Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Cultura

Da Taos Pueblo a Holbrook nella rossa terra dei Nativi

Panorami ancestrali, dove terra e uomo sono un’unica identità. Il viaggio tra i Nativi prosegue.

Attraverso, emozionandomi ad ogni milio, Texas, New Mexico, Arizona, Utah e Colorado.

Qui siamo tra i Nativi che si riconoscono sotto il nome di Pueblo. Sono tantissimi.

Ho incontrato gli Hopi, ai quali appartengono delle piccole tribù che hanno una propria storia, identità e addirittura lingua.

Gli Hopi sono dediti al commercio, sotto ogni forma. Per incontrarli devi pagare. Per fotografarli devi pagare. Per entrare nel loro Pueblo, un piccolo agglomerato di casette, devi sempre pagare. Un po’ come se noi avessimo un ticket di entrata dentro uno dei tanti paesini italiani.
I Pueblo sono troppo dediti al commercio e per questo forse hanno perduto un po’ la loro autenticità. Oppure è proprio questa.
Hanno sostanzialmente monetizzato la propria cultura che tanto affascina il mondo occidentale e non solo.

Per entrare dentro un villaggio ci sono file chilometriche provenienti da ogni parte del mondo, pochi gli italiani, in tutto il viaggio ne ho incontrati solo due, una coppia di esperti viaggiatori. Ci sono cinesi intenti a fotografare ogni cosa, anche pali infissi sul terreno, piuttosto che galline che scorrazzano tra la terra.
I villaggi sono questi, un piccolo centro fatto di case costruite con mattoni di paglia e fango, la loro unica vera particolarità che ha reso il Taos Pueblo, per esempio, Patrimonio dell’Umanità.

Tra queste case ci sono piccoli torrenti, nel Taos Pueblo c’è il Rio Pueblo, che attraversa le abitazioni e che in passato, fino a 20 anni fa, serviva a lavare vestiti e altro. Oggi è solo un elemento che decora il villaggio e lo rende ancor più una metà turistica.

Qui si parla la lingua tiwa. 
Incontro Sunny, un indiano tra i 60 e i 70 anni. È impossibile decifrarne metà. La loro pelle è lucente e scura, i loro capelli lunghi e neri. I vecchi li hanno raccolti, i giovani sciolti. Sunny ha un figlio che fa il cacciatore. Si sveglia all’alba e con tanto di arco e freccia va a cercare la sua preda. Ciò che raccoglie la porta nel villaggio, affinché tutti se ne sfamino. Sunny viaggia molto, è stato ben due volte in Italia. Nel suo negozietto custodisce orgogliosamente tutte le banconote dei visitatori che negli anni sono passati da lì, come se tutti quegli incontri rappresentassero un ponte, un filo di comunicazione con il resto del mondo. 

Il momento più coinvolgente dell’anno dentro Taos Pueblo è la festa del villaggio, che si celebra durante l’estate, dove gli animali, una volta cucinati, vengono appesi a un bastone conficcato in terra per almeno 20 metri.

Sunny mi racconta della fede verso Madre Natura. La pregano costantemente andando sul monte vicino a casa, all’alba, ma precisa “qui è tutto normale, noi siamo gente normale”. Per i nativi pregare Madre Natura è infatti quanto di più normale ci possa essere. Se bevono acqua lo devono a Lei, se si sfamano lo devono a Lei. Qui la natura è immensa ed è impensabile per l’uomo poter credere di sovrastarla, come invece avviene dalle nostre parti, dove se un orso scappa dalla sua recinzione si mobilità addirittura l’esercito e nessuno prende in considerazione che quell’orso ha più diritto di noi di poter passeggiare dove vuole! 
I Nativi pregano la natura, noi cerchiamo, invano, di dominarla!

Tutto il terreno su cui poggiano le case, molte di queste sono divenute dei negozi dove acquistare souvenir autentici, come l’Acchiappasogni che non tutti sanno, ma viene fatto proprio dagli indiani d’America e in ogni storia fabulesca, dove si parla di loro, l’Acchiappasogni non manca mai. Collane, anelli e bracciali, ve ne sono tantissimi. Addirittura pezzi da 2,000 dollari fatti con una pietra turchese oramai introvabile che dovrebbe chiamarsi joclas, così mi dice una venditrice.

