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Esteri

Donald Trump inventa la "formula-Gerusalemme": una sovranità per due città

ASSOCIATED PRESS
ASSOCIATED PRESS 

Ha ottenuto il via libera delle monarchie del Golfo, con i loro miliardi fondamentali per la ricostruzione di Gaza e per il mantenimento in vita degli apparati palestinesi, sia in versione Hamas che in quella dell'Autorità nazionale palestinese del presidente Mahmoud Abbas. Ha garantito all'amico Netanyahu il sostegno incondizionato da parte americana ad ogni operazione che Israele intenda continuare a portare avanti per contrastare la presenza dei Pasdaran iraniani in Siria. In cambio, però, Donald Trump ha preteso un sì del premier israeliano a non ostacolare quei "sacrifici" necessari per dare realizzazione al "Piano del secolo": quello che nelle ambizioni dei suoi ideatori alla Casa Bianca dovrà portare alla pace in Palestina. Un piano che nel corso del tempo ha subito correzioni e postulato varianti su questioni strategiche. Una di queste, a quanto risulta ad HuffPost attraverso una verifica incrociata di fonti israeliane e palestinesi, riguarda la possibilità di costituire una Confederazione giordano-palestinese, con un sovrano riconosciuto, Abdullah II, e la Cisgiordania come un cantone con ampissima autonomia amministrativa e legislativa.

Ma il punto di svolta nell'ultima bozza dell'"Accordo del secolo" riguarda un tema che Netanyahu e i suoi alleati di destra avevano ormai ritenuto definitivamente archiviato: il tema-Gerusalemme. Così non è. Nell'ultima formulazione del piano-Trump, che l'amministrazione Usa intenderebbe presentare prima delle elezioni anticipate in Israele del 9 Aprile, la quadratura del cerchio sarebbe la seguente: "due Gerusalemme, unica sovranità". La traduzione è complicata da spiegare anche per coloro che, a Gerusalemme come a Ramallah, ne hanno sentito parlare o hanno avuto la possibilità di prenderne visione: la sovranità sulla città resterebbe a Israele, ma la parte della Città vecchia, con annessi i luoghi sacri per i musulmani (la Spianata delle Moschee, al Ḥaram al Sharif in arabo, con la Moschea di al-Aqsa e la Cupola della roccia, è considerata dai musulmani il terzo luogo sacro al mondo, dopo Mecca e Medina), farebbe parte di una amministrazione ad hoc palestinese legata all'Autorità nazionale. Insomma, controllo, gestione, ma non sovranità. O meglio, una sovranità "differita" di qualche chilometro: una decina per la precisione, quelli che separano Gerusalemme dalla città di Abu Dis, la quale sarebbe poi collegata con la Spianata delle Mosche da un avveniristico. sistema viario sotterraneo. Dell'ultima versione del "Piano del secolo" hanno parlato anche il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton nelle loro recenti missioni nella regione. La nuova formula "una sovranità, due città", escogitata dal team mediorientale di Trump, porta con sé un elemento di valenza strategica che ora viene messo nero su bianco: l'amministrazione Usa fa sua, rimodulandola, la soluzione a due Stati.

Il 26 settembre, durante un incontro con il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, a New York, a margine dell'Assemblea Generale della Nazioni Unite, Trump aveva espresso esplicitamente, per la prima volta, il suo sostegno alla soluzione a due Stati, che prevede la creazione di uno Stato Palestinese indipendente. In quell'occasione, l'inquilino della Casa Bianca aveva dichiarato di ritenere che, a suo avviso, questa è la soluzione che "funzionerebbe meglio". Tuttavia, poco dopo, Netanyahu ha replicato ai commenti del presidente americano, ribadendo che la sicurezza, innanzitutto nei territori a ovest della Giordania, che includono la Cisgiordania occupata, rimane la priorità di Israele in qualsiasi accordo di pace con i Palestinesi. "Sono disposto ad accettare che i Palestinesi abbiano l'autorità di governarsi, ma non avranno l'autorità di farci del male", ha affermato in quell'occasione il leader israeliano.

Nei nuovi confini d'Israele entrerebbero a far parte tre grandi blocchi d'insediamenti oggi parte dei territori palestinesi occupati, ma dello Stato palestinese entrerebbero a far parte territori oggi limitrofi a Gaza dei quali l'Egitto del presidente al-Sisi cederebbe la sovranità (in cambio di una fetta importante della torta miliardaria della ricostruzione della Striscia di Gaza. I soldi la fanno da padrone nell'"Accordo del secolo". Gran parte del quale si concentrerà sul rafforzamento dell'economia palestinese e dei suoi legami con Israele. Quanto allo Stato palestinese per una fase transitoria sarebbe smilitarizzato con garanzie internazionali sui confini. Diverse fonti al di fuori dell'amministrazione che hanno parlato con Haaretz nelle ultime settimane hanno confermato che la Casa Bianca sta attualmente "limando" un documento alquanto ponderoso, "molto più lungo di alcuni piani precedenti di questo tipo", secondo una fonte diplomatica coinvolta nella stesura. discussioni. Il piano dell'amministrazione Trump comincia a prendere forma a metà del 2017, quando Jason Greeenblatt, l'inviato speciale di The Donald per il processo di pace , fa il suo primo viaggio nella regione.

