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Politica

Matteo Renzi: l’Autoconvocato

Matteo Renzi
Matteo Renzi 

Sia detto senza polemica, forse perfino un filo di umana simpatia accompagnata dagli auguri di buon lavoro per l’ennesima Leopolda, tuttavia, se negli scorsi mesi Matteo Renzi suggeriva, almeno ai nostri occhi, l’idea problematica del “bloccasterzo”, cioè un se stesso votato a produrre l’altrui immobilismo, umano espediente politico in attesa di brevetto, lì piazzato a tenere ogni cosa in sospeso, forse anche con intento sadico, da qualche settimana, anche grazie al fiorire della sua iniziativa partitica, Italia Viva, e qui giunge una terna di loghi assimilabili a un vivaio post-ideologico, purissimo brand, mostra piuttosto un nuovo ulteriore profilo attitudinale che certamente gli è altrettanto proprio: Matteo Renzi l’Autoconvocato.

Colui che, come già Bonaparte il giorno di diventare imperatore, sceglie di piazzare con le sue stesse mani la corona sul proprio capo, rendendo inessenziale la presenza del pontefice giunto da Roma.
Una sensazione che tradotta con immagini da commedia urbana nazionale potrebbe validamente ricondurci addirittura alla figura insostituibile dell’industrioso disoccupato lì pronto a inventarsi parcheggiatore. L’uomo in ambasce che, trovato un berretto militare, poco importa se fanteria, genio-trasmissioni, artiglieria campale o perfino della sussistenza, vi cuce un fregio autarchico che rechi, appunto, la scritta “Parcheggiatore”. Da quell’istante, egli è assolutamente certo d’essere il parcheggiatore. P maiuscola, di più, tutto maiuscolo: l’Ur-Parcheggiatore, direbbe Nietzsche con un prefisso della lingua tedesca che indichi il valore di primo, originale, unico, lui.

Diversamente da una signora in servizio permanente sull’altana sovranista, signora pompeiana del populismo da talk, non diremmo mai che l’altro, l’antagonista, Matteo Salvini, giacchetta della Polizia penitenziaria addosso, rassicurato da un 40% di ipotetici consensi, non avrebbe dovuto incontrare l’autoconvocato Renzi che, al momento, conterebbe un piccolo 4%. Diversamente però dalla modestia gratuita dei commenti riservati ai politici più insistenti, perfino riconoscendo il talento proteiforme di Renzi, ago della bilancia, lì a determinare lo stato delle cose governative presenti, riusciamo a percepirlo, già detto, se non come un autoconvocato. Senza nulla togliere alle sue doti pregresse: non è fortuito che proprio lui, e non altri timidi volenterosi, tutti riassumibili nel viso da angelico Ecce Homo di Civati, sia riuscito a piazzare su uno strapuntino gli elefanti postcomunisti che in tempi neppure troppo remoti governavano ancora il partito cosiddetto democratico.

Guai dunque a non riconoscergli talento e grinta. Un amico parlamentare esattamente del Pd, uno che addirittura non ha mai disconosciuto la propria radice dalemiana, ergo persona non assimilabile al renzismo antemarcia sul “Nazareno”, mi racconta ogni bene di Matteo, e di fronte alle mie obiezioni sul corpo estraneo all’anima originaria della sinistra, sempre quest’amico deputato aggiunge che “… no, caro, lui si immagina come Fanfani, anzi, lui vuole essere esattamente Fanfani! Gli importa il ‘fare’, credimi”.

Provo a credergli, subito mi sembra di vederlo Amintore Renzi. Un intento, una vocazione dove ritengo influisca pure il dato geo-antropologico, il campanile, “l’heimat”, tornando alla lingua germanica, la “piccola patria”, magari piccola in tutto pensando all’altrove politicamente ciclopico di un Fanfani - il piano case popolari, su tutto - almeno fino a quando Forattini non lo disegnò come tappo di bottiglia nei giorni del referendum sul divorzio vinto dal fronte laico.

La determinazione del fare, capito? Restando nella commedia, sembra da intuire che Renzi, sebbene nei modi “easy”, vorrebbe che tutti noi lo si immagini raggiante al momento del taglio del nastro tricolore delle inaugurazioni, se non proprio traforo del Monte Bianco comunque del Tav, o perfino della fiera campionaria di se stesso, quella che prende il nome di Leopolda, i pannelli della mostra fotografica di quando stava a Palazzo Chigi come a dire: vedi quante cose ho già fatto? Il vescovo locale lì accanto, presenza benedicente, e ancora, se non proprio Dio in persona, certamente la Madonna del Parto di Monterchi con lui. O addirittura va pensato al momento del varo di un nuovo transatlantico, e qui torna in mente la contessa Pia Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare di “Fantozzi”, quando trancia il dito del porporato con l’accetta.

