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Politica

Il popolo M5s grazia Salvini. Di Maio polemizza con i sindaci stellati, la Taverna: “Chi non è d’accordo se ne vada”

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"Quando i sindaci si fanno strumentalizzare mi cadono le braccia". Luigi Di Maio è davanti ai suoi parlamentari. Li guarda in faccia. Ha aspettato che da Milano gli comunicassero l'esito del voto su Rousseau. Il 59% di 52mila iscritti ha deciso, dopo rallentamenti, crash e quesiti involuti, di salvare Matteo Salvini e salvare il governo. Solo dopo ha varcato le porte della Camera dove gli oltre trecento onorevoli con le 5 stelle appuntate al bavero lo aspettavano.

E si è tolto qualche sassolino dalla scarpa. L'irritazione per la prima pagina del Fatto quotidiano non si è stemperata nelle lunghissime ore della giornata. Difficilmente poteva farlo. Il Movimento è scosso da spasmi, la base si è spaccata sul blog, una fetta consistente di parlamentari critica con virulenza la base. "Il Movimento è spaccato", ripetono come all'unicono Paola Nugnes e Elena Fattori. Anche il presidente della commissione Bilancio del Senato Daniele Pesco condivideva le ragioni del sì al processo. Alberto Airola, che si è speso pubblicamente, esce da Montecitorio livido e si infila senza fiatare nell'umida notte romana.

Una frangia la cui ampiezza è tutta da verificare, che ha trovato "casa" nel quotidiano diretto da Marco Travaglio. Che ha sbattuto in prima pagina gli interventi per il no all'immunità dei tre sindaci pentastellati più importanti: Virginia Raggi, Filippo Nogarin e Chiara Appendino. Con quest'ultima che poi è corsa a rettificare, e che in serata è corsa a diramare la sua felicità per la prova di democrazia e il rispetto della volontà del tribunale di Rousseau.

Parlamentari M5S: "Voto online è sovrano, tutti lo rispetteremo"

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Il caos della votazione online che nelle prime ore del mattino è andato a singhiozzo, la palpabile irritazione dell'alleato, la contriarietà di Giuseppe Conte a come è stata gestita la vicenda prima filtrata e poi smentita quasi con violenza. E un'assemblea che inizia sul tema del rinnovamento, della nuova "struttura verticale" (copyright Di Maio) da innervare sottopelle a un Movimento (almeno teoricamente) liquido. Al punto che dopo una quarantina di minuti da dentro trapela nervosismo: "Questo (sic.) la tira per le lunghe. Non ci vuole far parlare della Diciotti".

E invece alla fine il tema arriva, disvelando tutta la criticità del momento. I capannelli pro-sì vengono guardati con un misto di prudenza e diffidenza. E vengono investiti da Paola Taverna: "Chi non è d'accordo se ne vada". C'è dentro tutto. Più volte si è scritto - anche su queste colonne - che il Movimento 5 stelle ha cambiato pelle. E ancora. E ancora. Mai però come questa volta il passo è lungo. Mettere nel cassetto l'intransigenza giustizialista del "tutti uguali davanti alla legge" e sostituirla con i sempre disprezzati sofismi della legge e delle garanzie costituzionali. E trasformare il Movimento in partito. Tutto in una volta, tutto in una sera.

La strada è azzardata, forse troppo, le soluzioni non convincono groupie e analisti, ma non si può dire che a Di Maio il coraggio non manchi. Andando dai paladini della partecipazione dal basso, dell'uno vale uno, a offrire un modello verticista quale panacea salvifica. Svolta che incassa apprezzamenti enormemente più ampi di quel che si sarebbe potuto immaginare appena qualche giorno fa. Escono in batteria i sottosegretari Mattia Fantinati e Manlio Di Stefano, applaudono. Quest'ultimo si spinge addirittura a proporre l'esperienza nelle amministrazioni locali come pre requisito per la candidatura in Parlamento, e tanti saluti alla regola del doppio mandato. L'assemblea applaude. Ha visto i sondaggi. Quello di Tecnè che manda in onda Quarta Repubblica su Rete4 ad assemblea in corso inchioda i 5 stelle al 23,2%, dieci punti sotto alla Lega. E il paradosso è che si configura come una boccata d'aria, visto che qualche ora prima Swg aveva mostrato sul Tg di La7 una tabella con scolpito il 22%. Da qualche parte bisognerà pur ripartire.

Lo start è fissato per martedì, al massimo mercoledì, quando la Giunta dovrà scrivere nero su bianco il primo voto sulla Diciotti. Un voto che potrebbe scuotere una polveriera, pronta a esplodere. Il capo politico prova a gettare acqua sulle polveri: "Dobbiamo andare casa per casa a spiegare reddito e quota 100". Cita, non è dato sapere quanto consapevolmente, l'ultimo drammatico discorso di Enrico Berlinguer. Qualche settimana dopo il Pci toccò il suo picco elettorale. Era il voto per l'Europarlamento. Auspici, presagi, che sfumano via dopo mezzanotte, quando la riunione si scioglie. Con la consapevolezza che su questa sfida Di Maio si gioca tutto: spaccarsi o ripartire.

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