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Politica

Lombardia senza tregua

Pier Marco Tacca via Getty Images
Pier Marco Tacca via Getty Images 

Sindaci contro Regione. Regione contro Governo. E ancora: Governo contro Regione. La tregua insomma sembra saltata. E tutto succede in Lombardia, il territorio più colpito dal coronavirus dove i numeri ad oggi, a un mese e mezzo dall’inizio dell’emergenza, sono impietosi: 11.762 ricoverati, 1.351 in terapia intensive, 25.876 attualmente positivi. Per non parlare dei morti, ormai quasi 8 mila, ovvero il 60 per cento del totale.

In questo contesto la resa dei conti arriva ad emergenza in corso e fotografa il primo vero strappo istituzionale tra la Regione Lombardia e il governo italiano. Con un presidente, Attilio Fontana, sovraesposto mediaticamente, messo in discussione per un sistema sanitario misto (pubblico-privato) che ha mostrato diverse falle, con un piano per le epidemie fermo a 10 anni fa, ma pronto a vestire i panni del guastafeste “essendo lui - come sussurra qualcuno - il braccio armato di Matteo”.  L’obiettivo è velato ma non troppo: giocare di sponda con il Capitano leghista per indebolire l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. E allora eccolo puntare il dito contro la macchina operativa di Palazzo Chigi: “La nostra sanità – si sgola dai microfoni di Radio Padania - non è una delle migliori, è la migliore. Se quello che è successo nella nostra Regione fosse successo altrove non so come sarebbe finita. Io mi posso solo dire orgoglioso”.

E anche se i detrattori parlano già di “Caporetto della sanità lombarda”, Fontana non si ferma e polemizza anche sulle mascherine, oggetto della discordia nel braccio di ferro tra Roma e Milano: “Se non ci fossimo mossi noi - insiste - se non ci fosse stato l’assessore al Bilancio Caparini a muoversi per acquistare materiale, avremmo chiuso gli ospedali dopo due giorni. Il numero di mascherine che ci arrivava dalla Protezione civile non ci avrebbe consentito di aprire. E’ una vergogna, non ci è arrivato se non una piccola parte di quello che abbiamo richiesto a Roma. Ce la siamo dovuta cavare con nostri mezzi e risorse”.

 Accuse pesanti, pesantissime, che descrivono plasticamente lo stato dell’arte dei rapporti tra Fontana e l’esecutivo nazionale. Evidente che dalle parti del governo non abbiano perso tempo a replicare per le rime all’inquilino del Pirellone. Tocca a Francesco Boccia, ministro agli Affari Regionali, rispondere a muso duro, ospite dell’Aria Che Tira su La7: “Non ho voglia e tempo di fare polemiche, lo Stato sta facendo di tutto. Fontana sa benissimo che mentre parliamo è atterrato l’ennesimo aereo della Guardia di finanza. Se ci fosse dall’alto una grande telecamera si vedrebbero in Italia in giro solo mezzi militari, scaricano materiali che lo Stato acquista in tutto il mondo per le Regioni, specie per la Lombardia. E tutto è online nel dettaglio su siti di Protezione civile e dei ministeri”. Con una postilla finale: “Penso che l’assessore (della Lombardia) Caparini dovrebbe scusarsi con il commissario Arcuri. Un’ora e mezzo dopo le sue dichiarazioni l’ufficio di Arcuri ha spiegato che la dirigente della Regione che tiene i rapporti con il commissario ha confermato i numeri sull’invio dei materiali”.

 Pesano in questa giornata non solo le parole del virologo, docente emerito di microbiologia a Padova,  Giorgio Palù, che dalle colonne del Corriere della Sera ha sferzato il modello della Sanità lombarda, evidenziando le criticità e gli errori : “Hanno ricoverato quasi tutti, il 60 per cento dei casi confermati, esaurendo presto i posti letto”. Ma pesa altresì un altro scontro, questa volta all’interno della stessa regione, con una lettera vergata da sette sindaci di centrosinistra (Bergamo, Brescia, Cremona, Lecco, Mantova, Varese, Milano) che pongono una serie di quesiti al solito Fontana. Capofila è Beppe Sala che mette in file le seguenti domande: “Quando saranno le disponibili le mascherine, il cui arrivo è stato promesso da tempo?”. E ancora: “Cosa sta facendo la Regione per proteggere il personale sanitario e gli ospiti della Rsa?. Perché la Regione non ha ancora autorizzato l’avvio della sperimentazione dei test sierologici che altre regione come il Veneto e l’Emilia Romagna hanno attivato?”.

 Ma non finisce qui. Perché altri 62 sindaci della provincia di Varese, questa volta di destra, di sinistra e civici, indirizzano un’altra lettera a Fontana: “Con la presente intendiamo, in particolare, comunicare la nostra grande preoccupazione per le difficoltà che stiamo rilevando sul territorio nella gestione dell’emergenza sanitaria per quanto riguarda la trasmissione dei dati relativi ai contagi. [...]”. Ritardi che, come spiega Alessandro Alfieri, oggi senatore del PD ma per anni consigliere regionali in Lombardia, sono legati a due fattori: “Qui qualcosa non ha funzionato perché negli anni si è spinto sul modello ospedalocentrico, vale a dire strutture di eccellenza nei grandi centri metropolitani, concentrando risorse sugli ospedali, e sguarnendo il territorio di un coordinamento tra Ats, medici di base e amministratori locali”.

Ecco, in queste giornata Fontana si becca pure una rimbrottata da parte di Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, alleato della Lega: “Ci sfugge la ragione perché Fontana tira in ballo spesso Roma. Roma e i romani non rappresentano Palazzo Chigi”. Amen. Poi a sera in una lunga lettera il presidente Fontana risponde punto su punto alle accuse ricevute dai sindaci di centrosinistra. “La Regione si è mossa prontamente”, rivendica il governatore della Lombardia, che accusa poi  la Protezione Civile  di approvvigionamenti che “si sono da subito rivelati insufficienti”, e scarica sulle spalle del governo la responsabilità di non aver allargato ulteriormente da subito la “zona rossa” includendo anche i comuni di Nembro e Alzano Lombardo, così come richiesto dalla regione. Infine sui testi sierologici annuncia che “sono in corso test mirati per l’identificazione degli anticorpi”. Tradotto, Fontana continua a ballare da solo. Contro il governo e contro i sindaci. 

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