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Cronaca

Cesare Battisti: "Non volevamo uccidere Torreggiani e Sabbadin ma ferirli. In latitanza ho usato solo 2 volte documenti falsi"

Cesare Battisti
Cesare Battisti 

Dopo aver ammesso la responsabilità in quattro omicidi, Cesare Battisti continua a raccontare dettagli del suo passato da terrorista. L'ex esponente dei Pac lo ha fatto nel corso dell'interrogatorio con il pm di Milano, Andrea Nobili. Nei piani di Battisti, due delle persone che ha ucciso, il gioielliere Pier Luigi Torreggiani e il commerciante Lino Sabbadin, avrebbero dovuto essere solo ferite nell'agguato: "Sicuramente non cambia nulla per quanto riguarda la mia posizione, ma tengo per la verità storica che mi riguarda a dire che che nei confronti di Torregiani e di Sabbadin la maggior parte del gruppo dei Pac, me compreso, aveva deciso di procedere, per ragioni politiche, al solo ferimento", ha affermato Battisti nel carcere di Oristano.

"Tuttavia accadde che il Torregiani reagì sparando e pertanto il volume di fuoco nei suoi confronti fu tale da determinarne la morte", racconta l'ex terrorista al pm. Al delitto avvenuto a Mestre, invece, Battisti ammette di aver avuto un ruolo "di copertura", e che la persona incaricata dell'azione "lo uccise". Precisazioni rispetto al fatto che in questi anni "sono stato 'massacrato' dalla stampa e dall'opinione pubblica quale principale responsabile della morte" dei due commercianti.

A verbale l'ex terrorista confessa che "il mio primo omicidio è stato quello del maresciallo Santoro", capo delle guardie carcerarie di Udine; "la prima azione contro persone fisiche cui ho partecipato fu commessa a Milano nei confronti di Fava", il medico 'colpevole' di non concedere troppo certificati medici agli operai dell'Alfa Romeo.

Alcuni riferimenti anche alla sua latitanza, durata 37 anni. Solo per due volte ha usato documenti falsi: "Quando sono andato via dall'Italia ho avuto i documenti da un amico di famiglia, quando sono andato via dalla Francia avevo i documenti falsi francesi, credo che provenissero dai rifugiati spagnoli della guerra civile dei tempi di Franco; dall'Italia non ho mai ricevuto nessun documento falso tranne quello di cui ho parlato prima. In tutte le altre occasioni ho utilizzato i miei vari documenti".

L'ex terrorista ha parlato anche dell'appoggio che ha avuto durante gli anni in cui ha vissuto da latitante: "Posso dire che gli appoggi di cui ho goduto sono stati il più delle volte di carattere politico rafforzati dal fatto che io ero ritenuto un intellettuale, scrivevo libri, ero insomma una persona ideologicamente motivata, per cui nessuno sentiva il bisogno di agire contro di me. Questo mio ruolo da intellettuale era anche una precisa garanzia che, a prescindere dal mio passato, ero ormai una persona non più da ritenersi pericolosa e, quindi, anche per questo motivo, nessuna persona mi ha dato la caccia".

Battisti ha assicura che se, nel 1981, non fosse scappato dal carcere di Frosinone dove era detenuto, si sarebbe dissociato dalla lotta armata. La sua fuga dalla struttura racconta fu possibile "grazie all'aiuto di appartenenti a gruppi armati di differente collocazione nel mondo della lotta armata in quanto ritenevano che io avrei potuto incontrare alcuni elementi e portare un messaggio che poi sarebbe stato finalizzato a cessare l'attacco armato nei confronti dello Stato ma a mantenere la disponibilità delle armi per scopi difensivi e ad aiutare compagni ad evadere". "In realta' - spiega ancora - io già dentro di me covavo l'idea della dissociazione e non a caso, pochi mesi dopo, circa due, decisi di abbandonare tutto e tutti e di rifugiarmi in Francia".

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