltre, siamo consapevoli che il reale significato della categoria "Positivo" su Grindr, è quello di segnalare agli altri utenti il fatto che si è affetti da HIV, aggiungendo valore all'applicazione e sottolineandone la volontà di evidenziare l'importanza della prevenzione.

Tuttavia il contenuto del nostro articolo non solo è reale e verificato, ma mette in evidenza un uso scorretto e pericoloso che alcuni fanno della categoria in questione: avere rapporti sessuali con partner sieropositivi per il solo gusto di provare il brivido del rischio. Il solo ed unico intento dell'articolo è appunto quello di riportare questa realtà, ottenuta dal vivo racconto di una persona, rappresentativa di un trend. Questi fenomeni infatti sono una realtà in continuo aumento, come dimostrato dai recenti fatti di cronaca. Insomma, nessun intento stigmatizzante, ma anzi la segnalazione di un uso improprio ed estremamente pericoloso della App in questione. Speriamo che questa nota possa portare chiarezza.

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