Queste osservazioni, al di là della stoffa riconosciuta a Renzi, restano doverose facendo caso alla sua mobile mimica facciale, resta però che l’evocato Fanfani vantava letture rosminiane e di mistica fascista, mentre, sia pure del gagliardo volontarismo da autoconvocato, Renzi sembra culturalmente più contiguo a “Il ciclone” e “Il pesce innamorato” di Pieraccioni oppure, va da sé, ad “Amici miei”; nel citare quest’ultima cosa facciamo violenza a noi stessi: mostruoso che ogni complessità ormai svanisca, insieme all’intera scienza politologica, davanti a un “Come se fosse antani” e, ancor peggio, “Terapia tapioco”.

Eravamo però rimasti alla figura dell’Autoconvocato, meglio del Parcheggiatore, non certamente “abusivo”, come alcuni insinuano, quasi alludendo, per restare ancora nella commedia cinematografica, a Vittorio Gassman scambiato dai suoi antichi amici di passaggio da piazza del Popolo appunto per parcheggiatore in “C’eravamo tanto amati”. Se invece solo sapessero che l’uomo potrebbe vantare una carriera invidiabile, sì, che l’ha fatta, magari troppo presto e segnata dall’impazienza, è dura, a quarantaquattro anni, inventarsi un futuro ulteriore, trovare idee ulteriori che non siano minori rispetto a quella di primo ministro. Ci sarebbero anche, volendo, buttarsi a capofitto nello studio, le lingue, e ancora, la filosofia, la storia. Nessuno però pretende che Renzi debba cominciare dallo studio dei “Grundrisse” di Marx, sia chiaro.

In verità, ci sarebbe anche il modellismo, montare impeccabilmente i bombardieri B-52, scala 1:200, ma forse Renzi quelle fortezze volanti, piuttosto le piloterebbe recandosi perfino a scovare chi ritiene siano i suoi nemici, perché Matteo, parole sue, è “cattivo”, anche se Maria Elena Boschi, intervistata su Rete4, ha smentito, tergiversando sui possibili, inesistenti, difetti del suo garante.

Chissà se anche Fanfani, dopo lo smacco, ebbe mai sogni simili…No, ora che ci penso, quell’altro poteva contare sull’hobby della pittura, perfino lo storico d’arte Carlo Ludovico Ragghianti, figura centrale dell’azionismo nella Resistenza toscana, scrisse bene, generosamente, di lui come maestro del pennello. Anche a me molti anni fa proposero di curare proprio una mostra dell’artista Fanfani, peccato aver rifiutato, avrei dovuto essere più indulgente davanti alle sue madonne color pastello, perfette per le pareti delle pizzerie di Pieve al Toppo o di Montegonzi.

Chissà però che fra qualche anno mi ritrovi invece a presentare proprio una mostra di Matteo Renzi giunto a più miti consigli, magari proprio alla Stazione Leopolda di Firenze: il suo autoritratto, s’intende a figura intera, l’Autoconvocato visto dall’autoconvocato stesso, il berretto con fregio che ne specifichi il ruolo - “Parcheggiatore” - ovviamente non appare, ma di fronte al terzo occhio di chi abbia coscienza che le cose della politica, c’è, e anche bene in vista, lì sul capo, come si conviene ai grandi scommettitori, ai grandi mattatori, ai Renzi.

 

P.S. Lo so, e un po’ me ne dispiaccio, questa riflessione ha un andamento talvolta parodistico, perfino sarcastico, insinua dubbi circa la persistenza dell’Eroe, mostra poca indulgenza verso le umane ambizioni che la provincia coltiva come riscatto dalla periferia, ma soprattutto non scorge un progetto complessivo che vada oltre il narcisismo, non intravede un “telos”, cioè un fine superiore che trascenda lo spicciolo istinto di conservazione politica, forse anche ministeriale, circoscrizionale, magari però non è neppure colpa di chi osserva, forse basterà citare il conterraneo Machiavelli per venirne fuori: “Coloro che vincono, in qualunque modo vincano, mai non ne riportano vergogna”.

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