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Politica

Primarie Pd, Renzi non si candida ma non va in pensione. E ritira fuori la storia del lanciafiamme

Pacific Press via Getty Images
Pacific Press via Getty Images 

Matteo Renzi non si ricandiderà al vertice del Partito democratico. È lo stesso ex premier a scriverlo in un post su Facebook: "Candidati al congresso, mi hanno scritto in tanti. Grazie del pensiero, ma non lo farò. Ho vinto due volte le primarie con il 70% e dal giorno dopo mi hanno fatto la guerra dall'interno. Mi sentirei come Charlie Brown con Lucy che gli rimette il pallone davanti per toglierlo all'ultimo istante. Non mi ricandido per la terza volta per rifare lo stesso. Chiunque vincerà il congresso avrà il mio rispetto e non il logorio interno che ho ricevuto io". Non si ricandida ma ritira fuori la storia del lanciafiamme, cosa che fa capire quanto l'ex segretario sia ancora avvelenato. "Il mio errore più grande è stato non ribaltare il partito. Non entrarci con il lanciafiamme come ci eravamo detti. In alcuni casi il PD ha funzionato, in altre zone è rimasto un partito di correnti. Ritengo che le correnti siano il male del partito".

Ovviamente, l'ex premier non tira i remi in barca, ma preannuncia quello che farà nei prossimi mesi: "A fine gennaio uscirà un mio libro, per Marsilio, e girerò tutto il Paese, specie i piccoli borghi di provincia, per parlare e per ascoltare. Come ai vecchi tempi. Negli stessi giorni partirà un progetto di WebTV al quale sto lavorando da mesi per rilanciare i nostri contenuti e non lasciare la rete in mano alle Fake News. Continuerò a incoraggiare i comitati civici e a riunire il meraviglioso popolo della Leopolda, simbolo di chi ci crede e si impegna. Io continuo a combattere: non corro per il congresso ma non vado in pensione, resto in campo, sorridente e tenace".

La chiusura della telenovela arriva al termine di una giornata in cui si inseguono tra i suoi le voci di una diretta Facebook fissata per le 18, preannunciata proprio per chiudere qualsiasi spiraglio alla sua (ri)discesa in campo, dopo il passo indietro di Marco Minniti. Poi, poco prima dell'ora prefissata, sulla sua pagina appare solo il trailer del suo documentario su Firenze, che parte sabato prossimo. "Diretta annullata", appare sui telefonini di chi chiede spiegazioni. Ed è di nuovo caos, fino al post definitivo. Sarà il summit dei renziani convocato per domani alle 13 nella Sala Berlinguer, al gruppo Pd di Montecitorio, a decidere cosa fare in vista del congresso.

Senza un'indicazione dall'alto e senza un'alternativa in grado di fornire garanzie sul futuro della linea politica e, perché no, anche sui destini personali, il corpaccione residuo dei renziani si guarda attorno spaesato, più propenso a rimandare una decisione su chi sostenere al congresso o perfino a tenersi al di fuori della contesa. In attesa di un'opzione che, stando così le cose, più che essere scongiurata sembra rafforzarsi: la nascita di un nuovo partito.

Renzi non scrive nulla in proposito, rigettando la patata bollente nelle mani del prossimo segretario. "Con che lista ci presenteremo alle Europee e alle Politiche? – sono le parole affidate ancora a Facebook – Qualcuno vorrebbe liste superando il simbolo del Pd, altri chiedono un fronte repubblicano, altri di aprire a Leu, qualcuno a Più Europa, alla società civile, al movimento dei sindaci, ai Gilet Gialli (che in Italia peraltro sono al Governo). A me sinceramente sembra giusto che questa decisione sia presa da chi rappresenterà la nuova leadership del Pd. Altrimenti che facciamo a fare le primarie?".

Tra i renziani che non vogliono rimanere in tribuna a godersi lo spettacolo, sono almeno tre le posizioni che si contano nel chiacchiericcio parlamentare e che si confronteranno alla riunione di domani.

Una buona parte di renziani, se ancora si possono chiamare così, è pronta a convergere sulla candidatura di Martina, contando sui buoni auspici di Matteo Richetti e, soprattutto, di Graziano Delrio, il cui telefono in questi giorni è rimasto sempre parecchio caldo. Appare però poco credibile l'ipotesi circolata in queste ore di affidare a Maria Elena Boschi la presidenza dell'assemblea nazionale, coerentemente con l'idea dichiarata da Martina ieri a In mezz'ora di individuare per quel ruolo una figura femminile. L'immagine dell'ex ministra e sottosegretaria appare ancora troppo ingombrante per un ruolo di garanzia come questo. E non è nemmeno detto che lei voglia spendersi in prima persona in questa fase.

C'è poi chi non vuole arrendersi all'idea di affidare ad altri la propria rappresentanza. I capifila di questa posizione sono Stefano Ceccanti e Andrea Romano, che spiega: "Un confronto politico autentico è indispensabile al Pd. Se un'area ampia decide di non impegnarsi attivamente nel congresso, perché non vede rappresentate le proprie posizioni, la discussione rischia di essere monca. Per questo abbiamo bisogno di schierare un nostro candidato".

Ma il tempo scorre: le candidature, con tanto di firme, devono essere sul tavolo della commissione nazionale per il congresso entro mercoledì a mezzogiorno. Non potendo avere la pretesa di contendere a Zingaretti e Martina la segreteria, l'obiettivo minimo è quello di non apparire come la ridotta del renzismo, peraltro apocrifa. L'identikit che circola è quindi quello di un candidato giovane, meglio se donna, che sia in grado di convogliare su di sé i voti degli iscritti di fede renziana e abbia anche l'appeal necessario ad attrarre il popolo delle primarie.

Infine, un po' a sorpresa, c'è una terza frangia – molto minoritaria, va detto – che potrebbe perfino sostenere Zingaretti. È l'ipotesi sulla quale, sin dall'inizio, spingeva Luca Lotti, ma che non ha mai convinto Renzi. Se Lotti non compirà in prima persona un passo che possa allontanarlo dal suo amico Matteo, non si può escludere che altri a lui vicini possano invece perseguire questa strada.

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