Le fonti che sono state in contatto con Greenblatt durante questo periodo hanno detto ad Haaretz che il principale obiettivo del suo primo viaggio era lo stretto allineamento degli interessi tra Israele e il mondo arabo, che a suo avviso rappresentava una rara opportunità per una svolta nei negoziati. E' questo un punto nodale del "piano Trump": coinvolgere quei Paesi arabi che, nel quadro regionale, hanno interessi strategici convergenti con Israele. Una fonte governativa israeliana li elenca ad HuffPost: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania. Paesi del fronte sunnita che, con Israele, condividono la necessità di arginare la penetrazione iraniana in Medio Oriente, contrastando l'affermarsi della mezzaluna rossa sciita sulla direttrice Baghdad, Damasco, Beirut. E Gaza. A questo è particolarmente interessato l'erede al trono saudita, il giovane e ambizioso principe Mohammad bin Salman Al-Sa'ud, fautore dell'avvicinamento, in funzione anti-iraniana, di Riyadh a Tel Aviv: per il futuro sovrano, e attuale Primo vice primo ministro e ministro della Difesa saudita, togliere ai suoi nemici regionali la "carta palestinese" sarebbe un risultato rilevante, da far pesare nella definizione dei nuovi equilibri regionali. Un approccio condiviso dalle petromonarchie del Golfo- dagli Emirati Arabi Uniti al Qatar – che hanno una potente arma di convinzione di massa: i miliardi da investire sulla ricostruzione di Gaza e il sostegno all'economia palestinese ormai sull'orlo del collasso. "È ovvio che la regione è cambiata rispetto a pochi anni fa", dice ad Haaretz un funzionario dell'amministrazione Usa . "Il mondo arabo e Israele hanno molti interessi e obiettivi comuni, così come minacce comuni nelle attività destabilizzanti dell'Iran nella regione".

Fonti esterne all'amministrazione coinvolte nelle discussioni sul piano hanno affermato al quotidiano di Tel Aviv che il gruppo mediorientale di Trump ritiene che il piano in fase di completamento potrebbe essere il primo a ricevere una risposta positiva sia da Israele che dai principali Paesi arabi, indipendentemente dalla posizione palestinese. Il cuore di questo piano, rivelano le fonti, sarà in Cisgiordania e a Gaza. "Vorremmo che il piano parlasse da solo – confida una fonte dell'amministrazione Usa al quotidiano di Tel Aviv - la gente capirà che dopo l'accordo staranno tutti meglio che senza: crediamo che le persone coinvolte siano interessate al loro futuro e al futuro dei loro figli. Questo piano darà molte più opportunità a tutti in futuro rispetto alla situazione che hanno ora L'amministrazione Usa sta cercando di promuovere progetti economici nel Sinai settentrionale che potrebbero migliorare la situazione, sempre più degradata, nella Striscia. Nell'immediato, l'obiettivo principale di Washington è vedere l'Autorità nazionale palestinese ripristinare il proprio controllo sull'enclave costiera, da undici anni in mano ad Hamas. A questo fine, nella visione statunitense, saranno decisivi i finanziamenti delle petromonarchie del Golfo per la ricostruzione di Gaza. L'amministrazione Usa ha provato lo scorso anno a promuovere una serie di iniziative minori che potrebbero creare uno slancio positivo per il processo di pace e mostrare segni di progresso sul terreno. Alcune di queste iniziative sono riuscite - ad esempio, un accordo idrico congiunto israelo-palestinese firmato l'estate scorsa - ma altri sono falliti a causa di ostacoli politici a Gerusalemme e Ramallah. Ad esempio, il ministero della Difesa israeliano aveva proposto un piano l'anno scorso, fortemente sostenuto dai vertici militari, per ingrandire la città palestinese di Qalqilya, situata nella West Bank, a ridosso di Gerusalemme.

Il piano di Qalqilya avrebbe permesso alla municipalità palestinese di costruire nuove case per migliaia di residenti. Il piano è stato respinto dal governo israeliano a causa delle pressioni esercitate dal partito di destra Habayit Hayehudi e da alcuni membri della Knesset del Likud. Ma la Casa Bianca quel progetto non lo ha accantonato ma, al contrario, lo ha inserito nel "Piano del secolo". "Vorremmo che il piano parlasse da solo – confida una fonte dell'amministrazione Usa sempre ad Haaretz - la gente capirà che dopo l'accordo staranno tutti meglio che senza: crediamo che le persone coinvolte siano interessate al loro futuro e al futuro dei loro figli. Questo piano darà molte più opportunità a tutti in futuro rispetto alla situazione che hanno ora". Il'" Piano del secolo" permetterebbe alla popolazione di Gaza di tornare a respirare. Il che significa anche agire su Israele per porre fine ad un embargo pluridecennale. Ed è questo uno dei punti del "piano Trump" che potrebbe essere indigesto per la destra oltranzista israeliana. D'altro canto, The Donald ad oggi ha molto dato all'amico Netanyahu, a cominciare dallo spostamento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, e poco riavuto indietro. Ora sembra giunto il momento dell'incasso. Per entrare nella Storia.

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