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Politica

Firenze, Reggio e Ferrara: la grande paura dem per le Comunali

alxpin via Getty Images
alxpin via Getty Images 

 

Sarà difficile dare già lunedì prossimo una valutazione politica delle elezioni amministrative, che si svolgono in contemporanea con le europee e le regionali in Piemonte. Nella stragrande maggioranza dei ventisette comuni capoluogo di provincia chiamati a eleggere il proprio sindaco, infatti, saranno con ogni probabilità i ballottaggi di due settimane dopo a decidere il colore dell’amministrazione. Almeno così ci si aspetta in casa dem, dove sperano che l’onda lunga della Lega non sia così travolgente da scombinare i piani e le previsioni della vigilia.

Quello che sembra certo è che si riproporrà praticamente ovunque il tradizionale bipolarismo centrosinistra-centrodestra. D’altra parte, i sindaci uscenti sono ben 16 del Pd, 5 di centrodestra e solo uno grillino (più altri cinque comuni commissariati, due a testa per le due coalizioni maggiori, uno per il M5S). I dem sanno già che sarà impossibile mantenere questi numeri.

Come si comporteranno però gli elettori cinquestelle al secondo turno? È questa la domanda che angoscia i sogni di chi segue da vicino le amministrative. “Difficilmente arriveranno indicazioni dall’alto”, spiegano dal Nazareno. “Come sempre i dirigenti del M5S lasceranno libertà di voto e gli elettori allora potrebbero decidere di non voler dare troppa forza alla Lega, soprattutto dove presenta direttamente i suoi candidati, e votare per i nostri”.

Era questa, d’altra parte, la scommessa di Nicola Zingaretti sin dall’inizio: riuscire ad aprire un dialogo con la componente più a sinistra del Movimento, proprio per costituire un fronte comune anti-sovranista. E i ballottaggi, dove si scelgono le persone e non i simboli di partito, rappresentano il terreno migliore per verificare questa possibilità.

Il Pd ha comunque cerchiato in rosso alcune sfide ritenute prioritarie. Firenze, sicuramente. L’Emilia-Romagna, dove la Lega è ormai riuscita a penetrare stabilmente e dove, prima della fine dell’anno, si voterà anche per le regionali. Quindi Bari, Pesaro e Bergamo, dove sono in corsa tre esponenti di primo piano del partito (rispettivamente, il presidente dell’Anci Antonio Decaro, il presidente di Legautonomie Matteo Ricci e l’ex spin doctor renziano e candidato alle ultime regionali lombarde, Giorgio Gori). In tutto, nove capoluoghi che potrebbero tirare un brutto scherzo ai dem, qualora andassero persi.

Tra questi, il comune più a rischio appare Ferrara, dove la sinistra governa ininterrottamente dal Dopoguerra. Alle politiche di un anno fa, nella sua città Dario Franceschini perse la sfida con la leghista Maura Tomasi e la lista del Carroccio arrivò ad appena mille voti da quella del Pd. Oggi il candidato dem Aldo Modonesi non potrà contare né sul sostegno di Articolo Uno e +Europa, che appoggiano la civica Roberta Fusari (ex Pd), né su quello di Italia in Comune. Il centrodestra si presenta invece compatto con il leghista doc (ma con nonno partigiano) Alan Fabbri. Quest’ultimo punta al colpaccio già al primo turno, mentre in un eventuale ballottaggio Modonesi spera di salvarsi riunendo il centrosinistra e facendo fronte comune anti-Lega con gli elettori in uscita dal M5S, il cui candidato, Tommaso Mantovani, non sembra avere chance di superare la tagliola di domenica prossima.

Anche negli altri capoluoghi emiliano-romagnoli la sfida per i candidati del Pd non sarà semplice: da queste parti essere costretti al ballottaggio (come potrebbe avvenire ovunque) può essere considerata già una mezza sconfitta. Così potrebbe essere per la prima volta a Reggio Emilia. Qui la competizione è resa ancora più incerta dalla presenza della candidata cinquestelle Rossella Ognibene, la più competitiva tra i suoi in questa regione. Un ballottaggio tra lei e il sindaco uscente Luca Vecchi (Pd) vedrebbe in forte difficoltà quest’ultimo, dato che difficilmente potrebbe essere aiutato dagli elettori in uscita da Lega e FI. Se invece al secondo turno dovesse accedere il civico di centrodestra Roberto Salati, in uno scenario più “tradizionale”, la partita rimarrebbe aperta.

