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Politica

Caos nel Pd Sicilia, primarie a rischio. E lo scontro travolge anche il Nazareno

Ansa
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Il Partito democratico sta anticipando in Sicilia ciò che potrebbe avvenire tra qualche mese, nel caso in cui Matteo Renzi decidesse di fondare un nuovo partito: un clima da guerra civile, con tanto di carte bollate, rapporti personali in frantumi, primarie che rischiano di saltare.

Il tutto parte da uno scontro tra l'area che sostiene Teresa Piccione (AreaDem e zingarettiani) e quella dell'altro candidato, Davide Faraone, renziano di ferro sul quale converge anche l'ex segretario regionale, l'orfiniano Fausto Raciti. Oggetto iniziale del contendere sono i congressi provinciali riservati ai soli iscritti che, secondo la prima, avrebbero dovuto tenersi prima delle primarie in programma per domenica prossima (con alcune federazioni che erano già andate avanti per conto proprio), mentre il secondo – forte del ruolo di favorito nella competizione regionale – puntava a convocarli dopo i gazebo. La direzione regionale del partito dava ragione alla prima, la commissione per il congresso al secondo. La questione è passata quindi alla commissione nazionale presieduta da Gianni Del Moro che, la notte scorsa, ha dato ragione a Faraone, confermando la competenza della commissione congressuale regionale nella convocazione delle assise. Per reazione, Piccione stamattina ha ritirato la propria candidatura, mandando per aria le primarie previste tra appena quattro giorni.

È così che il caso da Palermo investe in pieno Roma e la competizione nazionale, con Nicola Zingaretti che attacca a testa bassa: "In Sicilia stiamo vedendo in modello di partito che non voglio, con pesanti ingerenze di un altro partito e troppe decisioni prese a maggioranza. Ci sono molte federazioni che non hanno ancora aperto il tesseramento, che non hanno fatto votare gli iscritti. Così si distrugge, non si costruisce". Ancora più esplicita è Paola De Micheli, coordinatrice nazionale della sua mozione, che chiama in causa direttamente il competitor congressuale: "Martina, ormai consegnato mani e piedi a Faraone, non ha ritenuto di intervenire, svendendo di fatto per un pugno di voti il partito siciliano a Cardinale e Miccichè. L'ex segretario, versione renziano 2.0, dopo essere stato il vicesegretario di Renzi, ora è costretto a recitare un ruolo subalterno a Faraone".

Sullo sfondo, ma nemmeno tanto, c'è ovviamente il sospetto rivolto al candidato renziano di fare da apripista alla scissione interna. "Quelle di domenica, in Sicilia, saranno le primarie fondative del partito di Renzi e non le primarie del Partito democratico", attacca Piccione. Accusa surrogata dal fatto che proprio Faraone è stato negli anni scorsi autore di un forte scouting per portare nel Pd personalità ed elettori provenienti dal centrodestra e oggi non nega la prospettiva di un dialogo trasversale per spodestare il governatore filo-salviniano Nello Musumeci e formare una nuova maggioranza nell'isola.

"Davide non ha alcuna intenzione di lasciare il Pd – spiegano però ad Huffington Post ambienti a lui vicini – altrimenti non si sarebbe candidato a guidarlo qui in Sicilia. Abbiamo bisogno di un profondo rinnovamento del partito e dei suoi dirigenti e c'è chi si oppone a questo, il resto sono tutte chiacchiere".

Cosa succederà adesso? Nel caso in cui ci sia un solo candidato, il regolamento prevede che le primarie non si tengano. La candidatura di Piccione, però, era già formalmente in campo. Se lo scontro non si ricomporrà, dovrà essere la commissione regionale per il congresso, presieduta da Raciti, a sciogliere il dilemma.

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