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Politica

Ore di grande tensione fra Di Maio e Salvini, che incontrano separatamente gli imprenditori. Poi la (parziale) schiarita

Pacific Press via Getty Images
Pacific Press via Getty Images 

"Da Salvini le parole, qui da me si fanno i fatti". Luigi Di Maio poi la mette giù sorridendo, poi la smorza ulteriormente, la ricalibra, ricuce, cerca capri espiatori. Ma l'irritazione per il tavolo convocato dal collega vicepremier domenica al Viminale è fortissima. Salvini ha riunito le imprese, si muove quasi da premier ombra ("Da premier, da premier – ironizza uno dei suoi – l'ombra è Conte"), ha attivato un canale di dialogo tanto proficuo da far dire al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia che con lui la schiarita è quasi totale, ora bisogna vedere che farà il capo politico M5s.

Chi l'ha incontrato domenica racconta che aveva la faccia scura. Perché quella del segretario del Carroccio è stata interpretata come una vera e propria invasione di campo. "Sapeva benissimo che avevo convocato un tavolo per martedì, che modo di fare è questo?". Ore di grandissima tensione. Anche perché sul facciamo vedere che siamo operativi il capo M5s aveva basato parte della strategia per uscire dal cul de sac in cui l'ha cacciato il padre. E invece il decreto Semplificazioni, annunciato nuovamente in Consiglio dei ministri prima per venerdì, poi per lunedì, si è di nuovo inabissato: non è pronto, ampie parti vanno riscritte. Uno smacco politico.

Di Maio al ministero lancia la frecciata sulle chiacchiere e distintivo del collega. L'entourage di Salvini fa filtrare messaggi concilianti. Si dice che è un incontro nato dal voler chiarire le voci sulla sfiducia degli imprenditori del nord nei confronti di via Bellerio che si sono rincorse nelle ultime settimane, un momento di confronto e rasserenamento nel rispetto dei ruoli di tutti.

La diplomazia leghista si mette in moto, i due si chiariscono per telefono. Così quando Di Maio va a Quarta Repubblica su Rete4 la versione è cambiata. E in assenza di manine ecco rispolverare un altro grande classico: "C'è una parte di poteri forti che vuole che noi andiamo a casa", spiega. In difficoltà, per uscire dall'angolo è un tripudio di evergreen. Eccolo tirare fuori i giornali cattivi: "Ogni giorno vedo titoli, sottotitoli che provano a farci litigare, non credo che ci riusciranno".

Il punto è che ogni giorno i due hanno di che irritarsi e discutere. Come sulla manovra, arrivata a un punto morto considerato che, al netto di investimenti, dismissioni e flessibilità sul dissesto, il governo gialloverde non sembra voglia concedere più di 3 o 4 miliardi in meno all'Europa. Poco, troppo poco rispetto a quanto servirebbe.

Con il fiume carsico che scava la montagna su cui sono seduti, le frizioni si spostano sul fronte dei corpi intermedi. Sull'ecotassa il ministro dello Sviluppo domani incontrerà i big dell'automotive (nel pomeriggio, dopo essersi confrontato la mattina con le Pmi), oggi Giuseppe Conte ha visto i leader dei sindacati confederali, Salvini si è recato da Assolombarda. Un netto cambio di passo. Dopo che per sei mesi un certo tipo di interlocuzioni è stato ignorato, è partita la rincorsa a superarsi a destra. Con i 5 stelle che hanno sempre sottilmente delegittimato sia i sindacati sia le grandi organizzazioni di rappresentanza industriale, e la Lega che si è mossa sulla scorta del decisionismo del proprio leader.

"Il fatto è che comunque c'è una difficoltà – spiega una fonte di governo – perché noi abbiamo promesso il 2,4%, abbiamo spinto sull'acceleratore e ora dobbiamo un po' frenare". La logica è chiara: non si possono avere troppi nemici schierati tutti insieme in una volta nel campo di gioco avverso. Che basta attivare un'interlocuzione per conquistare alleati è però una chimera. Basta sentire chi è stato all'incontro del presidente del Consiglio con Cgil, Cisl e Uil: "Come è andato? Bene, dopo sei mesi il premier ci ha detto in sostanza piacere, sono Giuseppe Conte". Nessun dettaglio sulla riscrittura della manovra al Senato, nessuna specifica sulle istanze poste dai sindacati. E un impegno: quello di vedersi con costanza a partire da gennaio. A legge di stabilità approvata, senza possibilità di mettervi più mano.

Una nuova fase, che non è detto che dia frutto, ma nata da un momento di debolezza dell'esecutivo e che però, se gestita con oculatezza, potrebbe conferirgli nuova forza. Sempre che non sia l'ennesimo campo in cui si gioca la sfibrante partita tra gialli e verdi su chi governa un po' più di consenso rispetto all'altro.

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