Apparentemente più tranquille per i dem dovrebbero essere le piazze di Modena e Cesena. Qualche preoccupazione in più anima Forlì, dove il sindaco uscente di Meldola ed ex Dc, Gian Luca Zattini, spinto dalla Lega e appoggiato da tutto il centrodestra, sfiderà il magistrato Giorgio Calderoni, sostenuto dal Pd ma non da tutto il centrosinistra, nell’ambito del quale si possono ricondurre altri due candidati civici.

Alto valore simbolico ha naturalmente la sfida di Firenze. Sulla riconferma del suo amico Dario Nardella, si gioca moltissimo Matteo Renzi. Una sconfitta nella sua città sarebbe un colpo durissimo contro le sue ambizioni di tornare da protagonista sulla scena politica nazionale. Ma perdere Palazzo Vecchio sarebbe un pessimo segnale per tutto il Pd e la sinistra in generale. Zingaretti, insomma, non è meno preoccupato dell’ex premier. Per evitare scherzi, Nardella, forte anche del suo consenso personale, punta a vincere già al primo turno: obiettivo difficile, ma non impossibile. Qui dove più forte è il radicamento della sinistra, infatti, potrebbe essere più plausibile una convergenza al ballottaggio degli elettori cinquestelle sul candidato del centrodestra Ubaldo Bocci (Lega), in nome di un richiamo al rinnovamento, che può fare ancora molta presa da queste parti.

La riconferma di Bergamo, Pesaro e Bari non dovrebbe essere a forte rischio, visto anche il gradimento personale di cui godono i primi cittadini uscenti. Più difficile sarà invece la corsa dei candidati ufficiali del Pd nei capoluoghi piemontesi chiamati al voto (Verbania, Vercelli e Biella) e negli altri due della Lombardia (Cremona e Pavia). Tutt’altro che scontata per vari motivi la riconferma del centrosinistra anche a Prato, Pescara, Campobasso e Lecce. Nel capoluogo salentino, i dem sperano che Adriana Poli Bortone, in corsa solitaria, possa drenare voti al candidato ufficiale del centrodestra Saverio Congedo, favorendo così Carlo Salvemini, che si ricandida dopo essere stato costretto a dimettersi dalla sua maggioranza di centrosinistra.

Dove il Pd non governa già, guarda con attenzione per un possibile ritorno alla guida di Avellino (commissariata dopo le dimissioni del sindaco cinquestelle, appena cinque mesi dopo il suo insediamento) e, soprattutto, Livorno. La città in cui nacque il Pci, strappata con grande clamore cinque anni fa dal M5S, è quella in cui vige maggiore incertezza in vista del voto di domenica, con tre candidati che partono più o meno alla pari. Il sindaco Filippo Nogarin, sul quale pendono diverse inchieste (su tutte, quella per l’alluvione del 2017), ha preferito correre per una più comoda poltrona europea, lasciando l’incombenza di mantenere le cinque stelle al Comune alla sua vice, Stella Prudente. In campo con una lista civica anche l’ex assessore di Nogarin, Ina Dhimgjini. Il centrodestra schiera il coordinatore cittadino di Fratelli d’Italia, Andrea Romiti. Una situazione che avrebbe potuto avvantaggiare il centrosinistra, che però si presenta al primo turno frantumato in sei candidature. Il Pd e Articolo Uno puntano di ricompattare il fronte attorno al proprio candidato (Luca Salvetti) al ballottaggio: se la sfida sarà contro il centrodestra, l’impresa potrà essere a portata di mano; ma se ci si arrivasse contro Prudente, le sirene del M5S potrebbero ancora una volta ammaliare le componenti più estreme della sinistra (oltre che attirare il centrodestra), favorendo il bis grillino.

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