Scegli di capire.

Gedi Smile Abbonati
Inserti
Ancora su HuffPost
Guest
Tutte le sezioni

GEDI Digital S.r.l. - Via Ernesto Lugaro 15, 10126 Torino - Partita IVA 06979891006

Esteri

Le mani sul Donbass, di nuovo al centro del mondo. Mosca: "Così finisce male"

Anadolu Agency via Anadolu Agency via Getty Images
Anadolu Agency via Anadolu Agency via Getty Images 

“La Russia ha al confine con l’Ucraina più truppe di quante non ne abbia mai avute dal 2014. Gli Stati Uniti sono sempre più preoccupati dalla recente escalation dell’aggressione russa nell’Est ucraino, tra cui i movimenti di truppe sul confine”. L’allarme lanciato giovedì dalla portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha riacceso i riflettori sul Donbass, l’unico conflitto ancora in corso in Europa. Gli attacchi militari della fine di marzo, quando quattro soldati dell’esercito ucraino sono rimasti uccisi, si sono protratti per settimane - fino a portare a venticinque le vittime ucraine uccise dall’inizio dell’anno - con accuse reciproche sulla matrice delle violenze.

Per Kiev, che oggi ha dichiarato l’uccisione di un suo soldato vittima “di un attacco mirato lanciato dalle forze armate della Federazione Russa”, sono nove gli attacchi dei separatisti alle loro truppe, con filmati che testimoniano l’avanzamento russo verso il confine, mentre i filorussi chiedono il rispetto del cessate il fuoco e da Mosca accusano gli avversari di “vivere con l’illusione di una soluzione di forza”, come dichiarato venerdì dalla portavoce degli Esteri Maria Zakharova. Ancora più duro è stato il commento del vice presidente del Senato russo, Konstantin Kosachev, il quale ha parlato di “isteria occidentale” per quel che riguarda il “dispiegamento delle truppe russe”. In realtà, questa mossa “ha un solo fine: aumentare la propria presenza militare nella regione”.

L’intensificazione militare, che ha visto mobilitarsi mezzi e uomini a circa un centinaio di chilometri dall’Ucraina e lungo il confine con la Crimea (annessa nel 2014), è stata giustificata dal Cremlino come una necessità, in risposta a “pericolose azioni provocatorie” verificatesi nel Donbass, secondo Vladimir Putin, e per evitare un massacro dei russofoni. Secondo le parole del portavoce Dimitri Peskov, questi ultimi starebbero correndo un pericolo paragonabile a quello delle popolazioni balcaniche negli anni Novanta. “La situazione sulla linea di contatto in Ucraina è estremamente instabile. Se iniziano le azioni militari e si verifica una potenziale ripetizione di una catastrofe umanitaria simile a Srebrenica, nessun paese al mondo rimarrà in disparte. Tutti i paesi, inclusa la Russia, adotteranno misure”, è stato l’avvertimento lanciato da Mosca, ricordando un evento tragico nella guerra indipendentista dove ottomila bosniaci vennero massacrati dall’esercito serbo, nonostante la città si trovasse sotto la protezione delle Nazioni Unite. Un paragone, quello tra Srebrenica e il Donbass, azzardato e frettoloso, ma che lascia intendere come per la Russia la questione sia tutt’altro che secondaria. “Riteniamo che sia importante difendere gli interessi dei russofoni in tutto il mondo e in modo particolare i russofoni che vivono nelle due autoproclamate repubbliche autonome nel Donbass, perché sono stati respinti dal loro Paese”, ha precisato Peskov, ammettendo come la guerra che dura ormai da sette anni sia “una tragedia per i paesi vicini e per l’intera Europa”. 

Dichiarazioni e movimenti che hanno messo gli Stati Uniti in allarme. Dalla Cnn rimbalzava la possibilità che da Washington si autorizzasse l’invio di navi da guerra nel Mar Nero per dimostrare il suo sostegno all’Ucraina. Un grido di aiuto viene lanciato direttamente dalle trincee vicino a Mariupol, dove si è recato presidente Volodymyr Zelensky che ha incentivato gli alleati (Usa in primis) a dare concretezza al loro sostegno. Soprattutto, una eventuale mossa militare statunitense - da subordinare a un trattato del 1936, che prevede un preavviso di due settimane per un ingresso marittimo in quanto sotto controllo turco - rappresenterebbe un messaggio chiaro a Vladimir Putin. Chiamato dal suo omologo ucraino, il capo del Cremlino ha preferito lasciar squillare invano il telefono. “Il Presidente ha sempre qualcosa da dire sulla de-escalation delle tensioni e sull’evitare una guerra”, ha chiarito Peskov affermando come nessuna richiesta di colloquio da parte di Zelensky è mai arrivata a Mosca. “Speriamo che la saggezza politica prevarrà a Kiev, così che gli eventi non prenderanno una svolta grave e le azioni provocatorie avranno fine”, ha continuato. Ma qualcosa si sta muovendo, è indubbio, e non solo da un punto di vista della strategia militare.