I Pueblo per integrarsi, si sono adattati alla vita degli americani, ma questo ha mandato in corto circuito la loro società. La poca scolarizzazione e la scarsa socializzazione per le lingue differenti, li ha resi dei soggetti fragili, spesso inclini a depressione e alcolismo. C’è lo racconta Titzi un quarantanovenne appartenente agli Hopi. Ha avuto ben 5 mogli diverse, tra cui una di origine italiana. Ora è single mi rivela con una smorfia di compiacimento. Nella vita dice di realizzare gioielli, me lo racconta mentre smonta la mia ruota bucata, per la quale ha voluto essere ricompensato, alle 9 del mattino, con una bottiglia di whisky e una di vodka.

Come se non bastasse già una situazione di totale debolezza, tra le piaghe più forti e attuali che subiscono oggi giorno i Nativi c’è la pratica del fracking, ovvero la fratturazione di rocce che contengono idrocarburi. Avviane utilizzando un mix di acqua, sabbia e potenti reagenti chimici che viene pompato violentemente, con una pressione altissima nel terreno. E’ terribile l’odore che si sprigiona e che resta nell’aria a lungo. I Nativi cercano di contrastare il fracking attraverso sit-in, proteste e con la loro arte, tramite mostre che raccontano il mood della popolazione.

Il viaggio per attraversare i Pueblo inizia sul Rio Grande Gorge Bridge, un ponte d’acciaio che passa sulla la gola del Rio Grande, lasciandoti sospeso a circa 200 metri da terra. Classificato tra i più bei ponti in acciaio degli USA degli anni ’60, merita sicuramente una sosta. Tutt’intorno il paesaggio rosso e brullo caratterizzerà i prossimi 1000 chilometri in direzione di Taos Acuma. 
Di questo villaggio si parla tanto sulle guide, ma non tutti riescono a visitarlo, sarete fortunati se all’entrata del Pueblo non troverete un cartello con su scritto “Vietato entrate ai non residenti”. Testarda e piccata, non bado troppo al cartello e mi spingo oltre, ma vengo fermata da due uomini che mi consigliano di non andare nel Pueblo Acuma perchè per me potrebbe non essere “safety”.

Dopo quindi aver percorso circa 200 chilometri dall’ultimo centro abitato guidando prima la I-40 e poi la I-23, non ho raggiunto la meta e questo Acuma Pueblo, definito lo “Sky city” perchè si erge su una roccia molto alta che mostra un panorama invidiabile, non lo vedrò mai! 

Proseguo il viaggio, addentrandomi nel New Mexico in direzione Arizona, sul vecchio sentiero Zuni - Acuma. Arrivo a El Morro monumento nazionale dal 1906, fu in seguito aggiunto al Registro nazionale dei luoghi storici nel 1966. Una zona caratterizzata da enormi rocce rosse, dove una pozza d’acqua nascosta alla base di una scogliera di arenaria divenne un’oasi per i pueblo ancestrali, i viaggiatori spagnoli e americani che per centinaia di anni, al loro passaggio non perdevano occasione per incidere firme, date, messaggi e petroglifi, ve ne sono oltre 2000 che potrete vedere. Apprezzerete molto questa sosta perchè il silenzio che “ascolterete” tra le pareti rocciose vi mostrerà un altro “sentire”. Tik.... Tik... Tik... sono i corvi neri che vivono dentro El Morro e picchiettano costantemente le rocce, scandendo così il vostro percorso. Aguzzate lo sguardo, potrete vedere “pon pon” pelosi scorrazzare tra le sterpaglie intorno a voi, intenti a nascondersi nelle Zuni Sandstone, le rocce che caratterizzano questa area. I pon pon sono dei coniglietti, gli altri inquilini di questo luogo preistorico. 

Finalmente arrivo alla fine del percorso della giornata. 

Sono in Arizona. 

Mi fermo a Holbrook. Un tempo città di ferrovieri e allevatori, fuorilegge e vigorosi poliziotti. Oggi è una città ricca di cultura dei nativi americani, radici ispaniche e pionieri di ogni estrazione sociale. In questa comunità si trova il cuore della contea di Navajo, la porta verso lo straordinario Parco nazionale della foresta pietrificata lungo la storica Route 66. 

Mi godo la notte che scende sulla panchina che “arreda” la Navajo Boulevard, immersa nel nulla.

Domani proseguirà il viaggio.

 

I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione