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Soldi e favori per 400mila euro. L'M5s De Vito è "l'amico potente" che in Campidoglio facilita le pratiche in cambio di denaro

NurPhoto via Getty Images
NurPhoto via Getty Images 

Tutto inizia il 2 marzo del 2017 in un bar nel cuore del quartiere Prati di Roma e si arriva a oggi con le ordinanze di custodia cautelare. È davanti a un caffè che il presidente dell'assemblea capitolina Marcello De Vito, ora in carcere, presenta, al costruttore Luca Parnasi, l'avvocato amico Camillo Mezzacapo, per il quale in passato l'esponente M5s ha collaborato. Da questo momento inizia un giro di favori e soldi secondo quello che viene definito dallo stesso Parnasi "il solito schema che conosciamo" e che porta, secondo la procura, a un "grave fenomeno corruttivo che si è realizzato ai vertici di Roma Capitale" a guida pentastellata.

L'esponente M5s, ora espulso, avrebbe avuto il compito di far approvare dal consiglio comunale provvedimenti amministrativi favorevoli alla realizzazione di importanti progetti. Per il gip il presidente del consiglio comunale "era a disposizione", dentro il Campidoglio, di Parnasi per quanto riguarda lo Stadio della Roma, dei fratelli Pierluigi e Claudio Toti (immobiliaristi e titolari della omonima holding, al momento indagati e sentiti nel pomeriggio dal gip) e dell'imprenditore (immobiliarista e indagato anche lui) Giuseppe Statuto, rispettivamente per i progetti di riqualificazione dell'area ex Fiera di Roma, dell'area ex Mercati generali a Ostiense e dell'ex stazione Trastevere. In cambio di modifiche ai piani di zona, i costruttori si erano impegnati ad affidare "remunerose consulenze" fittizie all'avvocato Mezzacapo, il cui incasso veniva quindi diviso con De Vito. De Vito e Mezzacapo avrebbero incassato 230mila euro, mentre 160mila gli sarebbero stati promessi.

Un 'modus operandi' messo in atto "grazie alla 'congiunzione astrale' e alla spregiudicatezza di chi ritiene, solo perché dotato di astratte credenziali sociali e/o professionali, di potersi muovere liberamente e impunemente in ambiti criminali", si legge nell'ordinanza del gip Maria Paola Tomaselli, che ha firmato il provvedimento di custodia cautelare nei confronti di De Vito e Mezzacapo. Nelle 260 pagine si parla di "patto scellerato" tra i due. Un vero e proprio sodalizio, secondo cui i soldi finivano in quella che viene definita "cassaforte" di De Vito e Mezzacapo: la Mdl srl che custodiva i proventi dei presunti illeciti.

In una intercettazione l'esponente grillino (ora ex) propone di spartirsi il denaro mentre Mezzacapo suggerisce di aspettare: "Va beh, ma distribuiamoceli questi", propone De Vito. E l'avvocato risponde: "Ma adesso non mi far toccare niente lasciali lì a fine man...quando finisci il mandato". In sostanza – scrive il gip - De Vito voleva incassare immediatamente la parte del denaro che gli spetta.

L'ordinanza va nel dettaglio dei flussi di denaro. Dai gruppi imprenditoriali coinvolti sarebbero stati erogati a Marcello De Vito e l'amico Mezzacapo oltre 230mila euro, mentre 160mila sono stati promessi. In particolare, secondo chi indaga, De Vito e Mezzacapo avrebbero ricevuto in cambio di aiuti e favori, 95 mila euro in tre tranche dall'imprenditore Luca Parnasi, 110 mila euro da Pierluigi e Claudio Toti, presidente e vicepresidente della omonima holding, e 24 mila euro dall'immobiliarista Giuseppe Statuto, che ne prometteva altri 160 mila. Per questa ragione per il gip emerge dunque "una totale mercificazione della funzione pubblica che avviene in maniera disinvolta e spregiudicata". Su un conto di De Vito vengono accrediti dall'avvocato Mezzacapo 8550 euro il 6 settembre 2017 e 4275 il 12 marzo 2018.

In questo contesto De Vito – si legge – "quando può agisce direttamente, altre volte si rivolge agli assessori competenti o ai consiglieri comunali o ancora si avvale di tutta la sua rete di relazioni in modo da potere comunque sollecitare l'intervento di altri pubblici ufficiali che operano all'interno dell'amministrazione capitolina secondo la finalità desiderata dal privato". Nelle intercettazioni lo stesso De Vito cita l'allora capogruppo Paolo Ferrara e il vicesindaco Daniele Frongia, ci sarebbero state pressioni anche sull'assessore Montuori. Tutti loro non sono in alcun modo coinvolti nelle indagini. Appaiono nelle carte perché il presidente dell'assemblea dice di volerli contattare per convincere la maggioranza ad approvare provvedimenti tra il cui superamento della delibera Berdini che limitava la realizzazione di edifici nella zona dell'ex Fiera di Roma.

L'inchiesta si fonda su questo, delibere per costruire in cambio di tangenti da parte dei costruttori. Con il civilista Mezzacapo che "ricopre come sempre il ruolo di schermo e al tempo stesso portavoce del Pubblico Ufficiale al quale fa spesso sia pure non esplicitamente richiamo nel corso del colloquio riferendosi a lui con l'appellativo dell''amico potente'". L'amico potente è De Vito, ora in carcere a Rebibbia.

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