Questa settimana, da domani fino a giovedì, il segretario di Stato americano Antony Blinken è atteso a Bruxelles per discutere con le autorità europee, insieme al ministro della Difesa Lloyd Austin, di Iran, Afghanistan e, non proprio da ultima, Ucraina. Blinken ha affermato come qualora la Russia continuerà con il suo atteggiamento “aggressivo e irresponsabile, ci saranno conseguenze”. Immediata la risposta di Peskov: “C’è una certa svalutazione di tali frasi. Questi inviti ad abbandonare alcune presunte azioni aggressive, minacce per costringere uno a pagare un prezzo: più si pronunciano tali frasi, più queste si svalutano”. Sempre domani il ministro statunitense Austin sarà ricevuto dal suo omologo tedesco,  Annegret Kramp-Karrenbauer. Il rappresentante del Pentagono sarà il primo esponente del governo Biden a visitare la Germania, dove incontrerà anche Jan Hecker, consigliere della cancelliera Angela Merkel per la politica estera, con cui discuterà inevitabilmente anche di quanto sta accadendo nel Donbass. 

La visita degli americani in Europa però non si limita ad affrontare solo temi di natura bellica. L’intenzione del presidente Joe Biden è quella di nominare un inviato speciale incaricato di condurre i negoziati volti a bloccare il progetto del gasdotto Nord Stream 2 tra la Russia e la Germania, attraverso il Mar Baltico. Fino ad oggi, le redini della diplomazia per tentare di convincere Berlino a non ultimare il gasdotto sono state portate avanti dai diversi esperti di affari europei scelti dalla Casa Bianca, ma l’importanza della questione richiede un’attenzione maggiore. Il gasdotto, che bypassa l’Ucraina e subordinerebbe l’Europa alla Russia in termini di energia, è completo al 96% e per Washington la priorità assoluta è che quella decina di chilometri che manca da ultimare non si realizzi. Più facile che il gasdotto non venga mai utilizzato, ma questo è un probabile piano che verrà attuato in seconda battuta. Gli Stati Uniti, come affermato dal portavoce dell’ambasciata a Berlino, hanno l’intenzione di “utilizzare tutte le leve disponibili per impedire il completamento del Nord Stream 2, un progetto geopolitico della Russia, che minaccia la sicurezza energetica dell’Europa tanto quanto quella dell’Ucraina e dei partner orientali della Nato”. Una considerazione condivisa anche “da alcuni dei nostri partner europei e da alcuni voci autorevoli in Germania”. Al momento, tra queste non rientrano certamente quella di Angela Merkel né tantomeno quella del suo probabile successore, Armin Laschet. Piuttosto, il governo di Berlino avrebbe avrebbe proposto agli Usa di investire notevolmente nello sviluppo dell’idrogeno in Ucraina, così da slegarla dalla dipendenza russa, anche se le vicende militari di queste ore rendono l’offerta piuttosto complessa.  A ragion di cui, va segnalato come nel primo trimestre di quest’anno Kiev abbia raddoppiato le importazioni di elettricità dalla Russia, terzo fornitore di energia elettrica dopo Bielorussia (filo russa anch’essa) e Slovacchia. 

Anadolu Agency via Anadolu Agency via Getty Images
Anadolu Agency via Anadolu Agency via Getty Images 

 

Se il gasdotto divide l’Europa, la condanna per l’aumento della tensione nel Donbass è unanime. Un monito al Cremlino era stato lanciato anche lo scorso marzo, quando il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, in visita in Donbass, aveva annunciato “il finanziamento dei posti di frontiera”, rassicurando gli ucraini di come l’Ue sia “dalla vostra parte” e avvertendo Mosca che le sanzioni europee non sarebbero state ritirate fino a che la Russia “sarà parte del conflitto”. La successiva richiesta della cancelliera Merkel di ritirare le forze russe ha anticipato la dichiarazione del portavoce della Commissione europea, Peter Stano: “L’Ue, gli Stati membri e le istituzioni stanno seguendo molto da vicino e con molta preoccupazione il peggioramento della situazione della sicurezza nell’Ucraina orientale e i movimenti delle truppe russe vicino il confine ucraino e anche nella Crimea annessa illegalmente”. L’Ue, ha sottolineato Stano, “ha richiamato più volte alla calma, alla de-escalation. Abbiamo puntualizzato che la piena attuazione degli accordi di Minsk è la sola via da percorrere per garantire una soluzione politica e pacifica al conflitto. In questo contesto accogliamo gli sforzi e gli importanti passi che l’Ucraina e il presidente Volodymyr Zelensky stanno compiendo”. La richiesta rivolta a Mosca, quindi, è quella di “astenersi da
ogni azione che possa aumentare le tensioni e rafforzare gli sforzi per attuare gli accordi di Minsk”, e ha voluto assicurare come “sono in corso contatti a vari livelli”.

