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Il problema degli italiani con “gli altri”

erhui1979 via Getty Images
erhui1979 via Getty Images 

Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere un sondaggio sull’opinione e i comportamenti dei giovani italiani a proposito della sostenibilità, da cui si ricava un dato un poco disarmante, per certi versi: la colpa dei comportamenti poco “green”, per così dire, è molto spesso, se non quasi sempre, attribuita agli “altri”.

Sono gli “altri”, soprattutto, che sprecano il cibo, l’energia o l’acqua, e non fanno molto per l’ambiente. Mentre chi è intervistato, in larghissima parte, è convinto di fare sempre o quasi attenzione. 

In generale, il sondaggio indica però una certa fiducia dei giovani verso il futuro, nonostante il timore del cambiamento climatico e il giudizio spesso negativo sulle istituzioni. Una fiducia che suona un po’ contraddittoria e immotivata: se gli “altri” fanno peggio di noi e delle istituzioni non ci si può fidare gran che, come potrebbe migliorare la situazione?

La questione non riguarda ovviamente soltanto l’ambiente. Negli anni passati diversi sondaggi europei hanno indicato l’Italia come il Paese dove la “fiducia negli altri”, e nei connazionali in particolare, era la più bassa. Mentre invece la fiducia nelle istituzioni in Italia era (ed è) alta solo per quanto riguarda esercito e forze di polizia - cioè coloro che esercitano la forza nel nome dell’ordine - e molto meno per i giudici o il Parlamento. 

La pandemia in corso è un esempio evidente della stessa situazione. Gli “altri”, colpevoli della diffusione del virus, erano in primavera i runner, oppure i proprietari di cani, quelli andati in vacanza all’estero, etc., e altri certamente ne spunteranno prima che ci saremo liberati del Coronavirus. Perché gli altri sono irresponsabili, insomma.

E anche perché dobbiamo comunque “personalizzare” un fenomeno, attribuirgli un preciso responsabile umano, trovare il famoso capro espiatorio. Non è una cosa che appartiene al passato - anche nelle passate pandemie c’erano gli “untori” - sembra proprio un carattere culturale che ci accompagna. Forse è per questo che l’Italia è considerato anche il Paese dell’familismo amorale, secondo la definizione del politologo statunitense Edward Banfield. Cioè l’idea che le persone agirebbero in genere secondo la regola di “massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”.

Il problema è che senza coinvolgere e convincere gli “altri”, senza dare fiducia oltre che chiederla, non possiamo sperare di realizzare cambiamenti importanti, sociali e politici, proprio come quelli che sarebbero necessari oggi, con la crisi innescata dal Covid ma che mette in luce questioni strutturali. Perché “gli altri” degli altri, siamo noi.

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