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Politica

Manovra, Luigi Di Maio e Matteo Salvini non vogliono lo Tsipras moment. Conte con il cerino in mano, la trattativa è quasi impossibile

NurPhoto via Getty Images
NurPhoto via Getty Images 

No, caro governo italiano, non basta affatto. Il lavoro di smontaggio e riscrittura della manovra così non va. A due giorni dal faccia a faccia tra il premier Giuseppe Conte e il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, è Bruxelles a rompere quel clima di distensione nato al G-20 di Buenos Aires di fine novembre. Due dichiarazioni fotocopia, da parte degli uomini che guidano la trattativa - il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici e il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis - puntellano un cambio di passo netto, con i tratti decisi dell'interventismo nel cuore del problema, cioè i numeri che non tornano. Un atteggiamento maturato - spiegano a Huffpost fonti vicine alla trattativa - dal fatto che nelle ultime ore i funzionari europei hanno guardato dietro i ponteggi del cantiere italiano. E lì hanno trovato solo prove di maquillage. Ma Luigi Di Maio e Matteo Salvini tengono il punto: non finirà come la Grecia di Alexis Tsipras, scesa a patti con l'Europa sacrificando la sua prima anima ribelle.

Bruxelles ha lanciato un segnale chiaro, politico innanzitutto. "Siamo estremamente attenti e solidali nei confronti degli italiani quando sono in difficoltà, ma le regole vanno rispettate. Quello che ci attendiamo è che, se ci sono nuove proposte, tengano conto di queste cose", ha detto Moscovici. Dombrovskis ha tirato le conclusioni del ragionamento: "In assenza di una correzione sostanziale siamo pronti a fare i passi ulteriori" della procedura. Il tono e il senso delle parole utilizzate rendono evidente come la Commissione europea abbia lanciato una sorta di ultimo avvertimento al governo gialloverde.

A Roma la situazione è precipitata nel caos. La nuova legge di bilancio è avvolta da polvere densa perché i passi dei capocantieri, da Conte a Di Maio, Salvini e Giovanni Tria, sono frenetici e in direzione spesso contraria sui due punti chiave, cioè il tetto del deficit e lo sgonfiamento di quota 100 e del reddito di cittadinanza. Anche la riunione, senza i due vicepremier, convocata in serata a palazzo Chigi per mettere a punto le misure collaterali ma non per questo meno spinose - a iniziare dall'ecotassa e dalle pensioni d'oro - alla fine non si è tenuta. Problemi di orari riferiscono fonti di palazzo Chigi per motivare il rinvio. Ma è un evidente segnale che la situazione è in alto mare.

C'è lo scollamento interno, innanzitutto, perché i due vicepremier hanno portato a termine la cessione di parte della loro sovranità a Conte, lasciandolo con il cerino in mano: prima nella dimensione dell'atto politico, con tanto di comunicato stampa, ora anche nei numeri. Hanno cioè ribadito al presidente del Consiglio che al massimo si possono recuperare 3,5 miliardi dallo sgonfiamento delle due misure cardine della manovra. Briciole perché in questo modo il deficit scenderebbe appena dal 2,4% al 2,2%, troppo poco per convincere Bruxelles che si è cambiata rotta sulla natura della spesa. E così il premier si ritrova in mano una carta che non può esibire sul tavolo con Juncker perché è una carta incandescente agli occhi del suo interlocutore. E non è neanche stabile perché Tria, dal canto suo, vorrebbe che pesasse molto di meno del 2,2% e anche di quel 2% che Conte ritiene invece una soglia valida. Per il ministro dell'Economia bisogna andare necessariamente sotto il 2%, anche l'1,9% basterebbe pur di dare sostanza agli auspici-moniti di Dombrovskis che chiede una "correzione sostanziale".

E poi c'è la quadra che non torna sui numeri e soprattutto su chi, tra Salvini e Di Maio, deve rinunciare a qualcosa per mettere in cascina quantomeno un risparmio di 3,5 miliardi. La Lega è disposta a restringere quota 100 di 1,7 miliardi, portando la spesa per il 2019 da 6,7 a 5 miliardi. I 5 Stelle, dal canto loro, sono ancora alle prese con un restringimento difficile perché togliere 1,5 miliardi dai 9 previsti implica necessariamente uscire dallo schema dei 780 euro e della platea di 5 milioni di beneficiari. Uno sconfinamento rischioso che si colloca in un altro momento di tensione tra i due partiti di governo, quello su chi deve diventare il punto di riferimento delle imprese.

Nel risiko della manovra l'unica frontiera che tiene uniti Salvini e Di Maio è il no a una riscrittura della manovra imposta da Bruxelles. Non a caso il Carroccio ha rivendicato e ribadito che quota 100 si farà per tre anni: ci sarà sì un risparmio nel 2019, ma non si rinuncerà alla misura nel 2020 e nel 2021, come invece auspicherebbe la Commissione europea, secondo quanto rivelato da Repubblica. Un impegno che implica un aumento dei costi nei due anni successivi al prossimo, dando vita a un altro fronte con l'Europa, che vuole invece il controllo della spesa e dei conti.

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