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Economia

Draghi saluta l'Europarlamento togliendosi i sassolini dal bazooka

reuters
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Una dura replica ai Governatori delle banche centrali di Germania, Austria e Olanda. Una nuova sferzata a Berlino e agli altri Paesi del Nord Europa che hanno margini per spendere ma scelgono di accumulare ostinatamente surplus di bilancio. La difesa dei risultati ottenuti nella lotta alla disoccupazione dell’Eurozona di cui non esita a prendersi gran parte dei meriti. Ma soprattutto, una pietra sulle attuali regole di Bilancio di Bruxelles, definite “utili in passato ma oggi inefficaci”, e quindi l’ultimo appello ai Paesi Ue per la loro revisione. Sono questi i punti salienti del discorso di commiato di Mario Draghi dall’Europarlamento, in audizione per l’ultima volta nei suoi otto anni di mandato. Parole che suonano quasi come una stroncatura della filosofia economica di Bruxelles e che offrono indirettamente un assist a Paolo Gentiloni, nella sua duplice veste di prossimo Commissario agli Affari economici, e quindi promotore di una eventuale ridiscussione delle regole di bilancio, e in quella di italiano, quindi particolarmente interessato (e per alcuni versi penalizzato) dalle stesse. 

Con ordine. Dal 1° novembre a guidare la Bce sarà com’è noto la francese Christine Lagarde. Il presidente uscente ha preso congedo dalla Commissione Econ ribadendo le preoccupazioni che hanno indotto due settimane fa il Consiglio Direttivo a riattivare il programma di acquisti di titoli di Stato e altre misure espansive. I tanti ringraziamenti dell’Europarlamento per il suo “whatever it takes” sono stati però offuscati dagli allarmi sui rischi che aleggiano sull’Eurozona e dalle critiche alle inadempienze dei Paesi membri nel contrastare la crisi.

Draghi ha parlato dell’assenza di segnali “convincenti” di ripresa economica e di un rallentamento significativo andato ben oltre le stesse previsioni della Bce a causa della guerra commerciale e dei rischi geopolitici. Nello stesso giorno sono arrivati altri segnali scoraggianti: l’ennesimo dalla fu locomotiva Germania, dove l’indice Pmi a settembre è sceso a 41,4 punti facendo registrare il nono mese di contrazione, con il manifatturiero ai minimi da dieci anni. Anche dalla Francia l’indice Pmi ha segnato un calo contrario alle aspettative nei servizi e nel manifatturiero. Dati che confermano il rallentamento in corso. Ma nella sua ultima visita al Parlamento Europeo, Draghi ha anche risposto duramente agli attacchi sgraziati arrivati da alcuni governatori centrali all’indomani del Consiglio direttivo del 12 settembre scorso, nel quale si è registrata una profonda spaccatura sulla decisione di riattivare il bazooka per rispondere alla frenata. Breve promemoria: una decina di governatori ha espresso il suo dissenso sul ritorno del Quantitative easing, alcuni di essi però non si sono limitati a farlo nella sede deputata, il Direttivo, ma hanno rilasciato interviste a quotidiani dando a intendere, per venire al sodo, che nel breve termine avrebbero cercato di smontare le decisioni appena assunte. Una tenaglia mediatica, come l’intervista del tedesco Jens Weidmann al popolare tabloid tedesco Bild (che raffigurava Draghi come Dracula) o quella dell’austriaco Robert Holzmann a Bloomberg. “Il dissenso nelle scelte di politica monetaria non è insolito, ha premesso Draghi senza fare riferimenti ai colleghi, “anche le ultime decisioni della Federal Reserve sono assunte in presenza di un minoranza contraria, ed è comune che questo dissenso possa essere reso pubblico. Ma è la forma in cui viene reso pubblico quella che conta, soprattutto in un’unione monetaria multipaese” come l’Eurozona: “Bisogna fare molta attenzione a non minare l’efficacia delle decisioni”. Draghi ha rivendicato, quasi a voler dare una lezione di stile istituzionale, come nei suoi sei anni da governatore della Banca d’Italia non abbia “mai detto nulla sul dissenso sulle politiche della Bce”.

“Si dice che un banchiere centrale non deve parlare solo ai mercati e ai banchieri ma che deve avere un linguaggio del popolo”, ha proseguito invitando però alla cautela: ”È molto importante mantenere una sottile distinzione tra il ‘central banking’ e i politici perché è molto facile, usando il linguaggio popolare, entrare in un terreno che non è più quello della banca centrale ma diventa politico e questo è un danno per le banche centrali”.

Tuttavia l’addio di Draghi all’Europarlamento si declina soprattutto nella bocciatura delle regole fiscali adottate dalla Commissione Europea della loro applicazione da parte di alcuni Paesi guida nel periodo più recente. “La Bce può dare il suo aiuto, ma il compito spetta ai parlamenti e ai governi”, ha detto. I paesi che hanno spazio di bilancio devono “agire in modo efficace e tempestivo”, e ha aggiunto che “ci serve una strategia economica coerente nella zona euro che completi l’efficacia della politica monetaria”, spiegando che la Bce è stata unanime nel chiedere “un maggiore contributo alle politiche fiscali”, rilevando come in passato “le politiche di bilancio abbiano portato una contrazione”. È l’ennesimo messaggio rivolto a Berlino (ma non solo a Berlino), un disperato invito a fare investimenti pubblici, a iniettare risorse nell’economia reale e a staccarsi dal totem dello Schwarze Null: zero nero, niente debito. La ripresa si regge su due gambe, è la metafora utilizzata dal numero 1 dell’Eurotower: quella della politica fiscale, che fino ad oggi ha zoppicato, e quella della politica monetaria, “che ha sopportato gran parte del peso”. 

Senza guanti con i Paesi membri, senza guanti anche con Bruxelles e il suo approccio fiscale incatenato a percentuali e target che frenano la ripresa. Di più, Draghi chiede apertamente una modifica delle norme sul bilancio: “Le regole di bilancio vanno riviste. Finora sono state efficaci, sensate, per molto tempo”, ma ora “non sono efficaci perché non hanno capacità anti-cicliche”. Per Draghi è importante concentrarsi ora su uno strumento di stabilizzazione fiscale centrale “perché alcuni paesi potrebbero essere soggetti a choc asimmetrici”, precisando comunque che i Paesi con un debito elevato devono perseguire politiche di bilancio “prudenti”. Qui il riferimento è all’Italia, che nel suo discorso di saluti non poteva certamente mancare.

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