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Il caso

Giustizia, Orlando a Bonafede: "Lanci un segnale". Il nodo resta quello della prescrizione

Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia 
Martedì alla Camera Costa (Azione) presenterà un emendamento anti-procuratori. Il tema della separazione delle carriere incombe nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio: Renzi in dissenso con la sua ex maggioranza e la partita è tutta da giocare perchè i voti al momento a favore al momento sono 24, come quelli dell'opposizione
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Quando ieri, a metà pomeriggio, il vicesegretario del Pd Andrea Orlando ha mandato ad Alfonso Bonafede il consiglio di lanciare “un segnale sulla giustizia alle forze a cui si chiede di dialogare”, tutti hanno pensato solo a una cosa, la prescrizione. Quella norma che, prima ancora del conflitto con Renzi, ha diviso anche Orlando e Bonafede. Ministro della giustizia in carica il secondo, ex ministro il primo. Tutti e due autori di una legge sulla prescrizione, ma il dem Orlando in chiave garantista, il grillino Bonafede in chiave “davighiana” (da Piercamillo Davigo, l’ex pm di Mani pulite che ha sempre detto “siamo l’unico paese in Europa ad avere una legge così”).

Per l’ex Guardasigilli la prescrizione non si ferma, ma si sospende soltanto per 36 mesi in Appello e in Cassazione, 18 mesi in ogni fase, per chi è stato condannato. Per l’attuale ministro della Giustizia invece la prescrizione si blocca definitivamente dopo il primo grado, sempre per i condannati. È uno spartiacque. La legge Orlando è del 2017, Bonafede annuncia la sua l’anno dopo col governo gialloverde, nella legge Spazzacorrotti. Gliela blocca Giulia Bongiorno, già in veste leghista. Rinviata di un anno, entra in vigore il primo gennaio del 2020.

Ma parte la querelle, poi bloccata dal Covid, in cui i renziani con Lucia Annibali vogliono fermarla con il “lodo” che rinvia la tagliola al 2021. Prevale Bonafede. Conte sta dalla sua parte. Tant’è che la legge di Bonafede è in vigore, anche se non ha avuto effetti perché vale solo per i reati commessi dopo il suo ingresso nella Gazzetta ufficiale. La maggioranza rumoreggia. Cinque vertici tra gennaio e febbraio si susseguono. Renzi è contro, il Pd è garantista. Si arriva al lodo Conte-bis con degli aggiustamenti. Tutto si ferma per il Covid, e per fortuna, perché già in quel momento Renzi vuole sfiduciare Bonafede. Ma - per intenderci e capire gli schieramenti - con Renzi e la Annibali c’era l’allora forzista Enrico Costa, che dava il tormento a Bonafede e proponeva a sua volta il rinvio dell’entrata in vigore della nuova prescrizione. E Orlando, di certo, non stava con Bonafede, ma chiedeva già allora una norma più garantista. Tifava perché restasse in vigore la “sua” legge. Certo non era a favore di quella “davighiana”.

Adesso siamo allo showdown e sulla testa di Bonafede potrebbe pendere la “colpa” della definitiva caduta del governo Conte. Può, Bonafede, “sacrificare” la sua prescrizione? Può ammorbidirla? Può annunciarlo in Parlamento mentre legge la sua relazione? Può lanciare questo segnale? Sarebbe un sacrificio molto duro, dopo tre anni di resistenza. E c’è da dubitare che Bonafede voglia e possa farlo mantenendo la sua coerenza. Ma sarebbe sicuramente un passo che metterebbe Renzi in seria difficoltà e aprirebbe una strada verso i “costruttori”. Certamente verso chi, non solo in Forza Italia, critica la sua politica definendola “giustizialista”. Una politica di cui la prescrizione è una sorta di simbolo. Caduta quella, o almeno fortemente ridimensionata, Bonafede per i “costruttori” che arrivano dal centrodestra può diventare potabile.

Ma voler percorrere la strada della giustizia, il percorso è pieno di mine. Come quella che, già martedì pomeriggio, potrebbe piazzare Costa quando arriva in aula la legge di delegazione europea, per essere votata addirittura mercoledì mattina. E Costa si è già attrezzato per piazzarci dentro uno dei suoi colpi, un emendamento sulla presunzione d’innocenza, per cui nessuno, tantomeno un procuratore - e non può non venire in mente quello di Catanzaro Nicola Gratteri - può presentare le persone come colpevoli, può tenere conferenze stampa, ma deve limitarsi a brevi comunicati, nei quali gli indagati sono indicati soltanto con le iniziali e l’elenco dei reati. Non basta, impossibile passare ai giornalisti i filmati né degli arresti, né tantomeno di eventuali attività investigative. Ancora: vietato pubblicare le intercettazioni, vietato pure battezzare le inchieste con un nome attraente. E infine, tanto per colpire pure i cronisti giudiziari, fare marcia indietro perfino sulla legge Orlando sulle intercettazioni che ha consentito ai procuratori di dare le ordinanze du custodia cautelare ai giornalisti.

Un emendamento, quello di Costa, che sicuramente piace non solo ai renziani e al centrodestra, ma anche all’ala garantista della maggioranza. Se il voto dovesse effettivamente essere segreto, il governo potrebbe andar sotto ancora prima della relazione di Bonafede.

Questo tanto per dire che, tra i tanti temi in ballo, quello della giustizia si presta molto più di altri a mettere in crisi il governo. Basti pensare alla separazione delle carriere su cui, anche in questo caso, Renzi stava con Costa e con Forza Italia. E adesso, con il suo abbandono della maggioranza che resta risicata nei numeri, ecco che la separazione, tuttora in commissione Affari costituzionali della Camera, dove tra maggioranza e opposizione siamo 24 a 24, la débâcle è dietro l’angolo. Il presidente della commissione, il grillino Giuseppe Brescia, non ha ancora messo in calendario la separazione delle carriere che, giova ricordarlo, nasce da una legge di iniziativa popolare lanciata dall’Unione delle Camere penali presiedute da Gian Domenico Caiazza. Sì, proprio lui, l’avvocato super garantista che Renzi aveva proposto come partecipante alle riunioni di maggioranza sulla giustizia prima che il Covid fermasse tutto.

E non basta neppure, perché la legge di Caiazza, arrivata alla Camera, ha visto affollarsi firme di ogni partito, tra cui anche quelle dei garantisti del Pd. Quindi, appena la separazione della carriere arriva in discussione nella commissione Affari costituzionali, la maggioranza è destinata ad andare sotto. Perché mai nessun “costruttore” in arrivo dal centrodestra potrà votare contro una legge vessillo dai governi Berlusconi in poi. A questo punto, più che di segnali da Bonafede, come vorrebbe Orlando, c’è il rischio di dovergli chiedere un’abiura. 

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