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Politica

"La cena? L'ha prenotata Juncker". Conte scherza, ma il 2% agita i vice premier

Di Maio, Salvini e Conte alla cena-vertice dopo l'incontro con Juncker

Carciofo alla romana 6 euro, tonnarelli cacio e pepe 10 euro, coda alla vaccinara 13 euro. La spending review comincia a cena ed è un menù da 2,04% quello del ristorante scelto per il vertice decisivo sulla manovra. Un vertice che sarebbe dovuto rimanere segretissimo. Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini escono alla chetichella da dietro Palazzo Chigi intorno alle 22.30. Gli staff, che avevano confermato il vertice e centellinato le notizie fino a quell'ora, spariscono dai radar: "Andate a casa", trasmissioni interrotte. Il premier e i suoi due vice si infilano all'Arancio d'oro, "succursale" del famoso ristorante romano Settimio all'arancio, che applica prezzi più popolari. Vengono raggiunti da Giancarlo Giorgetti e Riccardo Fraccaro.

Inizia la cena del commissariamento di quella sovranità che a Conte era stata conferita dai suoi due stessi vice non più di due settimane fa. E invece è dovuto tornare a Roma, a riportare al vertice politico del suo governo l'esito del colloquio con Jean-Claude Juncker, tenutosi a Bruxelles. Una toccata e fuga, visto che giovedì il presidente del Consiglio all'ora di pranzo riprenderà un volo in direzione della capitale belga, dove lo attende il Consiglio europeo.

Così se il menù della cena è agile e poco sofisticato, quello a tema fra i commensali è assai più laborioso e complicato. Perché sia il capo politico del Movimento 5 stelle sia il segretario della Lega hanno manifestato più di qualche mal di pancia sull'esito dell'incontro con il presidente della Commissione europea. A conti fatti quei 7,5 miliardi in meno (questa la cifra della riduzione del deficit dal 2,48% al 2,04%) sono più di quelli messi in conto quando l'aereo di Conte è decollato, e il nervosismo per l'impatto che avrà sulle misure cardine della legge di bilancio - reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni - è molto.

Appena prima di entrare, intercettato da una telecamera di Agorà, l'avvocato del popolo italiano prova a sdrammatizzare: "Dove andiamo a cena? Ha prenotato Juncker. Il clima? Dipende da come mangeremo". L'ironia e l'affabilità del premier sono innegabili. Ma quando dopo due ore di confronto blindato dalle scorte i commensali escono, l'umore è radicalmente cambiato. Fraccaro e Giorgetti infilano velocemente le rispettive macchine. Di Maio, impeccabile nel suo loden, e Salvini, giubbotto e cappellino della Protezione civile, escono a ruota. "Parla il presidente, parla il presidente", si limita a dire il leader del Carroccio. I volti di entrambi sono tirati. Percorrono dieci metri e anche loro spariscono in auto, inghiottiti dalla notte romana.

Conte macina a piedi le poche centinaia di metri che lo separano da Palazzo Chigi. Il volto è cordiale, ma la bocca, contrariamente a quanto annunciato, rimane cucita. "Confidiamo di portare a casa la manovra entro Natale", si limita a dire dando una vaghissima indicazione sui tempi di approvazione della legge di bilancio.

La tensione trasuda dalla mimica di tutti i commensali, il sorriso si apre sulla bocca del premier quando una cronista gli pesta inavvertitamente il piede per la seconda volta: "Lei sta cercando in tutti i modi di farmi cadere".

Cala il freddo sulla Capitale, si avvicina l'alba di una due giorni in cui gran parte delle tensioni tra gli alleati di governo, e tra loro e l'Europa, arriveranno a un momento catartico, davanti al bivio tra la procedura d'infrazione e il disco verde alla manovra.

Conterà quanto Conte avrà convinto gli eurocommissari e quanto i vicepremier si lasceranno convincere dalle argomentazioni di Conte e Tria. Già, Tria. Tornato da Bruxelles con il premier, è ancora una volta assente all'ennesimo incontro in cui si decide il destino di una legge che dovrebbe essere la madre di tutte le sue leggi. Annulla gli impegni del giovedì mattina, "sarà già al ministero a limare i dettagli tecnici", dice qualcuno. Sarà. Ma nel ristorante in cui si consuma forse uno degli incontri decisivi sul destino del bilancio e dunque di tutto il governo lui non c'è.

La porta di fronte alla trattoria è quella di uno degli storici hotel in cui alloggiava Matteo Renzi nei suoi tempi d'oro, quelli di Palazzo Chigi. Sembra passata una vita da quando è stato soppiantato dalla marea di Lega e 5 stelle, che oggi si affannano affinché il loro secolo non sia ancora più breve.

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