Come quelli tra la Nato e Kiev. Domani è previsto un incontro tra il segretario generale, Jens Stoltenberg, e il ministro degli Affari esteri ucraino, Kuleba Dmytro, presso il quartier generale dell’organizzazione nella capitale belga. Il ministro, poi, prenderà parte a una riunione della Commissione Nato-Ucraina. Un primo passo avanti concreto, come richiesto dal presidente Zelensky, che si era rivolto in modo deciso agli Stati Uniti, con la richiesta di esporsi definitivamente. “Se vedono l’Ucraina nella Nato”, devono “dirlo direttamente e farlo. Non a parole”. Gli Usa sono “buoni amici”, ha continuato l’ex comico della tv ucraina, ma il presidente Biden “deve fare di più” se intende offrire protezione. Armi, soldi e sostegno diplomatico sono quindi le necessità impellenti per Kiev.

Richieste che Washington ascolta, così come non possono essere ignorate le altre conseguenze, questa volta minacciate dalla Russia, qualora ci fosse un attivismo partigiano da parte dell’amministrazione Biden. “Possiamo solo
esortare Washington ad adottare un approccio più responsabile a questo grave problema, a non intensificare le tensioni e, come priorità, a garantire un atteggiamento più responsabile nei confronti delle questioni relative a determinati scambi di informazioni tra le nostre capitali”, ha affermato all’agenzia di stampa Sputnik il vice ministro degli Esteri, Sergej Ryabkov. A lui fa eco il ministro in persona, Sergej Lavrov, ammettendo come sia “in atto in questo momento una retorica aggressiva. Gli Usa si sono posti delle domande su cosa stia facendo la Russia al confine con l’Ucraina. La risposta e’ semplice: viviamo lì, questo è il nostro Paese”. Piuttosto, “rimane ancora da chiarire cosa facciano i militari americani, unità navali e soldati che organizzano senza sosta attività Nato in Ucraina, migliaia di chilometri dal loro territorio”, ha precisato. Ancor più pesante ci è andato rivolgendosi all’Ucraina. “Mi sembra che alcune lezioni
dovrebbero essere apprese dagli eventi del 2014. Purtroppo, al momento non è così, e finora non abbiamo visto alcuna conferma di questa verità, che speravamo fosse abbracciata da tutti coloro che hanno incoraggiato i sentimenti anti-russi della leadership ucraina e che hanno incoraggiato la riluttanza, sia del precedente che dell’attuale governo di Kiev, a rispettare gli accordi legali internazionali stipulati dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”, ha dichiarato durante una conferenza stampa al Cairo. “Questo potrebbe finire male, perché il regime di Kiev potrebbe ricorrere ad azioni sconsiderate nel tentativo di ripristinare il suo rating”, ha avvertito. 

Dall’altra parte, mentre il sindaco di Donetsk denuncia come la periferia della città, nell’autoproclamata Repubblica Popolare, sia stata bombardata dall’esercito ucraino, Kiev rassicura che non proverà a liberare il Donbass con la forza, perché porterebbe “inevitabilmente alla morte di un gran numero di civili e vittime tra i militari”. Un gesto che andrebbe contro “i valori umani universali e alle norme del diritto internazionale umanitario. Il nostro Stato mette al primo posto la vita dei suoi cittadini”, ha dichiarato il capo di Stato maggiore delle Forze armate, Ruslan Khomchak.

Il rischio di arrivare a una soluzione militare e tornare indietro al 2014 è molto alto, ma al momento viene escluso dagli esperti che, invece, vedono i movimenti militari come una strategia di politica interna attuadai vari protagonisti. Secondo il New York Times, la cronaca al confine con l’Ucraina significherebbe per Putin spostare l’attenzione dalla vicenda di Alexsei Navalny, le cui condizioni fisiche  stanno minando la popolarità interna dello zar. Allo stesso modo, eletto con il favore del 70% dell’elettorato neanche due anni fa, Volodymyr Zelensky è avvolto dalle critiche, anche per la gestione della pandemia arrivata al suo livello di massima diffusione in questi giorni. Spiegazioni che provano a fornire un’analisi più dettagliata. Se invece si volesse riassumere più semplicemente la vicenda, si potrebbe affermare che tra questioni militari ed energetiche la frontiera ucraina è (di nuovo) il centro del mondo.

Valentin Sprinchak Valentin Sprinchak/TASS
Valentin Sprinchak Valentin Sprinchak/TASS 

 

 

I commenti dei lettori
Suggerisci una correzione