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Esteri

"Con gli Usa rapporti strettissimi, parlano 75 anni di storia". Intervista all'ambasciatore Armando Varricchio

Con gli Usa rapporti strettissimi, parlano 75 anni di storia. Intervista all'ambasciatore Armando Varricchio

Storicamente, quello che ricopre è uno degli incarichi più prestigiosi e impegnativi nel sistema diplomatico italiano: Ambasciatore negli Usa. Di questi tempi, soprattutto con l’avvento alla Casa Bianca di Donald Trump, il ruolo ricoperto da Armando Varricchio, dal 2016 Ambasciatore d’Italia a Washington, è, se possibile, ancor più delicato e nevralgico. 

L’HuffPost lo ha intervistato alla vigilia della XIII Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici dell’Italia, che si aprirà domani alla Farnesina, con l’intervento del Capo dello Stato Sergio Mattarella, per concludersi venerdì prossimo con l’intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Il tutto alla vigilia di un importante passaggio, l’informativa del premier italiano al Senato sul caso Lega/Russia, in cui verrà ribadito nuovamente con forza l’atlantismo della politica estera italiana.

Ambasciatore Varricchio, partiamo dalla tre giorni della nostra diplomazia. Con la Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici, l’Italia fa un tagliando della sua politica estera, in un momento particolarmente caldo sullo scacchiere internazionale. Con quali propositi e priorità?

”Fondamentalmente due: da un lato, la Conferenza è una verifica di tutto quello che sta avvenendo nel mondo. Quella che stiamo vivendo, è un’epoca di grandi cambiamenti, sia dal punto di vista degli equilibri geopolitici, sia, e questo lo posso dire con particolare cognizione di causa visto che vivo negli Stati Uniti, per ciò che concerne cambiamenti dei modi di produzione, grandi programmi dal punto di vista scientifico tecnologico: pensiamo alla rivoluzione energetica, alle applicazioni dell’intelligenza artificiale e alle nuove frontiere dei diritti. E quindi a fronte di grandi processi di trasformazione, è importante che un grande Paese come l’Italia definisca un proprio progetto, una propria visione del suo ruolo nel mondo. In questa ottica, gli Ambasciatori sono delle straordinarie antenne che raccolgono segnali, li mettono a sistema e formulano delle proposte. Il secondo obiettivo della Conferenza è quello di avere un sempre più stretto coordinamento tra di noi”.

Dal 2016 Lei guida una delle sedi diplomatiche più importanti per l’Italia. Anni segnati dalla Presidenza Trump. Quale fotografia farebbe dei rapporti tra il nostro Paese e l’America di Trump?

”Intanto se si deve scattare una istantanea, il compito dell’Ambasciatore, è mettere le questioni in prospettiva. Non possiamo dunque prescindere da oltre 70 anni di storia comune. E dico oltre 70 anni perché siamo nell’anno in cui si celebra il 75° anniversario del D-day. Dobbiamo partire da quel momento in cui di fatto gli Stati Uniti d’America hanno salvato l’Europa da se stessa e hanno aiutato l’Italia ad uscire dall’abisso in cui era precipitata, accompagnando il processo che ha visto il nostro Paese tornare ad occupare il ruolo che gli compete nel mondo: Paese fondatore dell’Alleanza Atlantica, dell’Unione Europea e membro autorevole del G7. Questo è il contesto. E poi veniamo all’attualità fatta di strettissimi rapporti politici, di collaborazione strategica nel campo della sicurezza. Siamo un partner economico di prima grandezza, non soltanto a livello quantitativo, penso ai 100 miliardi di dollari di interscambio, ma anche alla qualità della nostra presenza economica negli Usa, fatta di alta tecnologia, meccanica di precisione e di collaborazioni strettissime nel campo della ricerca scientifica e tecnologica”.

Ma l’idea che va per la maggiore è che l’attuale inquilino della Casa Bianca non sia particolarmente amante, per usare un eufemismo, dell’Europa. E’ una narrazione o è la realtà?

”E’ una immagine forzata, perché l’America sa perfettamente che l’elemento principale della propria sicurezza risiede nella rete di alleanze di cui gode. E l’alleanza più stretta è quella con l’Europa, di cui l’Italia costituisce uno degli attori principali”.

Una delle arre più calde e strategicamente rilevanti per l’Italia è il Mediterraneo. Su questo versante, come valuta le relazioni con gli Stati Uniti?

”Da anni, e quindi non da ora, si lamenta una sorta di distrazione degli Stati Uniti nei confronti del Mediterraneo, rispetto ad altri teatri ritenuti come più sensibili e strategici da parte di Washington. Non è così. Il Mediterraneo rimane crocevia imprescindibile di cambi, frontiera esposta ai grandi fenomeni che riguardano l’Africa, porta di accesso ad un Medio Oriente che non può essere abbandonato a se stesso e sbocco di una via che ci riporta a Marco Polo”.

Per restare a temi caldissimi: Iran e Russia. L’amministrazione Trump, anche se con declinazioni interne differenti, punta decisamente sulla politica delle sanzioni, sia nei confronti di Mosca sia verso Teheran. Una lunghezza d’onda che non è quella dell’Italia, o comunque non del tutto.

”Gli americani sanno che noi riteniamo le sanzioni non una politica ma uno strumento. Le applichiamo ma riteniamo che vadano affinati gli strumenti per interloquire con il più grande vicino dell’Europa, la Russia, e con la Repubblica islamica dell’Iran. In entrambi gli scenari, l’Italia può svolgere un grande ruolo politico, coerente con il nostro saldo ancoraggio occidentale ma disponibili ad interloquire con due attori imprescindibili per la stabilità internazionale”.

A proposito di “vie”. Il presidente Trump non sembra aver particolarmente gradito l’ingresso dell’Italia nella nuova Via della seta tracciata dalla Cina.

”Abbiamo spiegato le nostre ragioni in piena trasparenza. Per l’Italia si tratta di cogliere una interessante prospettiva economica. Ma le nostre scelte strategiche rimangono immutate”.

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