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Politica

Ribaltone Boccia: incontra Zaia e fissa le regole della trattativa sull'Autonomia

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Di buon mattino Francesco Boccia ha preso un aereo ed è volato a Venezia portando con sé un fascicolo delicato. Riguarda una partita ereditata dal governo precedente e su cui l’esecutivo giallorosso è chiamato a dare una direzione: le Autonomie. Chiarito che si vogliono fare, il punto è come e quel come è tutto perché le Autonomie, per loro natura, riguardano le competenze e i soldi che le Regioni vogliono trattenere sui territori. In quel fascicolo, consegnato dal governatore del Veneto Luca Zaia al governo precedente, sono stati individuati 36 rilievi e alcuni di questi portano la firma di Bussetti, Centinaio e Giorgetti, esponenti di punta dell’ex Lega di governo. È da qui che il neo ministro per gli Affari regionali è partito per dire a Zaia che le Autonomie si possono fare, ma con un meccanismo completamente diverso rispetto a quello fin ora ipotizzato. La strada che Boccia vuole seguire è questa: prima bisogna definire i livelli essenziali di prestazione, in modo da portare tutte le Regioni sullo stesso piano. Solo dopo possono scattare i premi per le Regioni più virtuose. 

Per la prima volta, Boccia delinea la strategia operativa che il nuovo governo intende adottare su un tema che rappresenta una delle battaglie più importanti per il Carroccio. Certo ci sono Regioni non amministrate dalla Lega, come l’Emilia-Romagna, che si sono fatte avanti ma in questi casi le richieste di autonomia sono più sfumate: riguardano competenze amministrative. La strada è in discesa. Il Veneto e la Lombardia, invece, vogliono portare a casa competenze e soldi su materie di peso come la scuola e la sanità. Nella prima tappa del mini-tour che ha portato poi Boccia a Bologna per incontrare il governatore Bonaccini, il ministro ha dettato le regole della trattativa. Si diceva del ribaltamento di prospettiva. Quando la Lega era al governo voleva dare seguito a un modello in corsa: subito premi alle Regioni più virtuose, solo dopo la definizione dei fabbisogni standard e dei livelli essenziali di prestazioni, cioè gli strumenti in grado di riequilibrare il tutto a livello nazionale. Il nuovo governo la pensa esattamente all’opposto: si parte dalla definizione dei Lep e solo quando tutti saranno nelle stesse condizioni allora si potranno premiare le Regioni più meritevoli.

Questa nuova prospettiva dice sostanzialmente due cose. La prima è che il disegno sulle Autonomie è destinato ad andare avanti più lentamente di come i governatori leghisti avevano immaginato. E questo per un motivo: la definizione dei livelli essenziali di prestazione è un’operazione che doveva partire già anni fa, sulla scia della riforma del titolo V della Costituzione del 2001. Sui Lep non si è mai andati avanti. È evidente che se si decide di partire da qui, l’operazione, per sua natura, richiede tempo. Certo è un segnale che il dossier non sarà cestinato, ma la questione va a impattare su altre due: quanto tempo sono disposti ad aspettare Zaia e il governatore della Lombardia Attilio Fontana? E a quanto sono disposti a rinunciare in termini di competenze e risorse?

Ancora una volta la partita delle Autonomie rivela la sua natura politica. La linea del governo Pd-M5s è chiara: punta a un disegno morbido, che parte anche dall’esigenza politica di provare a riequilibrare i rapporti tra Nord e Sud, con tutto quello che questa suddivisione significa in termini di consenso. Zaia, così come Fontana, si trova di fronte a un bivio: andare avanti con la trattativa, sapendo che il governo giallorosso non intende fare regali subito a nessuno, ma provando a portare a casa quello che una parte dei veneti e dei lombardi si aspettano, oppure no? Quel no è l’opzione B: se le cose non si possono fare così come le ha progettate la Lega allora conviene non farle. La questione è tutta politica e chiama in causa Salvini: le Autonomie diventeranno un nuovo cavallo di battaglia del Carroccio contro il nuovo governo? 

 

 

 

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