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Politica

Un po' di sollievo

Nicola Zingaretti - Giuseppe Conte - Luigi Di Maio
Nicola Zingaretti - Giuseppe Conte - Luigi Di Maio 

La notizia è che sono tornati a parlare, è il “clima”, radicalmente cambiato rispetto al giorno precedente, proprio sul dossier più delicato: la giustizia. E, con essa, anche la “mutabilità” (sempre del clima) in questo governo: repentina, capace di passare, nello spazio di poche ore e con una certa disinvoltura linguistica, da una situazione di pre-crisi al ritrovato dialogo. E domani chissà, non essendoci programma, anima, insomma la chiarezza minima necessaria.

Lo stato dell’arte è questo, detta senza tanti giri di parole: la prossima settimana ci sarà un vertice ad hoc sulla giustizia, per affrontare il nodo della prescrizione e trovare un punto di incontro. Di questo, che non è un accordo ma solo un percorso condiviso, se ne sono fatti carico il premier e il guardasigilli, dopo una giornata di scambi col vicesegretario del Pd Andrea Orlando. In quell’occasione il Pd, come si fa nelle trattative, si presenterà con la sua proposta sulla rimodulazione della prescrizione accompagnata dalla ragionevole durata dei processi.

Un po’ di sollievo, per due partiti che, fino al giorno prima, avevano quasi evocato in materia la crisi di governo. Punto. Perché, come evidente, il negoziato è tutto da svolgere. E, come si dice in questi casi, nel merito le parti sono distanti proprio sui principi di fondo. Sentite qui, lo scambio tra Bonafede e Orlando, proprio dopo aver fatto trapelare la notizia che ci sarà un incontro. Dice l’attuale guardasigilli: “La riforma Orlando non supera l’era Berlusconi. Però ho apprezzato che il Pd alla Camera non ha votato l’urgenza sulla proposta dei berlusconiani”. Risposta dell’ex guardasigilli: “Facciamo un appello a tutte le forze politiche della maggioranza: togliamo di mezzo le stupidaggini”.

Ecco. Questa è la cornice. L’incontro che rompe l’incomunicabilità e l’inizio di un confronto, nel reciproco pregiudizio. Cornice che già segnala la fragilità del tutto e l’improvvisazione con cui è nato il governo, senza un minimo di accordo sul tema più delicato, divisivo, identitario, con una dead line che rappresenta la verifica di chi ha vinto e chi ha perso: il primo gennaio, data in cui entrerà in vigore la normativa sulla prescrizione approvata nello spazza-corrotti, la “barbarie giustizialista” che intrappola le persone in processi tunnel in cui è impossibile rivedere la luce, alla faccia del principio che in un paese democratico ci deve essere un termine entro cui lo Stato può esercitare la sua potestà punitiva.

Proprio il primo gennaio è il punto. Diciamo le cose come stanno: è molto complicato che in piena sessione di bilancio si possa, in due settimane, trovare e approvare un accordo che la modifichi. Dunque è assai possibile che entrerà in vigore. Fonti qualificate del Pd spiegano che un bel passo avanti sarebbe già mettere nero su bianco un accordo entro la fine dell’anno per poi approvarlo dopo il primo gennaio, anche perché la riforma Bonafede dispiegherà i suoi effetti nel 2023. Poiché non siamo in un convegno, ma questa è politica, fatta di date simboliche, bandiere, messaggi, è una bella differenza, considerati i tempi che corrono e la perdurante incertezza del governo. Bizzarro che proprio coloro i quali si interrogano sul “quanto possa durare così” accettino riforme postume, dopo cioè che quelle che si vogliono cambiare siano diventate legge.

Si potrebbe sintetizzare il tutto così: il dialogo è ripreso perché il Pd ha smesso di porgere l’altra guancia, ha fatto capire che gioca sul serio, il che ha alimentato la rivolta dentro i Cinque Stelle sulla linea oltranzista di Di Maio che rischia di portare al voto. Però comunque la discussione di merito è ancora da approfondire e una approvazione dopo il primo gennaio rappresenterebbe per il Pd non una vittoria, ma semmai una riduzione del danno. È la perfetta sintesi delle debolezze, di due partiti costretti a stare assieme per mancanza di praticabilità di vie d’uscita che alternano minacce a carezze, all’interno di una dinamica in cui non c’è mai un punto fermo, ma una sequenza di rinvii, sotto forma di vertici, pacchetti, questioni da approfondire messe nelle sapienti mani del cunctator Giuseppe Conte, che del governo come temporeggiamento ha fatto un’arte. E che, in fondo, grazie a questa prassi sta garantendo la continuità del nucleo duro del Conte 1, occupandosi del pacchetto giustizia quando è troppo tardi per sancire una “discontinuità” entro il primo gennaio e non occupandosi affatto del decreto sicurezza, immutata legge vigente nel silenzio dei più. È un’arte anche questa.

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