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Economia

Viva la rottamazione dello smart working per quote

Cristiano MinichielloMinichiello / AGF
Cristiano MinichielloMinichiello / AGF 

La sbornia per lo smart working permanente, ovunque e per sempre, è passata prima ancora che l’ubriacatura arrivasse a saturazione. Ne è uscita Google, che quando è scoppiata la pandemia ha messo per prima i suoi dipendenti a lavorare a casa e che ora, per prima, ha deciso che devono ritornare in ufficio. E soprattutto che d’ora in poi lo smart working sarà su richiesta e solo per circostanze eccezionali. Altri, come Facebook, hanno deciso per la strada opposta, ma il dato che interessa qui è che quell’unanimità costruita intorno alla dichiarazione “il mondo non sarà più quello di prima” è stata infranta. La sbornia è passata anche al Governo. Al nuovo, con Renato Brunetta che ha rottamato lo smart working per quote nella Pubblica amministrazione. Quello della sbornia dei grillini quando al governo c’era Giuseppe Conte.

Dice Brunetta a un incontro promosso da Pwc che la Pa utilizzerà lo smart working “solo se migliorerà l’efficienza del lavoro e la soddisfazione del cliente sennò si tornerà sul posto di lavoro”. E per spiegare lo scenario post emergenza, il ministro fa un esempio: una teleconferenza si può fare anche da casa mentre uno sportello al pubblico non può restare vuoto con appeso sopra il cartello “chiuso per smart working”. Ma soprattutto Brunetta dice che le quote non hanno alcun senso. Per i sostenitori del tutti a casa per sempre non è una buona notizia, ma qui la questione è un’altra e cioè che finalmente si prova a fare un balzo di contenuto. E di non poco conto. Superare la logica delle quote, un po’ come molti (a partire da molte donne, se non addirittura la maggior parte) propongono di fare per quelle rosa, non è tanto opporsi a chi spinge per il tutti a lavoro da casa e per sempre. Ma è soprattutto avere una visione, porsi il tema di come lo smart working può diventare un nuovo modello lavorativo degno di questo nome. Con diritti e doveri. Per i lavoratori così come per i dirigenti. E questa visione, come propone lo stesso Brunetta, ma anche come chiedono i sindacati, poggia sulla regolamentazione del lavoro agile nel contratto. Brunetta si gioca qui l’esito del balzo, ma è il balzo stesso a essere notizia, tentativo, volontà e capacità di afferrare il toro per le corna. E di non relegare il tutto alla questione delle quote. 

E quindi viva la rottamazione dello smart working grillino se questo vuol dire rifiutare una regolamentazione per quote. Perché un conto sono le quote durante l’emergenza e infatti le quote saranno mantenute fino a quando ci sarà lo stato d’emergenza (scade il 30 aprile, ma è attesa un’ulteriore proroga). Un’altra cosa è il post emergenza, l’ordinario. La ministra per la Pa in quota 5 stelle ai tempi di Conte, Fabiana Dadone, aveva stabilito la quota per lo smart working durante l’emergenza (50%). Ma anche per il dopo. Perché alle amministrazioni pubbliche è stato dato mandato di tirare su i Pola (Piani per l’organizzazione del lavoro agile). Con la possibilità di mettere in smart working il 60% dei lavoratori legati ad attività che si ritiene possano essere svolte da casa. Il 60%, una quota. Considerevole. E a regime, cioè per l’ordinario. Il tutti, o quasi tutti, a casa e in maniera strutturale. Cosa che piace tanto ai 5 stelle, da sempre sostenitori di tutto quello che ha il nome di Internet, futuro, avanguardia. Ma Internet, il futuro e l’avanguardia vanno calati nella realtà. E soprattutto bisognerebbe ricordarsi di quello che si è proposto e che si è fatto. Dadone dice oggi che lo smart working, grazie ai Pola, è flessibile. Dice che non ha il favore dei media, ma che bisogna “divulgare la verità così come anche stanare i bugiardi”. I bugiardi sarebbero quelli che dicono che lo smart working nella Pa non prevede percentuali del futuro. Basterebbe rileggere la legge 77/2020, quella che ha convertito il decreto Rilancio. Basta scorrere il testo per leggere: “Il Pola individua le modalità attuative del lavoro agile prevedendo, per le attività che possono essere svolte in modalità agile, che almeno il 60 per cento dei dipendenti possa avvalersene”. Il decreto è stato approvato dal Governo Conte. Con Dadone ministro alla Pa.

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